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 2010  gennaio 23 Sabato calendario

BORSE GIU’, NO DALLE BANCHE: «SBAGLIATA LA RIFORMA OBAMA». E IL BIS DI BERNANKE E’ IN BILICO

Nuovo forte calo, ieri a Wall Street (meno 2%, altri 220 punti dell’indice Dow Jones bruciati), che ha chiuso la sua settimana più negativa degli ultimi sette mesi (meno 4,1%). Una cambiamento di umore del mondo degli affari acuito dalle nuove ombre che incombono sulla conferma di Ben Bernanke alla guida della Federal Reserve e che fa seguito alla sconfitta elettorale dei democratici in Massachusetts che, pure, era stata vista all’inizio con soddisfazione dal mondo degli affari: martedì scorso, infatti, la Borsa aveva «scommesso» con un rialzo sull’elezione del repubblicano Scott Brown al Senato al posto dello scomparso Ted Kennedy.
Ma già dal giorno dopo tutto è cambiato quando è stato chiaro che quel risultato non avrebbe dato più spazio al liberismo «pro business» dei conservatori ma, al contrario, avrebbe spinto Obama ad assumere toni molto più populisti, ad attaccare duramente la finanza di Wall Street e a punire le banche, pur di ritrovare il «feeling» perduto con gli elettori che l’hanno votato meno di 15 mesi fa.
Il fenomeno ha subito un’accelerazione - e si è propagato alle altre Borse mondiali - dopo che giovedì il presidente americano ha annunciato alcuni interventi aggiuntivi per ridimensionare le banche considerate «too big to fail» (quelle talmente grosse che possono tenere in ostaggio Stato e contribuenti perché non possono essere lasciate fallire) e per impedire che le banche commerciali continuino a mescolare la loro attività tradizionale con quella degli «hedge fund» e dei fondi di «private equity».
Più ancora che le misure in sé, a spaventare i mercati sembrano essere le incertezze, i nuovi rischi di instabilità che gravano sul sistema. A cominciare dalle voci secondo cui il ministro del Tesoro Tim Geithner avrebbe espresso «a porte chiuse» dissenso sulle misure annunciate giovedì da Obama. Un dissenso in un certo senso scontato, visto che si tratta degli interventi lungamente proposti dall’ex capo della Fed Paul Volcker e fin qui bloccati proprio dall’ostilità di Geithner e del capo dei consiglieri economici del presidente, Larry Summers. Ma il fatto che il conflitto venga fuori oggi, sia pure come indiscrezione, crea allarme. Anche perché nelle settimane scorse il ministro del Tesoro è stato più volte attaccato per le sue posizioni pro Wall Street dalla sinistra democratica che ne ha chiesto la sostituzione.
La finanza Usa è ancora fragilissima: è giusto intervenire sulle nuove bolle che il denaro a buon mercato sta alimentando e punire chi ha ricominciato a speculare con spregiudicatezza, assumendosi rischi enormi. Ma per ora i mercati percepiscono solo che il futuro è incerto: le misure di Obama rischiano di arenarsi al Congresso, come è già avvenuto per le altre riforme delle regole della finanza presentate dala Casa Bianca a fine primavera scorsa. Il clima, poi, si è ulteriormente incupito ieri quando è emerso che diversi, influenti senatori democratici non intendono votare la conferma di Ben Bernanke alla guida della Fed: in questo modo la senatrice californiana Barbara Boxer, Russ Feingold del Wisconsin e Byron Dorgan del North Dakota, tra gli altri, hanno voltato le spalle non solo a Bernanke ma anche a Obama che lo ha confermato per altri quattro anni alla guida della Banca centrale Usa. Alla fine è improbabile che il capo della Fed venga bocciato: diversi senatori repubblicani sono orientati a votare per un banchiere che, 4 anni fa, era stato scelto da George Bush e che quasi tutti i leader del mondo degli affari - oltre all’ ex capo della Fed, il repubblicano e liberista Alan Greenspan - vogliono vedere riconfermato senza indugi. Ma sono proprio gli indugi che spaventano: se il voto non arriverà entro fine gennaio, Bernanke dovrà momentaneamente lasciare la guida della Fed al suo vice, Donald Kohn. Gli operatori guardano con spavento ad una simile evenienza, così come trovano spaventoso che il «sacerdote del dollaro» possa passare magari con un margine minimo a causa del malumore di un pugno di senatori per il risultato del voto in Massachusetts. Non tutto, nel mutato andamento dei mercati, sembra comunque dipendere da quello che è successo nelle urne e nel circuito Casa Bianca-Congresso-Fed: a perdere terreno, infatti, non sono stati solo i titoli finanziari (con le banche in fortissimo ribasso dopo che Obama ha proposto i nuovi vincoli), ma anche quelli tecnologici: segno che sono tornate preoccupazioni sulla tenuta dell’ intero sistema produttivo, anche per il peggioramento dei rapporti con la Cina che potrebbero portare ad un inasprimento della politica monetaria di Pechino.
Massimo Gaggi