RAYMOND CARVER, La Repubblica 28/1/2010, 28 gennaio 2010
IL MITO MOBY DICK - Anticipiamo la recensione che scrisse di "Il mio Moby Dick" di William Humphrey
IL MITO MOBY DICK - Anticipiamo la recensione che scrisse di "Il mio Moby Dick" di William Humphrey. Il libro esce ora in Italia (Elliot, pagg.128, euro 14), e contiene il testo di Carver come postfazione. Quelli grossi scappano sempre. Pensate alla trota di Nick Adams nel racconto Grande fiume dai due cuori e a quelle altre trote enormi, strazianti, che danno del filo da torcere ai protagonisti di In mezzo scorre il fiume, di Norman Maclean. Pensate all´archetipo di tutte le storie di pesca, Moby Dick. Quelli grossi scappano, devono scappare, e quando lo fanno in genere ci mettono in crisi. Ma questo nuovo romanzo di William Humphrey narra la vicenda di un uomo che prende all´amo e poi si lascia scappare il Pesce Grosso, e non attraversa alcuna crisi. Anzi, scopre che la sua vita ha acquistato più spessore e ricchezza da questa esperienza, così come la nostra dalla narrazione. Nei migliori romanzi, e William Humphrey ha dimostrato di saperci fare, il protagonista, l´eroe o l´eroina, è anche il personaggio "toccato", quello a cui durante la vicenda accade qualcosa che fa la differenza. Ovvero accade qualcosa che cambia il modo in cui il personaggio guarda a se stesso e quindi al mondo che lo circonda. Quando alla fine di My Moby Dick l´autore ci dice che il protagonista è un uomo diverso, noi gli crediamo. Abbiamo seguito dall´inizio alla fine le sue traversie con un pesce la cui taglia e il cui aspetto sembrano una grandiosa affermazione della presenza di Dio su questa Terra. Si tratta di un pesce che porta l´autore a conoscere l´amore, la paura e lo stupore, oltre a un profondo senso del mistero racchiuso in questa vita. toccato in sorte a Bill – il nome che l´autore sceglie per sé – e non a un altro uomo di trovarsi di fronte una trota bruna "che probabilmente era latrota americana da primato", e che probabilmente era la trota bruna più grossa di questo mondo, e forse anche dell´altro, Dio buono! (Un´espressione che nei romanzi di Humphrey alcuni dei protagonisti, texani dell´est, amano usare quando vogliono esprimere meraviglia o incredulità). Ma quant´è grande questo pesce? E dove precisamente, nel mondo intero, sta avendo luogo questo leggendario incontro? Come mai fino a oggi non avevamo ancora sentito parlare della trota di Bill? Un affare così grosso dovrebbe finire sui giornali, non solo sui libri dei record. Tutto questo è avvenuto alcuni anni fa, ci racconta Bill, sulle montagne del Berkshire, nei pressi di un torrente caro ai cuori di Melville e degli Hawthorne e noto con il nome di Shadow Brook. Secondo l´ipotesi di Bill, quel pesce doveva essere finito a valle da un lago detto Stockbridge Bowl durante un´alluvione. Stockbridge Bowl si trova vicino Tanglewood, la sede estiva della Boston Symphony Orchestra. A un certo punto, mentre Bill sta gettando la lenza nella speranza di prendere il bestione, sente il rombo dell´Inno alla gioia di Beethoven risuonare da Tanglewood. "La musica pareva provenire da anni luce di distanza, e tanto numerose erano le voci da sembrare un coro d´angeli: un´armonia eterea, la musica delle sfere celesti". Così si esprime Bill quando è sotto l´influenza del grosso pesce. Sentite qua: "Schizzò di nuovo fuori dell´acqua come un razzo… più su, sempre più su e continuava a uscire dall´acqua, e non finiva mai. Somigliava più a un uccello che a un pesce mentre si librava sopra l´acqua, con le macchie e i punti rossi della livrea