Maurizio Tropeano, La Stampa 24/1/2010, pagina 17, 24 gennaio 2010
TRASVERSALI E PACIFICI, L’ONDA DEI NO TAV
Numeri, tanti numeri. Servono numeri per dimostrare che il movimento No Tav non è morto, non è residuale «perché non siamo i trecento delle Termopili». Lo gridano da una settimana ma per dimostrarlo ci vuole la prova del nove. E così al bivio che separa la statale che porta verso la Francia dal presidio dell’autoporto di Susa gli occhi delle vedette No Tav che nelle notti della scorsa settimana inseguivano le trivelle adesso si illuminano ad ogni passaggio di persone e bandiere. I numeri dicono che il popolo No Tav è tornato.
«Siamo i quarantamila della Valsusa contro la Tav», urla Alberto Perino, uno dei volti più noti della protesta. Le forze dell’ordine - presenza discreta per una manifestazioni pacifica - parlano di ventimila persone. Ma al di là delle cifre il segnale politico è netto e lo coglie Mario Virano presidente dell’Osservatorio Torino-Lione: «La manifestazione suggerisce a chi è a favore dell’opera di non perdere di vista la complessità della questione del consenso».
Già, perché quello di ieri era veramente il popolo che si può incontrare in una festa paesana. Ci sono i «montanari imbizzarriti» come li hanno chiamati che si portano dietro i figli, i nonni, i bebè. E le proprie professioni. Operai che dopo il turno in fabbrica vanno al presidio. Impiegati comunali. E piccoli imprenditori che hanno tirato su una micro-economia di valle incentrata sul cibo. Claudio Maritano con il suo pane bio è uno di loro come il torrefattore che manda il caffè in Vaticano o i viticoltori di Chiomonte. Ci sono gli agricoltori «preoccupati dei tanti cantieri che potrebbero sorgere in aree fertili», come informava una nota della Coldiretti di Sant’Ambrogio.
E poi ci sono quelli della metropoli. Anche qui famiglie, gli studenti dell’Onda, quelli di Askatasuna, gli anarchici. Una minoranza rispetto ai montanari ma integrata in quell’esperienza di democrazia partecipata che dalla Valsusa è arrivata ai No Dal Molin di Vicenza. E ci sono i politici a caccia del consenso (Rifondazione con il segretario Fererro, Sinistra Critica, i Grillini, l’europarlamentare Idv Gianni Vattimo) ma «non hanno capito che non li votiamo», spiega un manifestante quando li sente parlare dal palco di piazza del Sole di Susa. C’è anche la Fiom.
Ma soprattutto ci sono di nuovo i sindaci. Senza fascia tricolore ma ci sono. Una ventina dei 24 ribelli della Valsusa. E c’è il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano. Processato dal Pd per l’alleanza con i No Tav. L’hanno accusato di comportarsi come un imam in una chiesa e lui risponde: «Arrivo dalla Dc e al massimo sono un sacerdote in una moschea. Ma non hanno capito che l’Osservatorio non ha convinto i valsusini: restiamo contro l’opera».
I democratici potranno anche commissariare il partito valsusino come sta pensando di fare il segretario regionale Gianfranco Morgando ma «di questo popolo solo il 10 per cento ci vota», precisa Plano. E dunque il problema dell’opposizione alla Tav resta: «Sarà una lotta lunga, la madre di tutte le battaglie sarà la presentazione del tracciato», urlano dal palco. Da ieri notte le vedette sono in azione. I No Tav si aspettano blitz con installazioni delle trivelle nelle stazioni di Avigliana, Bruzolo, Sant’Antonino di Susa. Trivelle che forse, per ora, resteranno nei magazzini.
Scelta tattica perché ieri il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, ha ribadito che la Torino-Lione si farà. Spiega: «E’ curioso che una minoranza pensi di poter bloccare un’infrastruttura di simile rilevanza. E poi chi si oppone non è una massa ma una piccola parte, fra il 2 e il 5%».
Maurizio Tropeano