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 2010  gennaio 26 Martedì calendario

ENI AL BIVIO. LA TENTAZIONE DI VENDERE I TUBI DI MATTEI

Che cosa sta accadendo attorno all’Eni? In autunno l’amministratore delegato, Paolo Scaroni, ventila la possibilità di ridurre la presa su Snam Rete Gas. Poi l’Eni precisa che nessun progetto è allo studio. Infine, lo stesso Scaroni ripete che la materia non è più un dogma. In compenso, quale rimedio per l’Antitrust Ue, verrà probabilmente rivista la proprietà delle società off shore che possiedono i gasdotti dalla Russia e dall’Olanda.
Queste infrastrutture, che sono la proiezione internazionale dei tubi e delle politiche degli anni eroici di Enrico Mattei, sono delicate, specialmente la prima: è alle frontiere che si controlla il mercato e si forma il prezzo del gas. Il ministero dell’Economia, azionista dell’Eni, ha dato via libera alla cessione dei gasdotti Tenp e Transitgas che collegano il Mare del Nord all’Italia attraverso Olanda, Germania e Svizzera, mentre ha raccomandato per iscritto grande cautela con il Tag, che porta il gas russo percorrendo l’Austria. Ce n’è abbastanza per farsi qualche domanda.
Anzitutto, come va il soggetto venditore? Risposta: l’Eni soffre. Certo, guadagna sempre tanto, ma nei primi 9 mesi del 2009, l’utile netto rettificato è sceso a 3,8 miliardi di euro, con una flessione del 53,6% sullo stesso periodo del 2008. Secondo le banche d’affari, l’utile dell’intero esercizio è di 5 miliardi. L’Eni, insomma, torna indietro ai risultati del 2003, quando peraltro il prezzo medio del barile, a cambio euro-dollaro costante, era del 37% inferiore a quello odierno. Effetti della recessione e del crollo del prezzo del gas sui mercati liberi. Dal 2006, l’indebitamento è triplicato fin sopra i 20 miliardi. Una tale esposizione rimane ben sostenibile anche con i margini attuali. E tuttavia ingessa l’Eni di fronte a rivali assai meno appesantiti. E’ vero che il debito è concentrato soprattutto in Snam Rete Gas, Saipem e nel giacimento gigante di Kashagan e che è destinato in parte a rientrare, ma è lo stesso Eni a porsi il problema di evitare un declassamento del rating.
Seconda domanda: che cambiamenti può determinare la spinta di Neelie Kroes, commissario Ue alla Concorrenza? La risposta è fatalmente articolata. Vendendo le tre partecipazioni nei gasdotti europei, l’Eni può incassare un paio di miliardi con ampio margine di guadagno perché trattasi di attività in carico a valori storici bassi. Sarebbe un tonico per il conto economico, ancorché una tantum, e perciò da considerare senza soverchi entusiasmi. Certamente, darebbe una mano a contenere il debito. Ma una società come l’Eni ha un altro respiro. La sua storia, del resto, così ricca di grandezze, di ambiguità e talvolta di illegalità, consiglia prudenza in questo genere di affari estero su estero. Vendere, dunque. Ma a chi? E con quale disegno?
La soluzione ovvia sarebbe una gara internazionale. Ma non indiscriminata. Non può essere, questa gara, aperta ai concorrenti, perché si ricostituirebbero i conflitti d’interesse di oggi. E nemmeno ai Paesi produttori. Se Russia, Algeria e Norvegia avessero il controllo dei tubi fino alle frontiere, sarebbe ancor più facile per loro affacciarsi sul mercato europeo e diventare oggi concorrenti degli operatori domestici e domani l’oligopolio dominante a fronte del progressivo esaurimento dei giacimenti nazionali: un oligopolio tanto meno regolabile quanto più basato fuori dall’Unione. Sulla carta, un compratore potabile sarebbe un fondo di private equity. Sarebbe, perché questi fondi, tranne rare eccezioni, non solo usano una leva finanziaria troppo alta per favorire gli investimenti, ma hanno anche sottoscrittori spesso anonimi. Il che, nell’Italia tuttora incapace di fare i conti con Tangentopoli, suscita troppi sospetti. Ci vorrà dunque trasparenza anche sugli acquirenti.
In questo momento, l’Eni è orientato a fare la gara per Tenp-Transitgas. Quanto al Tag l’idea è di cederlo alla Cassa depositi e prestiti, previa conservazione dei diritti di passaggio. L’Eni ritiene di dare così una prova di buona volontà tale da indurre la signora Kroes ad addolcire la multa che potrebbe, altrimenti, arrivare a un miliardo.
Terza domanda: ci sono alternative? La risposta è: sì, se l’Eni e il governo smettono di subire la politica del carciofo, oggi i tre gasdotti europei, domani quelli africani. Con la rete nazionale di Snam, gli stoccaggi della Stogit e i suoi gasdotti internazionali, l’Italia ha tutto per diventare il più grande adduttore di gas in Europa. E’ questa l’idea storica dell’Autorità dell’Energia, sostenuta a suo tempo anche dall’Antitrust di Giuseppe Tesauro, che ora può diventare conveniente per tutti. Anche per l’Eni.
All’Europa della concorrenza servirebbe un’unica rete di gasdotti, ben interconnessa e autonoma dai fornitori e dai distributori. Concentrare l’infrastruttura dell’Eni in un’unica società – una grande Snam Rete Gas o un’Eni 2 con dentro i gasdotti e la Snam, poco importa – e poi distinguere questa società dall’Eni – attraverso la cessione o attraverso la scissione, anche questo poco importa’ darebbe all’Italia una multinazionale del trasporto del gas, a controllo nazionale come adesso, trampolino di lancio verso la rete unica europea. Frammentare le proprietà, invece, rende più arduo e costoso il cammino. Con una simile operazione, l’Eni raggiungerebbe il duplice risultato di depotenziare la speculazione e di ridurre a poco il debito. E la maggior focalizzazione, derivante dalla separazione dalle attività infrastrutturali regolate, gioverebbe perfino al suo profilo borsistico, se stiamo alle lettere del fondo Knight Vinke.
Massimo Mucchetti