Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 26 Martedì calendario

GIOIA TAURO AFFONDA, SUI MOLI SBARCA LA "CASSA"

Cecilia Eckelmann Battistello parla chiaro: «La situazione di Goia Tauro è gravissima. Non escludo che se continua così il terminal possa chiudere».
La donna più potente dello shipping e in particolare delle attività di transhipment (quelle che si occupano di portare container in ogni angolo del globo e poi di trasferirli dalle grandi navi a quelle di dimensioni minori), ha appena chiesto la cassa integrazione per 400 su 1.300 addetti della banchina calabrese, che gestisce attraverso la Medcenter Container Terminal, di cui è presidente, società al 67% di Contship Italia, il principale terminalista italiano, che è sempre sotto la sua guida.
La procedura di concertazione per i 400 è stata avviata venerdì, i sindacati hanno chiesto una proroga al 2 febbraio, per scongiurare il ricorso agli ammortizzatori sociali. in atto un confronto con la Regione Calabria. «Che non ha fatto nulla. Solo politica. Sono andata io stessa dal presidente Agazio Loiero. ”Guardi che ci sono a rischio più di mille posti di lavoro”, gli ho detto. ”A saperlo le avrei dedicato mezz’ora in più”, mi ha risposto». Si discute su bandi per la formazione continua, per la sovvenzione di lavoratori svantaggiati... «Inadeguati. E non risolvono il problema».
Già, il problema. quello di un sistema che sta facendo tragicamente i conti con il mercato. I porti italiani di transhipment stanno boccheggiando sotto i colpi della contrazione dei traffici a lunga distanza (Cina, soprattutto) per le merci trasportate nei container. Per Gioia Tauro il 2009 si chiude con un -17,6% di volumi. Diverse fonti stimano per il 2010 un -30%.
In più, c’è la concorrenza dei terminal stranieri. Spietata, soprattutto in giorni in cui le grandi compagnie di navigazione, leggi la danese Maersk (al 33% nella gestione di Gioia Tauro) e la Msc dell’italiano Gianluigi Aponte, alle prese con carichi di container che non coprono nemmeno i costi della nave, cercano di risparmiare al centesimo.
«Goia Tauro è nata per volontà politica, lo sappiamo tutti. Ma negli Anni Novanta c’era davvero l’opportunità di fare qualcosa di buono, nonostante le difficoltà del territorio e le autorità portuali inadeguate» prosegue Cecilia Battistello. «E per un po’ è stato così. Ma all’epoca il terminal calabrese era uno dei pochi». Oggi ci sono anche Cagliari, Taranto, ma soprattutto Malta, Algerciras, Port Said, Tangeri, Beirut, Damietta. Scali, questi ultimi, che offrono costi inferiori a quelli italiani.
«Movimentare un container a Port Said costa il 25% in meno che a Goia Tauro. Tasse, diritti portuali, costo del lavoro, il monopolio dei rimorchiatori e dei piloti del porto, dogane che ostacolano i flussi: i terminal italiani non sono competitivi». E Gioia Tauro, meno ancora. «Un addetto costa all’anno più che negli altri porti del Paese». Anche per gli incentivi erogati per combattere l’assenteismo (al 14%).
Così, le grandi navi scappano. Due anni fa Maersk copriva il 75% dei traffici del terminal calabrese, oggi siamo al 50%: la società ha dirottato la differenza su Port Said. «Nel 2009 la loro linea marittima ha perso 2,5 miliardi di dollari: è chiaro che Maersk si sposti dove trova costi inferiori», dice ancora la «lady» del transhipment. I danesi potrebbero proseguire nella smobilitazione. E potrebbe cominciare a farlo Msc di Aponte, che oggi copre l’altro 50% dei traffici. Per Goia Tauro sarebbe la fine. Per il terminal, e per l’indotto, con ricadute sociali gravissime.
«A perderci sarebbe tutto il Paese, non solo la Calabria. Perché i container in transito non restano in Italia. Se li perde Goia Tauro non andranno a Genova, a La Spezia o a Venezia, ma all’estero». La soluzione? «Dare una mano non a noi, ma ai nostri clienti, intervenendo sui costi». Confetra, la confederazione italiana dei trasporti e della logistica, chiede l’abbattimento delle tasse di ancoraggio e delle accise sugli energetici, la riduzione degli oneri sociali e dei costi dei servizi. Come inizio. Quindi, «lo Stato dovrà dirci se è ancora interessato ai terminal di transhipment del Sud». Perché non c’è solo il caso Goia Tauro: a Taranto il 50% degli addetti del terminal è già in «cassa».
Fabio Pozzo