configurati come un piumaggio. Mi aspettavo quasi di vedergli spiegare e aprire i fianchi nel volo, come se anche lui, al pari degli insetti di cui si cibava, avesse subito una metamorfosi e uscisse dal guscio. Il luccicante velo d´acqua che lo ricopriva gli donava una patina iridescente e alzandosi nella luce solare le scaglie innumerevoli brillarono come se fosse incastonato di pietre preziose. […] Poi, con una giravolta da saltatore con l´asta, si rituffò, fendendo l´acqua con un tonfo che fece ondeggiare la superficie fino alle rive". Non solo questa è probabilmente la trota più grossa d´America, ma porta il marchio di Caino sul corpo, il marchio dell´illegittimo, della canaglia, del menomato. cieca da un occhio. "Era opaco, bianco, privo di pupilla; ricordava l´occhio di un pesce lesso". Ma esattamente quanto è grande? vi starete ancora chiedendo. Bill si avvicina di soppiatto al pesce mentre questo se ne sta col lato cieco rivolto alla sponda. Furbo com´è, si è portato dietro la signora Humphrey per dare maggiore credibilità a questa parte della storia, e spera che nessuno dei suoi lettori sia tanto poco cavalleresco da mettere in dubbio la parola di lei. Entrambi si sdraiano a pancia in giù e Bill utilizza un metro da falegname pieghevole. Ci dice che il pesce è lungo un metro e dieci centimetri, e che ha una circonferenza pari a quella della sua coscia. Stima quindi che il suo peso debba essere di almeno tredici chili, Dio buono! Bill è incantato dal pesce, ma è comunque intenzionato a uccidere quest´animale che allo stesso tempo gli suscita pietà e terrore. (Non si cattura un pesce di questa taglia, lo si uccide.) un uomo armato di una gran pazienza che non ha molto da fare, a quanto sembra, e così passa intere mattinate, pomeriggi e serate a osservare la trota e a studiarne le consuetudini: "Annotavo ogni suo movimento, come un assassino che accerti le abitudini della sua vittima. Per alimentarsi, si dirigeva sempre allo stesso punto – un gorgo all´estremità del tratto di fiume dove un minuscolo affluente si immetteva gocciolando nel corso d´acqua – come il vecchio cliente fisso di un ristorante si reca sempre allo stesso tavolo a lui riservato. […] Una volta stabilite le ore in cui usciva dalla tana sotto il ponte, mi facevo trovare là, prono sulla riva accanto al punto in cui si alimentava, aspettandola la mattina per la prima colazione e al crepuscolo per il desinare". C´è un ragazzetto che tutti i giorni si reca al ruscello per guardare Bill che lancia e rilancia invano la sua mosca. Pensa che Bill sia scemo, glielo dice proprio. Ogni tanto scambiano qualche breve considerazione sul pesce e, per estensione, sul mondo in generale. Il ragazzo si trova sul posto quel fatidico ultimo giorno della stagione (questo sarebbe un momento perfetto per sentir arrivare la musica da Tanglewood), quando Bill aggancia il Pesce Grosso, proprio il Vecchio Ciclope. Il ragazzo assiste in silenzio allo scontro fugace, impari, ma alla fine, scosso, grida con rabbia: "L´avevi preso e te lo sei fatto scappare!". "La produzione letteraria sulla pesca con la lenza si divide in due categorie" scrive Humphrey "manuali di tecnica e testi devozionali; i primi sono scritti da pescatori che scrivono, i secondi da scrittori che pescano". Qui si tratta di un libro devozionale, che contempla con un riguardo raro e affettuoso i misteri di questo e dell´altro mondo. Un compagno perfetto del precedente lavoro di Humphrey sulla pesca al salmone, The Spawning Run. (Traduzione di Marzia Grillo) © 2000 Tess Gallagher Tutti i diritti riservati