Varie, 28 gennaio 2010
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Cianca Claudio
• Roma 4 settembre 1913. Politico. Sindacalista. Biografia raccontata nel libro-intervista Il mio viaggio fortunoso, a cura di Giuseppe Sircana (Ediesse 2009) • «[...] L’episodio centrale della sua vita è l’attentato compiuto nella basilica di San Pietro il 25 giugno 1933, che gli costò la condanna a 17 anni di reclusione. Dietro non c’era un’organizzazione, ma solo l’iniziativa di Cianca e di un amico, Leonardo Bucciglioni, che condivideva gli stessi ideali. Fu proprio Cianca a costruire una bomba in ottone, invece che in ferro, per evitare che le schegge provocassero morti o feriti. Un ordigno rudimentale, collegato a una pila elettrica e a un timer, che Cianca portò in una valigia a San Pietro e collocò all’ingresso, nel deposito bagagli. Lui e l’amico restarono in piazza per assistere allo scoppio, che fu seguito da un fuggi fuggi generale. Dopo tre mesi furono scoperti e arrestati insieme al padre di Cianca, Renato, che non c’entrava nulla ma serviva a coinvolgere lo zio Alberto, collaboratore di Giovanni Amendola e direttore prima dell’’Ora” di Palermo, poi del quotidiano ”Il Mondo”, esule a Parigi e dirigente di Giustizia e Libertà. Fin da ragazzo Cianca aveva assorbito dalla famiglia idee antifasciste. Mentre visitava con la sua classe delle elementari la mostra per la battaglia del grano, si sparse la voce che stava entrando Mussolini. Il maestro gridò: ”Saluto al Duce”. Tutti gli alunni levarono il braccio; non il piccolo Cianca. Al maestro, che chiedeva perché, disse: ”Mio padre non è fascista e perciò i fascisti lo hanno picchiato”. Al momento dell’arresto Cianca aveva solo vent’anni. Nel libro Il ragazzo rosso, Giancarlo Pajetta racconta l’incontro con lui in carcere: ”Gli domandammo chi fosse e perché fosse lì. Disse che era anarchico, già la cosa non entusiasmò nessuno, e che era stato condannato per aver messo una bomba a San Pietro. Era stata messa nell’anticamera dove i pellegrini portavano ombrelli e sacchi. Alla domanda su quando alla distruzione degli ombrelli sarebbe seguita la rivoluzione, non rispose”. Pajetta ricorda che il povero Cianca, stupito dall’accoglienza, era piuttosto imbarazzato. Fu scarcerato il 9 settembre 1943 e partecipò alla guerra di Liberazione, prima nelle formazioni di Giustizia e Libertà, in seguito in quelle garibaldine. Divertente un episodio della lotta partigiana. Cianca sfuggì ai tedeschi rifugiandosi, alla stazione di Civitavecchia, nel bagno delle donne. Una di esse, seduta sulla tazza, urlò di non entrare e i soldati se ne andarono. Aderì al Pci e nel dopoguerra fu deputato per quattro legislature. Come segretario della Camera del lavoro di Roma, riorganizzò il sindacato dei lavoratori edili: in un comizio del 1° maggio definì ”crumiri” i lavoratori della Cisl, che avevano promosso una manifestazione autonoma al teatro Adriano. Ma Giuseppe Di Vittorio lo corresse: ”Sono tutti lavoratori, anche quelli che sono riuniti al teatro Adriano”. Più tardi Cianca divenne segretario della Fillea (il sindacato edile della Cgil), carica dalla quale si dimise nel 1969 impegnandosi come consigliere comunale a Roma nelle battaglie contro la speculazione fondiaria. [...] inserito nella lista del Pci alle elezioni per la Camera del 1963, ma non compreso tra i candidati a cui gli iscritti dovevano dare le preferenze, risultò a Roma il più votato dopo Togliatti, perché gli edili preferirono lui, disobbedendo alla disciplina di partito. Lo stesso Togliatti disse: «A Roma non sono io il primo, il primo è Cianca; se avete problemi, fate lui segretario della Federazione romana”» (Giovanni Russo, ”Corriere della Sera” 28/1/2010).