Paolo Colonnello, La Stampa 24/1/2010, pagina 16, 24 gennaio 2010
GLI SCATTI DI SIGNORINI
Verità e bugie si mescolano facilmente in questa nuova vicenda di foto e ricatti sulla quale sta indagando la procura milanese. E dunque bisognerà aspettare la prossima settimana quando una nuova tornata d’interrogatori davanti al pm Frank Di Maio porterà forse un po’ di chiarezza tra i «si dice», che sono molti, e i fatti finora accertati, che sono pochi.
Di sicuro, nel tritacarne delle paparazzate fatte pagare migliaia di euro per scatti a volte innocenti, a volte imbarazzanti, sono finiti in diversi: si va da Lapo Elkann a Silvia Toffanin (compagna di Pier Silvio Berlusconi) fino alla stessa figlia del premier, Barbara, le cui foto finirono già nella prima indagine su Vallettopoli, quella costata a Fabrizio Corona 4 anni e mezzo di condanna in primo grado.
Si è detto che sono almeno una ventina i casi all’esame della procura: da Pieraccioni ad Adriano Galliani. Ma i più eclatanti riguardano finora il «ritiro» dal mercato delle foto di Lapo Elkann che sarebbero state pagate 200-300 mila euro, e di un vecchio filmato di Silvia Toffanin per il quale sarebbero stati versati 200 mila euro. Poi c’è il caso delle foto del ministro Alfano: immagini di una manicure alle Maldive davvero innocenti, sulle quali però si è scatenato un certo parapiglia e che sono state acquistate dal settimanale «Chi» ma non (ancora) pubblicate.
Di certo il ruolo ricoperto dal periodico della Mondadori e dal suo direttore Alfonso Signorini sembra essere in questo momento un po’ il centro dell’inchiesta. Non a caso ieri sia la casa editrice di Segrate sia lo stesso Signorini hanno diramato comunicati nei quali si parla di «assoluta estraneità», di «trasparenza e correttezza», di disponibilità per ogni chiarimento davanti alla magistratura, con riserva finale per querele ai giornali. Di sicuro Signorini si è attivato nella vicenda di Lapo Elkann: sarebbe stato proprio lui, dopo averle visionate in redazione, a telefonare all’imprenditore per avvertirlo dell’esistenza di alcune foto compromettenti che lo ritraevano mentre usciva da un camper in compagnia di un transessuale al Bois de Boulogne di Parigi. Niente di particolarmente sconvolgente, ma sufficiente, per un uomo come Lapo, già sottoposto a un tentativo di ricatto un paio di anni fa, per capire che qualcuno avrebbe approfittato di questa situazione. Le foto a Signorini erano arrivate da una delle agenzie che abitualmente lavorano con il suo settimanale, la «UnoPress» di Tonino Di Filippo (e non la SpyOne, come erroneamente scritto ieri), la stessa agenzia che, utilizzando un’attricetta, la scorsa primavera tentò d’incastrare due giornalisti dell’Espresso che lavoravano sul caso di Noemi Letizia, la minorenne che frequentava il premier.
Un rapporto di grande amicizia quello di Di Filippo con Signorini, tanto che quest’ultimo ebbe perfino a celebrare il matrimonio civile dell’amministratore dell’agenzia nel 2008 alla Villa Reale di via Palestro. Ciò nonostante ieri, al termine di una riunione con i legali del gruppo, Signorini avrebbe detto ai suoi collaboratori di essere convinto di non aver commesso alcun reato: «Appena ho visto quelle foto ho detto subito che non ero interessato alla pubblicazione». Anzi, Signorini pare sia convinto di avere fatto un favore a Lapo avvertendolo del pericolo che correva e dicendogli di chiamare l’avvocato della «UnoPress» per trattare il «ritiro» delle foto. Trattativa che poi sarebbe stata condotta da un famigliare di Lapo con Roberta Arrigoni, moglie di Di Filippo, fino al pagamento di una cifra astronomica. Insomma, quasi lo stesso schema che si era verificato per il filmato hard di Piero Marrazzo, con il direttore di «Chi» protagonista di una serie di telefonate per la vendita e il «ritiro» del video.
C’è poi da chiarire come mai durante i vari interrogatori di due giorni fa si sia anche parlato di foto scattate sempre a Lapo ma a Milano in viale Monza. Scatti che però non risulterebbero essere stati «ritirati»: dove sono finiti?
Ma nel mirino della procura non ci sono soltanto alcuni fotografi o qualche agenzia: è il «sistema» nel suo insieme che interessa e dunque pare che saranno diverse le agenzie che dovranno dare spiegazioni delle loro attività «parallele». Il numero degli indagati è destinato ad aumentare.
Paolo Colonnello