Fulvio Milone (a cura di), La Stampa 26/1/2010, pagina 80, 26 gennaio 2010
DOMANDE
& RISPOSTE: COME FUNZIONA IL TEST DEL DNA -
Luca Bianchini, stupratore incastrato dal Dna, si dichiara innocente.
Che cos’è questo test?
Il Dna, acronimo di acido desossiribonucleico, è una macromolecola presente nell’organismo che «trasporta» e «trasmette» da una generazione all’altra tutte le informazioni che danno specificità all’organismo, rendendo quest’ultimo diverso da ogni altro. L’esame del Dna è quindi un’arma formidabile a disposizione della giustizia, perché consente l’identificazione di un individuo da parti anche infinitesimali del suo tessuto corporeo: bastano un capello, un frammento di pelle, un po’ di saliva, o una minuscola quantità di sangue, o di sperma, o di urina, e il gioco è fatto.
Come si esegue l’esame?
Le molecole di una piccola regione di Dna vengono «fotocopiate» per mezzo di sostanze fluorescenti che consentono di individuare la sequenza esatta dei punti caratteristici che determinano un’impronta genetica. Una delle tecniche più usate è la Pcr (Polimerase Chain Reaction): serve a creare milioni di copie esatte di Dna da campioni biologici minuscoli. Ne viene fuori uno schema: se corrisponde in almeno tredici punti con quello estratto dal campione raccolto sulla scena del crimine, significa che vi è una coincidenza con un margine di errore infinitesimale.
Qual è lo scopo del test sotto il profilo giudiziario?
«Incastrare» potenziali persone sospette nel caso in cui il loro Dna corrisponda alle tracce lasciate sulla scena di un crimine o, viceversa, scagionare chi è stato ingiustamente accusato. Identificare vittime altrimenti irriconoscibili di omicidi o di sciagure. Stabilire la paternità certa. L’esame del Dna è divenuto ormai uno strumento indispensabile soprattutto nelle indagini sui crimini a sfondo sessuale. Luca Bianchini, da ieri sotto processo con l’accusa di avere stuprato tre donne a Roma, è «inchiodato» dal test che per due volte ha dato esito positivo. Viceversa, l’analisi del Dna ha scagionato due romeni, Karol Racz e Alexandru Loyos Isztoika, indicati in un primo momento come coloro che avevano violentato una minorenne nel parco della Caffarella, a Roma.
Che importanza ha il test durante un processo?
Una sentenza della Cassazione ha stabilito che i risultati dell’indagine genetica condotta sul Dna hanno valore di prova. Non basta: il rifiuto ingiustificato dell’imputato di consegnare o lasciarsi prelevare campioni di Dna per la loro comparazione con i reperti raccolti sul luogo del delitto può costituire per il giudice valore di prova. Insomma, per la giustizia italiana l’esame del Dna è determinante in sede di giudizio.
L’analisi non presenta margine di errore?
Secondo gli esperti, il rischio è praticamente nullo: il test del Dna, sostengono, è sicuro al 99,9 per cento. Non parlano di compatibilità al cento per cento solo perché, in teoria, si potrebbe ipotizzare il caso rarissimo di due soggetti che abbiano il Dna con le stesse caratteristiche. Il test per la compatibilità del Dna è comunque accuratissimo: gli accertamenti eseguiti sono almeno sedici. Ciò, tuttavia, non significa che il risultato della prova sia sempre affidabile.
Per quale motivo?
Il problema non è nell’esame in sé, ma spesso si annida nella raccolta o nella conservazione non corretta dei campioni da analizzare. Il rischio che il reperto raccolto sia «inquinato» da agenti esterni, e che quindi l’esame dia risultati sballati, è elevatissimo: molte indagini sono state messe clamorosamente in pericolo per l’approssimazione con cui gli investigatori hanno agito.
Quali sono le regole per la raccolta dei campioni?
La prima è non contaminare in alcun modo la scena del crimine. I detective della scientifica devono entrare in azione, se è possibile, per primi, e solo dopo avere indossato tute e mascherine. Il reperto deve essere sistemato subito in un contenitore stagno perfettamente pulito. Tutte le fasi della raccolta vengono di solito filmate. Il contenitore, poi, può essere aperto solo dal perito incaricato dell’esame dall’autorità giudiziaria. Ogni fase del lavoro degli esperti, insomma, è caratterizzata dalla massima cautela. L’eventualità che il test sia invalidato a causa della presenza di sostanze «esterne», insomma, è sempre dietro l’angolo.
Da quanti anni il test vieneeseguito in Italia?
Dall’inizio degli Anni Novanta. I primi, rudimentali esami vennero eseguiti su 51 mozziconi di sigaretta trovati sul luogo della strage di mafia a Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Il test del Dna è stato inoltre determinante per l’identificazione di Donato Bilancia, il serial killer della Riviera di Ponente, che fra il ”97 e il ”98 ha compiuto diciotto omicidi.
a cura di Fulvio Milone