Francesco Spini, La Stampa 25/1/2010, pagina 23, 25 gennaio 2010
PETROLIO E AFFARI. LA GUERRA DEI VELENI PER I POZZI D’AFRICA
Tutto si può dire, tranne che gli inglesi non ci abbiano provato fino all’ultimo a sfilare all’Eni il maxi-contratto in Uganda. In palio c’era il 50% di due giacimenti petroliferi sul lago Albert. Sono un buon affare: dopo il 2014 cominceranno a pompare oro nero al ritmo che tra il 2016 e il 2017 arriverà a 50 mila barili al giorno. Il gruppo guidato da Paolo Scaroni, se come sembra non incontrerà intoppi, potrà consolidare il ruolo di primo produttore in Africa, nuova Terra Promessa per una materia prima sempre più rara.
Gli inglesi in svantaggio in questa battaglia ugandese, sono quelli di Tullow Oil che hanno già in mano il 50% dei pozzi in questione, oltre al 100% del blocco 2. Hanno provato a calare quello che ritenevano un asso, ovvero il diritto di prelazione sull’altra metà in mano a un’altro gruppo inglese, la Heritage Oil. Ma ora la sconfitta rischia di essere rovinosa per i piani di una compagnia che contava di diventare il monopolista in terra ugandese e di lì sviluppare ulteriormente il suo business. Invece con ogni probabilità oggi l’assemblea di Heritage ratificherà la vendita e a San Donato si potrà festeggiare.
Ma il protagonista dell’intera vicenda è un altro: il governo di Kampala, con in prima fila il presidente Yoweri Museveni. Il quale si è riservato, sull’intera vicenda, l’ultima parola. In sostanza, un diritto di veto. Due settimane fa il ministro degli Esteri Franco Frattini era stato a Kampala, affrontando pure il tema pozzi e i 13 miliardi di investimenti globali messi sul piatto da Eni. Nel fine settimana appena trascorso è stata invece la volta di Aidan Heavey, numero uno di Tullow, volato fino alla capitale ugandese per tentare un disperato recupero in zona Cesarini. Contemporaneamente, però, proprio dall’Inghilterra sono giunte voci tese a gettare veleni sulla vigilia della possibile vittoria italiana. «Eni - scriveva ieri il compassato Sunday Times - potrebbe dare un dolcificante in contanti fino a 300 milioni di dollari al governo ugandese per convincerlo ad approvare la sua offerta da 1,5 miliardi» e rigettare l’offerta della rivale Tullow Oil. Soldi diretti non a Heritage e ai suoi azionisti, quantomeno non solo. Ma diretti, tutti o in parte, al governo. Indiscrezioni che ufficialmente Eni, come al solito, preferisce non commentare.
Fonti finanziarie vicine al gruppo, però, liquidano come «assurdità» tali ipotesi, ricordando come le uniche trattative che il gruppo ha condotto siano state con Heritage. Non con il governo di Kampala. Quest’ultimo ha perfino minacciato, attraverso il ministro dell’energia Hillary Onek, di porre il veto al diritto di prelazione vantato da Tullow perché «noi sosteniamo l’intesa tra Eni e Heritage». E sul perché ha sempre riportato un’altra versione. Per Kampala non sarebbe prudente lasciare tutti i suoi giacimenti nelle mani di un solo gruppo, trattandosi questi di contratti «Psa» che suddividono gli utili della produzione, attraverso rinegoziazioni che scattano a seconda delle quotazioni del petrolio. Avere in casa una sola compagnia - e quindi Tullow Oil -, significherebbe non avere alcun potere di condizionamento (e di ricatto) sui propri giacimenti. Gli inglesi, invece, ne fanno una questione di soldi al governo. Solo uno dei primi capitoli di quella che in futuro sarà la corsa all’Africa nera. Di petrolio.
Francesco Spini