Guido Ruotolo, La Stampa 28/1/2010, pagina 17, 28 gennaio 2010
IL COPRIFUOCO DI REGGIO CALABRIA
Il corso, la via dello struscio. Benetton che chiude, i saldi che arrivano a offrire sconti del 70%. Sarà la pioggia e il clima spettrale, ma quella che dovrebbe essere una vigilia di festa di una città che per la prima volta si accinge a ospitare il Consiglio dei ministri - che varerà il Piano straordinario di contrasto alla mafia - in realtà sembra una giornata di lutto, che celebrerà con il coprifuoco l’arrivo di Berlusconi e dei ministri. Strade chiuse intorno alla Prefettura, vietato parcheggiare, tombini sigillati, percorso blindato dall’aeroporto al centro.
Qualcuno la chiama fibrillazione, altri tensione. In realtà a prevalere sembra essere la paura, la paura per quello che potrebbe ancora accadere in questo gennaio da dimenticare, dopo la bomba alla Procura generale, l’auto-santabarbara fatta ritrovare nel giorno di Napolitano in città, la lettera minatoria con proiettile a uno dei pm antimafia.
Paura, fibrillazione e tensione scandiscono il tempo di questa guerra di liberazione che si sta combattendo contro la ”ndrangheta e per la legalità. Strana Reggio Calabria, che la guerra l’ha vissuta anche in epoca recente. L’ultima, quella che si è conclusa nel 1991, ha contato mille morti ammazzati. Guerra di mafia, resa di conti interni al potere criminale. Ogni angolo di strada aveva il suo mazzo di fiori, per ricordare una vittima. E poi i mille «caduti» di questi anni, vittime di blitz, maxiprocessi e centinaia di secoli di condanne. E adesso che a guidare la procura è un «palermitano», Giuseppe Pignatone, tutte quelle «eccellenze» individuali (dagli investigatori ai sostituti procuratori, dai giudici dell’Appello a quelli che si occupano di confische dei beni) sono diventate ingranaggi di una stessa macchina virtuosa.
A Reggio non ci sono i mille morti ammazzati da piangere, regna una «concordia» tra le famiglie ma c’è un clima da spavento. Magistrati e investigatori concordano sul punto: «E’ la prima volta che vengono attaccate le istituzioni: la magistratura con la bomba alla Procura generale e la lettera al pm Lombardo; lo Stato con l’auto zeppa di armi ed esplosivi ritrovata nel giorno del Presidente della Repubblica a Reggio».
In questi giorni si è molto discusso su una certa pratica di comportamenti compiacenti tra un magistrato inquirente e il suo avvocato, che è anche il legale dei mafiosi che contano. Pratica interrotta dal nuovo procuratore generale della città, Salvatore Di Landro. E poi c’è il discorso sul sequestro e la confisca dei beni che alla ”ndrangheta sta procurando non poche difficoltà. Ma bastano questi due possibili moventi per spiegare la bomba ”ndranghetista alla procura generale? E l’auto con le armi fatta ritrovata nel giorno di Napolitano che rapporto ha con la bomba e la lettera minatoria al pm Lombardo?
Domande senza risposte, che alimentano il clima di paura. C’è un fermento e, in assenza di nuovi pentiti, la sensazione che la mappa delle famiglie, delle alleanze, della presenza delle cosche sia tutta da aggiornare. La percezione degli investigatori è un cambiamento radicale: «E’ come se in città si fosse creato un vuoto di potere, dopo gli arresti eccellenti degli ultimi capi latitanti (all’appello manca un Tegano, ndr) e che a Reggio sono entrate le cosche della Piana, i Piromalli di Gioia Tauro e gli Alvaro di Sinopoli».
La città dolente oggi è silente. La sua rabbia, Reggio l’ha sfogata negli anni neri dei Moti e dei tentativi golpisti (i primi Anni Settanta) nei quali l’eversione fascista ha trovato come alleati gli uomini della ”ndrangheta. Oggi non c’è una società civile di opposizione alla mafia. Sì, Libera e i beni confiscati, il «museo della ”ndrangheta» aperto in un villone di Croce Valanidi che fu di una famiglia mafiosa, gli imprenditori coraggio che denunciano il pizzo. Tutto vero, ma sotto la questura, quando hanno catturato gli ultimi boss dei De Stefano, o sotto la caserma dei Cc con il «Supremo», Pasquale Condello, ammanettato, non c’erano i cittadini in festa (come a Palermo).
La maledizione di questa terra è anche la solitudine delle persone perbene, dei magistrati o delle forze dell’ordine che lavorano e che rischiano la vita. La sezione reggina dell’Anm si è molto risentita per via di un articolo di un inviato di un quotidiano nazionale che ha accennato anche all’esistenza di magistrati non proprio lodevoli.
Il prefetto di Reggio, Luigi Varratta, adesso parla di «sofferenza e nervosismo della criminalità organizzata». E’ vero, è l’altra faccia di Reggio, oggi. E’ come se i due eserciti in guerra in realtà non conoscessero la vera forza dell’avversario. Ed è un problema di non poco conto.
Guido Ruotolo