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 2010  gennaio 24 Domenica calendario

L’ORA NERA DI DELBONO

Un po’ di rispetto, per favore». Lo dice prima di sfuggire all’ultima domanda che lo insegue sulla piazzetta, davanti al tribunale, dopo 5 ore di interrogatorio e 50 giorni di silenzi, e lo dice voltandosi quasi di sbieco, di fronte al profilo del cronista che gli ha appena chiesto se pensa di dimettersi. Ma il «rispetto» in questa storia è come la verità, un’illusione perduta negli intrecci dell’amore e della politica, che un tempo facevano la leggenda di Bologna, e la sua immagine. Il sindaco Flavio Delbono ha un cappotto nero e una sciarpa bianca e un’aria meno triste di quella che aveva il giorno prima, quando s’era presentato in tv per parlare della sua «vicenda kafkiana», come l’aveva definita. Aveva detto che gli sembrava d’essere finito dentro a «un tritacarne mediatico». E il tritacarne è qui, adesso, assieme al Cinziagate, assieme a questa storia da Attrazione fatale, con l’amante abbandonata che gli rivolta contro tutto il loro passato e i loro viaggi, ed è qui assieme ai giornalisti che lo assediano, alla Procura che lo interroga, e al partito principe della città, il pd, che sta stranamente alla porta, quasi volesse prendere le distanze.
Perché è tutto così diverso, oggi. Persino Alfredo Cazzola, il candidato pdl che aveva messo in moto tutto questo marasma in diretta tv («le porto i saluti di Cinzia, che a dire il vero non parla molto bene di lei»), persino lui preferisce mettersi quasi in disparte, come un cinese sul fiume: «Io adesso sto a guardare. Ma se devo essere sincero mi sento come quando il Bologna fu promosso in serie A, e se tutto sarà provato sarò il primo a chiedere le sue dimissioni». Mentre l’unica dichiarazione del segretario pd Andrea De Maria è così vaga da non sembrare proprio un salvagente: «Noi confermiamo tutta la nostra fiducia alla magistratura e a Delbono. Ma è importante che lui chiarisca la sua posizione». E allora qual è la verità? Come il «rispetto», è una certezza che si è persa nei meandri di Bologna, tra le fazioni e i partiti, dentro a una vicenda il cui valore penale, se c’è, ammonterebbe alla fine a «circa 400 euro», come ha detto il sindaco ai giornalisti. Non è questo che conta. A imbarazzare davvero è quello che sta dietro a questa storia, la debolezza del pd, la sua immagine perduta e la sua guerra di bande (dal politologo Gianfranco Pasquino all’ex onorevole Mauro Zani quanti sono quelli già andati via?), e il ritratto di un sindaco che fra amanti varie (adesso tutta la città gliene hanno già affibbiata una nuova, molto famosa) e soliloqui televisivi, sembra molto più berlusconiano che anti. E così, la donna che secondo la sua fidanzata abbandonata, l’ex segretaria Cinzia Cracchi, prima faceva da mediatrice fra i due litiganti e poi finisce a fare l’assessore al welfare, non ricorda tanto le ministre del governo messe sotto accusa dalla sinistra?
E’ qui, in questo marasma, che s’avviluppa il «tritacarne mediatico». In realtà, il problema di Bologna non è Bologna, che continua ad avere e a produrre eccellenze di grande valore (i Vacchi, i Seragnoli, Lorenzo Sassoli o Bruno Borsari, la sua cultura tutta, da Mambo ai teatri), ma riguarda quella che era stata fino a ieri la sua guida: l’ex pci, il nuovo pd. Nella sua crisi accade tutto. Anche oggi è così. Delbono cerca di chiarire la sua posizione, il partito assiste in disparte. Lui spiega: a) «ho incontrato Cinzia in questi due mesi, ma sempre con dei testimoni»; b) «non le ho mai dato denaro per il suo silenzio, né gliel’ho mai offerto»; c) «il bancomat che Cinzia usava era del mio amico Mirko Divani al quale avevo prestato dei soldi per l’acquisto di una casa. Così lui me li restituiva». Ai giudici ha portato la fattura di un’agenzia di viaggio per dimostrare che non erano a spese dell’ente pubblico. L’unico errore, ammette, è dovuto a un’incomprensione fra lui e l’ufficio rimborsi della Regione, per una nota spese non dovuta di 400 euro: «ho rinunciato all’ultimo momento a un convegno per andare in vacanza, ma per un disguido la pratica era già stata avviata. Restituirò subito quella cifra». Poi cerca di sfuggire infastidito: «Se la piantate è meglio», dice ai cronisti.
Invece, va da Etv, per parlare ai bolognesi: «Io dico ai miei concittadini che in questi giorni hanno esitato e che si sono preoccupati, di essere sereni che la situazione non dà dubbi sulla correttezza del mio comportamento. Non c’è nessuna ombra. Sono state scritte un mucchio di menzogne, di accuse false e fantasiose». Attacca Cazzola: «Questa situazione è figlia del suo comportamento. E’ lui che ha avvelenato questa città. Bologna non era così. La calunnia è stato l’unico contributo politico che è riuscito a dare. Ha messo in dubbio la mia moralità e ha diffamato Nicoletta Mantovani dicendo che lei finanziava la mia campagna elettorale». Dimissioni, neanche a parlarne: «Non mi ha mai sfiorato nemmeno l’ipotesi, è un’idea che non esiste, un punto di vista che non mi appartiene. Io non sono ricattabile. So perfettamente cosa ho fatto e so di aver rispettato le leggi. Guardate cos’è successo a Pescara e in altre città: hanno buttato giù sindaci di sinistra con le calunnie, e quando la destra ha vinto le elezioni, tutte le accuse sono cadute. Non possiamo finire così». Guardava dritto la telecamera. Ma a chi parlava? Ai bolognesi o al suo partito?
Pierangelo Sapegno