Rocco Moliterni, La Stampa 27/1/2010, pagina 41, 27 gennaio 2010
DIETRO LE QUINTE DELLA DOLCE VITA
Cinecittà, grazie ai costi ridotti che vita e maestranze avevano in Italia rispetto all’America, riusciva alla fine degli Anni 50 ad attrarre il fior fiore delle case di produzione hollywoodiane: in riva al Tevere facevano film e soldi grazie soprattutto al genere peplum, ossia ai polpettoni in costume (da Ben Hur con Charlton Heston a Cleopatra con la Taylor e Burton) di ambiente romano o biblico. Ma erano anche gli anni d’oro del cinema italiano, firmato da Fellini, Antonioni, Visconti, Pasolini, Germi & C.. Tra questi Fellini era talmente «pazzo» da ricostruire nei minimi particolari via Veneto a Cinecittà. E quel film o meta film, la Dolce Vita, proprio su via Veneto e dintorni avrebbe creato un’epopea che dura ancora. A raccontarcene oggi dei frammenti è la mostra «Gli anni della Dolce vita» al Museo del Cinema di Torino (fino al 21 marzo) attraverso gli scatti di Marcello Geppetti e Arturo Zavattini.
Di quell’epopea in bianco e nero il «paparazzo» Marcello Geppetti fu uno dei protagonisti. Aveva nel 1959 ventisei anni e il contratto in tasca di un’agenzia di fotogiornalismo. Girava con lo scooter e il flash al collo a caccia di attori e di attrici, prediligendo i luoghi dove questi andavano a mangiare o a divertirsi. Pronto a immortalare ad esempio una Rachel Welch che balla sui tavoli con un Mastroianni dall’insolita barba che oggi definiremmo alla Johnny Depp. La caratteristica principale delle sue immagini è di essere state realizzate all’insaputa o quasi dei soggetti ritratti. Così non stupisce la reazione che talora questi hanno: vedi l’attore o il regista che cerca di rincorrere o addirittura scazzottare il fotografo (come fanno non solo gli americani, tipo Sammy Frey ma anche i nostri Franco Nero o Michelangelo Antonioni). Marcello Geppetti divenne famoso per il primo nudo di Brigitte Bardot (sarà quello castissimo sul bordo di una piscina nel 1967 che vediamo in mostra?) e l’attrice è una delle più inseguite e fotografate dal nostro paparazzo. Non mancano immagini su set di film più o meno famosi: una superba Sophia Loren che prende istruzioni da Vittorio De Sica sul set de La riffa ci fa capire a chi si ispiri oggi Penelope Cruz.
La scorpacciata di attori e registi e gente di spettacolo ha un filo comune: Geppetti non cerca mai la «bella foto», l’aspetto formale non gli interessa più di tanto (anche se in alcune immagini di set rivela una certa sensibilità). Quello che conta è sorprendere i personaggi, scattare la foto e correre in camera oscura per stampare e pubblicare il prima possibile. E bisogna tenere conto che queste foto, spesso «sporche» e dalle inquadrature «sballate» non sono pensate per il grande formato o per l’esposizione in una mostra o per realizzare un libro, ma per finire il prima possibile sulle pagine di un rotocalco. Ci raccontano quindi un modo di lavorare più difficile, complesso e «naif» di quello odierno: con il digitale e il telefonino puoi finire on line quasi in tempo reale. Anche se la foto «rubata» (o «concordata») ha oggi più di allora un suo floridissimo mercato. Geppetti e i paparazzi degli Anni 60 furono dei precursori, anche se forse non immaginavano l’evoluzione format Corona del loro mestiere.
Con attori e registi si poteva però lavorare anche in un’altra maniera, più «meditata» e «complice» perché non destinata allo scoop: lo dimostra la selezione di immagini di Arturo Zavattini scattate sul set della Dolce Vita che completano la mostra. Trait-d’union fra Geppetti e Zavattini è la figura di Federico Fellini, il regista demiurgo. Geppetti lo fotografa mentre fa l’elemosina a un barbone in un vicolo di Roma, Zavattini racconta alcuni momenti di pausa nella lavorazione de La dolce vita nel Castello Odescalchi a Bassano di Sutri. Quanto le foto di Geppetti sono per necessità «aggressive», tanto quelle di Zavattini sono «timide». come se il fotografo avesse pudore di riprendere quelle scene: Fellini che riposa su un prato, che scherza con un’attrice o con una nobildonna, che si aggira con le mani in tasca e gli occhiali neri per le stanze vuote del castello. Zavattini oltre all’occhio del direttore della fotografia, mestiere che eserciterà per molti anni, ha anche quello dell’antropologo: è stato con Ernesto De Martino nelle «spedizioni» in Lucania organizzate dal grande etnologo nei primi Anni 50. E qui è come se vedessimo lo spaccato antropologico di un mondo, quello del cinema, ripreso nei momenti «privati». Fellini non è il domatore che ci ha regalato Tazio Sacchiaroli (paparazzo come Geppetti), né il deus ex machina di tante immagini di Pierluigi, il fotografo ufficiale di scena dei suoi film. Qui sembra più un uomo che forse fa il lavoro più bello del mondo, ma pur sempre un lavoro. E che quindi ogni tanto cede anche alla stanchezza. A volte non è lui al centro della scena, ma Marcello Mastroianni, ripreso ora nell’intimità del camerino, ora con l’immancabile sigaretta in una nuvola di fumo, impalpabile ed effimera, quasi come i sogni che ci regala il cinema.
Rocco Moliterni