Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 27/1/2010;, 27 gennaio 2010
INIZIATA LA GUERRA DEI PORTI E NON TUTTI SOPRAVVIVERANNO
Mors tua vita mea. La crisi economica incalza, i trasporti marittimi crollano e i porti soffrono. In questa situazione c’è chi spera di restare a galla favorendo la rovina degli altri. Sulle banchine italiane sta per scoppiare una guerra aspra tra nord e sud per la sopravvivenza. L’av v i o pubblico delle ostilità è stato dichiarato dal presidente del porto di Genova, Luigi Merlo, uno dei maggiori operatori del settore, con un’intervista dal titolo choc al Secolo XIX, il giornale cittadino: ”Chiudiamo i porti hub del sud”. Cioè diamo il colpo di grazia a Gioia Tauro, lo scalo che doveva diventare il maggior porto del Mediterraneo e un’occasione per il riscatto della Calabria. Dopo Gioia dovrebbe toccare a Taranto e Cagliari, gli altri approdi meridionali specializzati nel tran - shipment, cioè nell’a t t ra z i o n e delle enormi navi giramondo, nello scarico dei container e il ricarico su camion, treni, ma soprattutto su navi più piccole, verso altre destinazioni. Dei tre hub, Gioia Tauro è il maggiore e il più pericolante. Dopo aver mietuto successi, ha imboccato proprio in questi mesi la via del declino per effetto congiunto di tre circostanze: la crisi spaventosa dei traffici e l’au - mento fino al 50 per cento delle tariffe di ancoraggio deciso dal governo che, di fatto, sta tirando la volata alla concorrenza nordafricana. CHIUDERE GLI HUB. La soppressione dei porti del sud Italia suggerita dal presidente dello scalo di Genova come ricetta per affrontare le asperità del mercato è molto circostanziata e rivolta al governo perché proceda senza indugi. E’ il primo caso clamoroso di approccio malthusiano alla crisi economica, ma non è azzardato prevedere che di fronte all’incatti - virsi delle difficoltà non sarà l’ultimo. Il ragionamento del presidente Merlo è molto semplice nella sua brutalità: ”Gli hub italiani di t ra n s h i p m e n t non hanno futuro. Non ha senso drenare risorse pubbliche per tentare di far stare in piedi realtà che in piedi da sole non ci stanno, togliendo magari finanziamenti ad altri scali come quelli dell’alto Tirreno o dell’Adr iatico”. Cioè: il tempo delle vacche grasse è finito, la coperta dei soldi pubblici è corta e quindi è giusto che copra solo chi è destinato a restare al caldo. Gli altri si arrangino, se possono, altrimenti crepino. Il riscatto economico del sud? Gli enormi problemi sociali della Calabria? La necessità dello sviluppo come antidoto all’arrembaggio della criminalità organizzata, ”Ndran - gheta in prima fila? I 5 mila posti di lavoro tra diretti e indiretti che rischiano di saltare? Nella logica della guerra portuale nord-sud è tutta roba che slitta in ultima fila. Quel che interessa al presidente ligure sono i quattrini pubblici per le sue banchine: ”Le ultime risorse per i porti stanziate due anni fa erano pari a 100 milioni. Cinquanta per Gioia Tauro, gli altri al resto della portualità”. Dal punto di vista di Merlo ora c’è il rischio che lo scalo calabrese e gli altri approdi meridionali succhino altri soldi statali attraverso la cassa integrazione. Gioia la sta chiedendo per 400 dipendenti su un totale di 1100; a Taranto sono in cassa 241 persone, a Cagliari la cassa scattò già nel 2008. ”Occorre dare ammortizzatori sociali” concede il capo dello scalo genovese, ma poi basta: ”Subito dopo facciamo un discorso di verità”, cancellando gli approdi meridionali. FINE DEL BOOM. In realtà il porto di Gioia Tauro finora non è affatto campato con i sussidi pubblici, anzi, per anni è stato un esempio di vivacità per tutta la portualità nazionale. Al punto che oggi, rispondendo con la sciabola ai fendenti del presidente genovese, il capo dell’au - torità dello scalo calabrese, Giovanni Grimaldi, chiede polemicamente al collega ligure se ha ”dimenticato che Gioia ha trainato per anni anche la crescita dei porti del nord”. Mentre altri in Calabria ricordano che dalla riforma portuale del 1995 in poi proprio lo scalo di Genova ha drenato fiumi di denaro pubblico, almeno il 70 per cento dei 12 milioni annui sborsati per la cosiddetta ”indennità di mancato av v i a m e n t o ”. Dopo una partenza timida a metà degli anni Novanta, Gioia Tauro è cresciuto a colpi di 500 mila tonnellate di merci all’anno, trascinando l’occupazione da 790 dipendenti di 10 anni fa alla punta di 1210 nel 2008. Ora è arrivata la crisi, devastante. I trasporti marittimi arretrano ovunque: a Singapore meno 13,5 per cento nel 2009 rispetto al 2008, meno 10 a Rotterdam e Le Havre, meno 22 a Long Beach. Idem in Italia: Savona meno 35, Salerno 18, Livorno 25, La Spezia 16, Genova 13,5. Al confronto i tre hub meridionali di t ra n s h i p m e n t , con un calo complessivo di poco superiore al 10 per cento, a prima vista non se la sarebbero cavata male. Il fatto è che nel settore del trasbordo navale riduzioni anche modeste dei volumi di traffico producono effetti perversi sulla redditività riducendola in maniera disastrosa. P RO S P E T T I V E . Le prospettive per il t ra n s h i p m e n t italiano appaiono, inoltre, assai incerte. In tutto il Mediterraneo stanno nascendo scali dedicati proprio al trasbordo e quelli esistenti si stanno potenziando. In Egitto accanto a Port Said si sta sviluppando Damietta, due anni fa è esploso in Marocco il fenomeno di Tangeri, mentre sulla sponda spagnola stanno investendo ad Algeciras un mare di soldi, 530 milioni di euro tra finanziamenti pubblici e privati. In Italia, invece, l’inasprimento delle tasse di ancoraggio è così forte che fatte 100 le tariffe pagate a Gioia Tauro per la nave portacontainer e la nave su cui viene trasbordata parte del carico, a Port Said per lo stesso servizio si paga rispettivamente 7 e 10, a Tangeri 49 e 57, ad Algeciras 64 e 90. Differenze abissali. IL NODO TASSE. Per ridurre lo svantaggio il governatore della Calabria, Agazio Loiero, ha chiesto al governo di tagliare o abolire le tasse di ancoraggio, mentre i segretari di Cgil, Cisl e Uil trasporti, Franco Nasso, Claudio Claudiani e Giuseppe Caronia, invitano il ministro Altero Matteoli a ”introdurre una specifica normativa per consentire ai porti italiani di tran - shipment di continuare a competere nel panorama mondiale”. Per scongiurare la guerra dei porti, Ferdinando Albini, presidente della confindustriale Confetra, ha scritto una lettera accorata al presidente Giorgio Napolitano e a Silvio Berlusconi invitandoli a ”predisporre tutte le iniziative opportune”, considerando che a giorni in Calabria si riuniranno il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio dei ministri.