Massimo Novelli, La Repubblica 24/1/2010, 24 gennaio 2010
LA FAME E LE RICETTE DEL LAGER
«Alla sera, al rientro in baracca accucciate nei lettia castello, s’ incominciavaa parlare di minestre e pietanze; di tante minestre da sentirne il profumo e di tante pietanze da sentirne il sapore e parlando si scrivevano ricette sui ritagli bianchi dei giornali». Campo di concentramento di Ravensbrück, sottocampo di Rechlin, novanta chilometri a nord di Berlino. Qui, tra il settembre del 1944 e l’ 8 maggio del ’ 45, quando verranno liberate dall’ Armata Rossa, le sorelle Maria Camilla e Maria Alessandra Pallavicino di Ceva e di Priola, giovani nobildonne piemontesi, vivono l’ inferno del lager. Arrestate nell’ aprile del ’ 44 dai tedeschia Nucetto, vicino a Ceva, nella loro casa di villeggiatura, con l’ accusa di avere collaborato con la Resistenza e aiutato il fratello partigiano, sono deportate in Germania. Ravensbrück, il Ponte dei Corvi, a Maria Camilla, ventunenne, appare «come un enorme paese di baracche di legno dipinte di verde scuro», con le strade «coperte di carbonina». Il «tutto lugubre, ma davanti ai blocchi principali non mancano i fiorellini molto ben curati». Negli ultimi mesi, dopo le evacuazioni dei lager polacchi, «i forni cominciarono a funzionare notte e giorno». Bisogna sopravvivere, soprattutto alla denutrizione. in quei mesi trascorsi nei block che Maria Camilla e le compagne provanoa dimenticare per un po’ la fame che le lacera. Lo fanno parlando di «meravigliose pietanze» e discutendone l’ esecuzione fino anche «a litigare per le divergenze di come avrebbero dovuto essere preparate». Giorni e notti senza fine, una babele di lingue - polacco, russo, ceco, slovacco, ungherese, francese, italiano - che vuoIl ricettario la seguì nel lungo viaggio di ritorno: «Non abbandono certo questo libretto, conservato con grandi fatiche e sotterfugi». Ritrovato nella casa di Nucetto, viene proposto in versione anastatica (su cd) nel libro che raccoglie le memorie dell’ ex matricola numero 49569, morta nel 1989. Curato da Elisa Mora, Non perdere la speranza. La storia di due sorelle in Lager è pubblicato dalle Edizioni dell’ Orso, nella collana Quaderni della Memoria diretta da Mariarosa Masoero e da Lucio Monaco. Da tempo si sapeva dell’ esistenza di quaderni del genere. Ma finora, come sottolinea la professoressa Masoero, «non ne erano mai stati scoperti». dunque «un documento eccezionale; una testimonianza, tipicamente femminile, di resistenza. Ed è un atto di fiducia nel futuro». Ciò non rese loro in ogni caso la vita facile. Se ne andarono: nel 1898 a Carpi erano rimasti non più di trenta ebrei, e ciò portò alla chiusura della sinagoga nel 1922. Quando nel 1938 furono promulgate le leggi razziali - sulla falsariga delle leggi tedesche del 1935 - gli ebrei italiani furono presi apertamente di mira. Formavano l’ élite intellettuale, appartenevamo alla borghesia o a una classe media molto agiata. Per loro quelle leggi furono veramente inimmaginabili. Non pensavano affatto che un giorno sarebbero stati discriminati nel loro stesso Paese, scacciati dalle scuole, esclusi dai mezzi pubblici, umiliati pubblicamente dai fascisti. Attesero il peggio e il peggio arrivò. Il premio Nobel per la medicina del 1986 Rita Levi Montalcini, oggi centenaria, nel 1938 era scappata in Belgio. Il governo di Mussolini aprì alcuni campi di concentramento per ammassarvi l’ opposizione politica da una parte e gli ebrei dall’ altra. Ciò accadde proprio nei dintorni di Carpi, per la precisione a Fossoli, in aperta campagna. Agli ebrei furono destinate otto baracche, nelle quali furono rinchiuse intere famiglie. In ogni camerata c’ erano tra le centocinquanta e le centosessanta persone. Le condizioni di detenzione erano «più o meno corrette»- raccontano oggi alcuni dei sopravvissuti -, soprattutto se paragonate a quelle che avrebbero vissuto a Auschwitz o