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 2010  gennaio 23 Sabato calendario

NON LASCIAMO GLI STUDENTI IN PARCHEGGIO

Caro Direttore, abbiamo il dovere di salvare i giovani dal pericolo dell’inattività, dalla perdita del senso del lavoro, dalla sfiducia in se stessi. Marco Biagi ha voluto ridisegnare gli strumenti della transizione dalla scuola al lavoro con l’obiettivo di realizzare le premesse per la loro occupabilità lungo tutto l’arco di vita. Vedi pagina 48
Egli voleva porre rimedio all’abbandono precoce degli studi come a quei lenti percorsi educativi affaticati da scelte non corrispondenti alla vocazione e indotte da malintese forme di convenzione sociale. La sua riforma ha quindi sostituito i vecchi istituti, rivelatisi solo contratti di inserimento agevolati nel costo, con tre tipologie di apprendistato. Il primo fu disegnato in sincronia con la riforma Moratti allo scopo di offrire ad un giovane che rischia di uscire dal percorso scolastico un particolare contratto triennale di istruzione e formazione in ambiente lavorativo con il quale conseguire un titolo di studio e precisamente una qualifica professionale assolvendo al diritto-dovere ad almeno 12 anni di apprendimento.
Tra i 15 e i 18 anni, dispone la legge Biagi, si può realizzare un percorso integrato di istruzione scolastica, formazione esterna e di esperienza lavorativa secondo una particolare regolazione definita tra i ministeri del Lavoro e dell’Istruzione con ciascuna Regione sentite le parti sociali. La norma è rimasta inapplicata perché il successivo governo, nel definire l’obbligo scolastico a 16 anni, non ha voluto coordinare questa positiva novità con il mantenimento della necessaria dimensione triennale dell’apprendistato dedicato al conseguimento della qualifica professionale entro i 18 anni. E ciò non ha certo concorso a risolvere il problema di quei 120 mila giovani che risultano né studiare né lavorare dopo avere conseguito la licenza media inferiore, come ha fatto subito notare il Corriere.
La norma ora all’esame del Parlamento da un lato lascia inalterato l’obbligo scolastico a 16 anni e, dall’altro, ripropone integralmente la disposizione della legge Biagi, compreso il necessario rinvio agli accordi con le Regioni per la sua concreta attuazione. Le critiche sono apparse spesso disinformate o condizionate da un pregiudizio ideologico circa il possibile valore educativo del lavoro per il recupero di coloro che hanno abbandonato o rischiano di abbandonare il percorso scolastico. Così alcuni hanno parlato di un mero abbassamento dell’età minima di lavoro ed altri hanno ipotizzato la resa assoluta in presenza di una difficoltà del percorso educativo. Si ripropone anche in questo caso per i riformisti il dovere della pazienza nello spiegare che l’obiettivo vuole essere quello di offrire una alternativa credibile all’inattività assoluta o a forme di lavoro irregolare o, peggio ancora, criminoso. Per molti ragazzi questo particolare contratto di apprendistato può consentire di scoprire’ come avrebbe detto Don Bosco’ che essi hanno «l’intelligenza nelle mani». Per altri ancora esso può indurre lo stimolo a passare dall’esperienza e dalla formazione tecnico-professionale all’acquisizione di conoscenze di carattere generale rivalutando percorsi precedentemente abbandonati.
In ogni caso, il lavoro dispiega quella valenza educativa che alcuni vogliono a priori negare, nonostante gli evidenti segni di nichilismo in una parte delle generazioni più giovani. E non certo per loro colpa. Non a caso, Biagi ha poi voluto ridisegnare anche l’apprendistato professionalizzante ed introdurre quello per le alte professionalità, compresi i percorsi di dottorato, con lo scopo di evitare che scuola e lavoro continuassero ad essere dimensioni rigidamente separate.
Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali