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 2010  gennaio 28 Giovedì calendario

MA MARCHIONNE VOLA A DETROIT «NESSUN RICATTO, L’ESECUTIVO SAPEVA» TORINO

Un ricatto? Un messaggio trasversale? Sergio Marchionne non si mostra né sorpreso né offeso. Da Detroit, dove è arrivato ieri per occuparsi dell´altra «metà della luna» chiamata Chrysler, fa sapere che «non c´è niente che non sia stato già annunciato con largo anticipo, quando abbiamo ripetuto che senza gli incentivi ci sarebbero state conseguenze sulle fabbriche». L´ultima volta lo ha detto al cda e agli analisti lunedì scorso, quando probabilmente la nuova ondata di cassa integrazione era stata già decisa. Lo ripete dall´America e non sembra intenzionato a fare marcia indietro anche se ci tiene a sottolineare che «la Fiat non cerca lo scontro col governo e con il sindacato».
Ma questo esordio del 2010 lascia temere che niente sarà più come prima. Qualcosa si è rotto e sarà complicato rimettere assieme i cocci anche se in serata John Elkann tenta di stemperare il clima: «Non lasceremo Torino e l´Italia. Qui c´è la nostra testa, qui c´è il nostro cuore». La cassa integrazione è la goccia che ha fatto traboccare il vaso non solo nei rapporti con Roma: è una misura che il sindacato interpreta come un segnale di guerra e che riaccende il fronte di Termini Imerese e quello di Pomigliano d´Arco. A Torino danno per scontato che l´incontro di domani non aggiungerà nulla di nuovo. Questa è la convinzione del Lingotto. «Non ho mai detto che sarei andato a Roma, non era previsto» ha ribadito Marchionne appena due giorni fa e a Detroit, dove conta di stare almeno una settimana secondo un piano di lavoro ormai collaudato che alterna la sua presenza tra Torino e l´America, non ha certo cambiato idea.
La cassa integrazione, che per la prima volta dal novembre 2008 coinvolge contemporaneamente tutti gli stabilimenti del Gruppo, ci sarà. Al Lingotto non fanno mistero che essa sia la risposta ai ritardi del governo sul rinnovo degli incentivi. Anzi la considerano una misura indispensabile per fronteggiare la caduta della domanda o, più esattamente, per coprire il buco di ordini che si sta creando dal 31 dicembre data della fine degli incentivi. Forse il governo non ci ha creduto, rinviando una decisione già presa in altri paesi europei, esclusa la Germania. Ma questo non cambia il ragionamento dell´ad della Fiat. E che tradotto nei fatti è il seguente: «In assenza degli incentivi, in Italia, si perderanno 300mila auto: il mercato da 2 milioni scenderà a 1,7 e poiché a soffrirne saranno le vetture piccole l´impatto sarà più pesante sulla Fiat».
A Torino calcolano che la perdita possa essere attorno alle 150mila auto e avvertono che la caduta è già in atto. In attesa del rinnovo il flusso degli ordini è prossimo allo zero, si smaltiscono quelli accumulati in dicembre. Se e quando il mercato tornerà alla normalità sarà una corsa al recupero. E per il Lingotto questa altalena si sarebbe potuta evitare. Ma ci sono le elezioni alle viste e, in Italia, tutto tende a drammatizzarsi secondo una liturgia alla quale il manager italo-elvetico-canadese, ripete, di non voler partecipare.
Non è un ricatto la cassa integrazione è non lo è nemmeno la «linea dura» adottata per Termini Imerese. «Non c´è nulla da aggiungere a quanto detto» insiste Marchionne. E se non fosse chiaro spiega che la Fiat «in futuro non pensa di utilizzare lo stabilimento siciliano per nessuno dei suoi business». La ragione? Anche questa è stata chiarita più volte: «Non è mai successo che qualcuno abbia annunciato la chiusura di un impianto con trenta mesi di anticipo». E a chi gli chiede se non possa esserci un ripensamento, ufficiosamente ma non tanto, risponde: «Se dovessi pagare tutti i dipendenti fino alle pensione e a produzione zero ci guadagnerei». Commentando che «tutto questo è ridicolo».
Ma poiché il fronte si è allargato c´è anche Pomigliano d´Arco a rendere sempre più tesi i rapporti tra il Lingotto e le parti sociali. L´argomento ha dominato anche nelle telefonate intercorse per tutta la giornata di ieri tra le due sponde dell´Atlantico. E rimane un tema caldo perché, anche se non lo si dice apertamente, tutti sanno che, dopo la «cura» che due anni fa è costata alla Fiat 250 milioni, Marchionne si aspettava di più dallo stabilimento campano. E se oggi ha accettato di sostituire l´Alfa con la Panda lo ha fatto per evitare guai peggiori. Certo, non pensa di fare il bis di Termini, ma non sembra disposto a concessioni: «Ho portato via la produzione della Panda a un impianto come quello di Tichy, in Polonia, che ha vinto il World class manifacturing per l´alta qualità dei processi produttivi, ma non intendo essere costretto a passare i miei fine settimana in trattative snervanti per un sabato lavorativo in più o per qualche altra forma di flessibilità». L´ad della Fiat sa anche di dover pagare un prezzo per la scelta di Pomigliano: «Mi costerà l´apertura di una discussione con i sindacati polacchi di Solidarnosc e sarebbe ben singolare se dovessi fare altrettanto in Italia».