a Bergen-Belsen, dove il novantadue per cento dei prigionieri fu sterminato dai nazisti. Gli oppositori politici furono spediti a Mauthausen, in Austria. Primo Levi fu arrestato per motivi politici il 13 dicembre 1943 in Val d’ Aosta, ma nel suo interrogatorio confessò di essere anche ebreo. Fu spedito immediatamente nel campo di Fossoli dove rimase un mese nelle baracche riservate agli ebrei, per la precisione nella sesta. Poi, il 22 febbraio 1944, fu deportato ad Auschwitz. Nel suo libro Se questo è un uomo parla poco di Fossoli: «Ci caricarono sui torpedoni,e ci portarono alla stazione di Carpi. Qui ci attendeva il trenoe la scorta per il viaggio. Qui ricevemmo i primi colpi e la cosa fu così nuova e insensata che non provammo dolore, nel corpo né nell’ anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera?». La discrezione e il coraggio di Levi furono notati dai suoi compatrioti, come testimoniamo alcuni sopravvissuti. Egli aveva assistito all’ esecuzione di donne incinte e di anziani, perché in attesa della morte in ogni caso certa non erano risultati adatti a lavorare nei campi. Quell’ uomo ferito così profondamente si convinse che le parole non potessero bastare a reggere il peso di una simile tragedia. Il 12 luglio 1944 i nazisti uccisero nel campo di Fossoli settanta antifascisti, i cui nomi sono scritti sulle pareti del museo di Carpi. Il campo di Fossoli è diventato oggi un luogo della memoria. visitato dalle scolaresche (fino a quarantamila studenti ogni anno), da stranieri, da storici, dai familiari di chi vi perse la vita. Una mostra permanente ricorda che cosa fu quel luogo, cosa fu quell’ epoca. interessante vedere il primo numero della rivista fascista La difesa della razza, datato agosto 1938, un mese prima che entrassero in vigore le leggi razziali. Foto, testimonianze, disegni, modellini, tutto ciò che serve a rendere l’ idea di quello che accadde in quegli anni disgraziati è lì esposto. La sinagoga principale, situata all’ angolo tra la piazza dei Martiri e via Giulio Rovighi, è vuota. Funge da ufficio per la Fondazione dell’ ex-campo di Fossoli. Più lontano, il museo della memoria è situato di fronte alla più vecchia chiesa di Carpi, Santa Maria del Castello detta la Sagra. Sulle sue pareti sono incisi migliaia di nomi. Vi sono delle voci registrate, dei disegni su pietra, uno dei quali di Picasso,e un muro dipinto da Guttuso in ricordo delle Fosse Ardeatine, l’ esecuzione di 335 civili nella rappresaglia per l’ attentato del 23 marzo 1944 a Roma nel quale erano stati uccisi trentatré tedeschi. Le pareti del museo sono interamente ricoperte di brani di lettere scritte dai deportati: «Le porte si aprono... ed ecco i nostri assassini. Sono vestiti di nero. Le loro mani sporche indossano guanti bianchi» (Esther); «Io muoio, ma vivrò» (Alekscin); «Se tu avessi visto, come io ho visto in questa prigione, ciò che fanno patire agli ebrei, rimpiangeresti di non averne salvati in numero maggiore» (Odoardo); «Sono fiero di meritare questa pena» (Pierre); «Che cosa può fare un uomo che si trova in prigione e che è minacciato di morte sicura? Eppure mi temono» (Sawa); «La mia bocca vi porterà sulle labbra mute» (Emile). E così Carpi mantiene viva la memoria delle vittime del fascismo e del nazismo. I suoi abitanti amano altresì ricordare che è una regione ricca, che non ha mai votato a destra e che coltiva le sue tradizioni culinarie, famose per il parmigiano e l’ aceto balsamico. C’ è un centro culturale molto attivo, e ogni anno si organizza un grande festival letterario, la Festa del racconto. Alcuni ricordano con umorismo che i genitori dell’ attore americano Ernest Borgnine sono di Carpi. Dicono: «Carpi ha regalato al cinema il più celebre interprete di ruoli secondari, spesso cattivo e crudele. Ma Ernesto Bordino (il suo vero nome) è un uomo così affascinante!». Traduzione di Anna Bissanti - MASSIMO NOVELLI