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 2010  gennaio 28 Giovedì calendario

I TRE KEYNES CHE SERVIREBBERO ANCHE OGGI

Nell’anno appena trascorso, l’autore più riletto è stato John Maynard Keynes, non a caso. il Keynes della Teoria generale, quello che (nelle sue ultime pagine) deplora che gli uomini della pratica siano sovente "schiavi" del pensiero di economisti defunti! Ed è lo stesso Keynes che denuncia i guai cui va incontro il capitalismo quando «i suoi investimenti sono decisi come se si fosse in un casinò!».
Questo non è però l’unico Keynes che conta, anche se la Teoria generale , del 1936, ne è l’opera più famosa; c’è anche un altro Keynes importante, sia prima sia dopo. Non a caso, merita riguardare oggi anche un Keynes di dieci anni prima, ed è quindi particolarmente rinfrescante rileggere un saggio del 1926, intitolato La fine del lasciar fare.
Ciò che più colpisce sono gli esempi cui Keynes si riferisce quando parla di come il laissez faire dovrebbe essere corretto. Colpiscono quei tre esempi, soprattutto per la loro attualità anche in Italia oggi.
Il primo riguarda i problemi posti dal rischio, dall’incertezza, dall’ignoranza. Come superare quei problemi in campo finanziario: con una maggior disclosure ( cioè trasparenza e informazioni) oppure con più controlli diretti?
Il secondo esempio di Keynes (1926) riguarda l’equilibrio – totale e per la sua allocazione di componenti – di risparmio e investimento. Quanto è deciso dagli individui e quanto da una pianificazione pubblica dei maggiori flussi finanziari? esattamente questo che il governo, su proposta del ministro Tremonti, dovrebbe fare per indicare quando e come torneremo all’equilibrio del nostro bilancio pubblico, tenuto conto del prevedibile risparmio dei privati che si otterrà con la ripresa economica e, dall’altra parte, degli obiettivi di crescita degli investimenti.
Il terzo e ultimo esempio riguarda la popolazione. Keynes dice: dovremmo domandarci quanti vorremo essere in futuro e cercare di favorire con le politiche opportune il realizzarsi di una popolazione più o meno grande dell’attuale. C’è qualcuno che dubita che il modo razionale con cui affrontare il discorso dell’immigrazione in Italia non sia proprio questo?
A livello culturale e politico generale gli esempi di Keynes ci ricordano dunque che dovremmo sempre decidere nell’ambito di un quadro di compatibilità di lungo periodo. Edè ancora da sottolineare, per la sua attualità, il criterio più famoso che Keynes indica nella sua conclusione: il governo non deve fare un po’ meglio ciò che già i privati sanno fare abbastanza bene, ma importa che faccia ciò che altrimenti nessuno farebbe né potrebbe fare. In altre parole, fine del lasciar fare significa – diremmo oggi – forte sussidiarietà: il governo si occupi solo di beni pubblici e non di beni privati. Si occupi della crescita dell’economia e non dei redditi di alcuni. In proposito, faccio ancora due esempi di attualità.
Beni pubblici. La vecchia normativa del Codice civile del 1942 è superata e, a volte, non più rilevante. Non a caso, il governo precedente aveva avviato una riflessione sulle norme che servono per tutelare e valorizzare ciò che è pubblico per natura o per diritto sociale. Oggi il tema è tornato d’attualità, perché, su proposta del ministro Tremonti, s’intende realizzare un’enorme dismissione di immobili pubblici: è chiaro se li si vogliono "privati", oppure è solo perché i livelli di governo locale sono più adatti a gestirli?
Un secondo esempio è la giustizia e la sicurezza. Non v’è dubbio che siano beni pubblici nel senso che ci accomunano nel loro godimento e che nessuno di noi da solo può provvedervi. La tentazione cui il governo Berlusconi sembra non essere però riuscito a resistere è stata quella di ritenere che anche in questo caso se c’è un problema servono nuove norme di legge. Mentre sappiamo tutti per documentata esperienza che è l’efficienza e la qualità complessiva dell’azionepubblica la cosa più importante e che senza guadagni d’efficienza la maggior sicurezza e la giustizia più rapida promesse ai cittadini non saranno affatto conseguite.
Il dibattito politico e le polemiche di questi giorni non devono dunque trarre in inganno: servono, è vero, migliori giudici, nuove carceri e nuovi poliziotti. Ma la priorità per ogni governo, e ancor più per il nostro governo che ha promesso moltissimo,è un’amministrazione pubblica che funzioni bene, cioè con le tecnologie e i criteri migliori del terzo millennio. Quando incominciamo a garantire ciò?