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 2010  gennaio 24 Domenica calendario

CARMEN CONSOLI - ROMA

Prima dell´espressione arrivano due occhi neri che bucano una piccola mappa siciliana impressa sul volto, forza e malinconia incise come un graffito, da sirena minuta e caparbia un tempo confusamente felice, oggi addirittura capace di calarsi nei panni di Elettra, come ha intitolato il suo ultimo disco nel quale mette fuori sentimenti forti, molto privati. «Ha coinciso col tentativo di superare un dolore forte, quasi invalicabile. Ovvero la morte di mio padre. Questo mi ha fatto capire l´importanza che la musica ha nella mia vita. Ha trasformato un sentimento di disperazione in gioia».
Parla con una cadenza perfetta dalla quale affiora come un vezzo il dialetto siciliano, anzi catanese, un chiddu e chistu ogni tanto messo lì a intercalare il suo sguardo spalancato sulla vita, questo sì, ancora da bambina. «Da questo momento nutro una gratitudine ancora più grande nei confronti della musica. Non è la prima volta, certo, ma è la prima volta che mi sono trovata a superare una fase così dura. Diciamo tre anni impegnativi, mi sembrava che mi camminasse vicino il concetto di morte, è morto il mio bassista, poi c´è stata la morte di mio padre, e poi intendiamoci ci sono state esperienze meravigliose, sono stati anni intensi e belli, e alla fine anche la scomparsa di mio papà ha avuto una sua parte molto bella, diciamo una parte di saluto, avvenuta in una maniera speciale».
La sua casa romana, in un palazzo qualsiasi del quartiere Prati, è linda ed essenziale, bianca, quasi a contrasto col nero degli occhi e dei capelli. «Quando ci arrivo da Catania preferisco arrivarci in macchina, così per sedimentare la distanza. In aereo non mi piace, finisco per avere nostalgia di quello che lascio, della terra ai piedi dell´Etna, invece quando ci metto delle ore ho il tempo di assaporare tutti gli stati d´animo e alla fine non vedo l´ora di arrivare a Roma. il problema che abbiamo tutti, oggi non ci prendiamo più il tempo di cui le cose hanno bisogno. A me piace sentirmi itinerante, non pellegrina o viandante, semplicemente itinerante».
Ormai cresciuta, Carmen Consoli ha imparato a pesare bene ogni cosa, ad apprezzare le forme del vivere come specchio dell´anima. La vita che racconta sembra un incastro prezioso, senza sprechi e al centro campeggia enorme il culto della musica. «A trentacinque anni la musica ha assunto un altro significato, non la voglio più sprecare. Tutti i dischi che farò saranno frutto di un sentimento profondo e voluto, non voglio sciupare queste opportunità, non l´ho mai fatto in realtà ma adesso più che mai: la rispetto troppo e ho capito che non la venderei mai, prescinde dal business, se un giorno mi sentirò di fare un disco in arabo, assolutamente non commerciabile, ma è quello che dice la mia voce interiore, allora lo farò. L´ho fatto anche con Elettra. Ho iniziato dicendo faccio un disco acustico, non ci voglio mettere troppo ketchup (come dicono i discografici, visto che ormai è tutta una gastronomia). Loro mi lasciano completamente libera, devo dire, però mi dicevano: così è difficile da vendere, ma io ho insistito, lo voglio così, e non è un problema di coraggio. Un disco è come fare un bambino, è un atto d´amore, esce come deve uscire e lo accetto com´è. Poi è stato come una medicina, mi ha portato una guarigione quasi completa, regalandomi momenti di estasi, di gioia, quindi anche simbolicamente rappresenta un punto importante della mia vita. Ci ho lavorato tanto, in modo epidermico, non l´ho lasciato un attimo, i dischi li ho sempre fatti con trasporto, ma qui non era più solo musica: è quello che sono, non quello che faccio, sono io».
 talmente infervorata che sembra diventata la sacerdotessa di uno speciale culto dell´arte. «Al di là dei fatti personali, sono arrivata alla decisione di dedicare la mia vita alla musica. Ed è sicuramente il frutto della mia crescita proprio in un´età che sembra stare nel mezzo del cammin di nostra vita. Diciamo che ci sono state esperienze e circostanze che mi hanno portato a ricorrere alla musica tutte le volte che dovevo centrarmi. Succede che, dopo tanti anni e tanti dischi, rischi di non farlo più, di fare le cose a tavolino. Da questo punto di vista forse sono anche un po´ tornata indietro, e sono molto ispirata, il disco è uscito da tre mesi, ma io ho continuato a scrivere, scrivo di tutto, quello che mi pare, pezzi onirici con accostamenti improbabili, pezzi strumentali, ma del resto chi me lo impedisce? Dopo quindici anni è facile crearsi degli schemi, invece gioco, sperimento, provo cose diverse. A volte in passato ho usato la musica per esprimere rabbia, rancore, oppure la mia insoddisfazione riguardo alle ingiustizie che vedevo, ora è diventato un atto d´amore, ho una sensazione di esaltazione, la passione è la chiave, e vuol dire anche sofferenza, sudore, bisogna lavorare tanto per tirare fuori il grano dalla gramigna, perché a volte ci si inganna, ma quando si lavora tanto, poi succede il miracolo. La canzone che ho scritto sul mio papà, Mandaci una cartolina, l´ho scritta in mezz´ora, tutta intera, frrr… era fatta. A volte mi sembra che noi da qualche parte lo sappiamo già quello che vogliamo dire, ed è un mezzo, una cosa nobile, come la bellezza. bello ciò che è vero, questo mi interessa oggi. O meglio, non è bello tutto ciò che è vero, ma sicuramente ciò che è bello è vero».
Dalla convinzione con cui afferma la sua fiducia nella musica si intravede qualcosa di spiritualmente forte. Da qualche anno ha iniziato una pratica buddista. Ed è facile immaginare che questa scelta abbia avuto un ruolo importante nella sua crescita. Magari non è una cosa di cui ha voglia di parlare, oppure sì? «La pratica c´entra molto, perché ti insegna a trasformare le avversità in opportunità, quindi fondamentalmente ti spinge all´azione, è fondata su un preciso rapporto di causa ed effetto, per cui c´è di mezzo anche la passione per la vita. E io la voglio celebrare, e nel farlo sono come un archivista, come Darwin, cerco di guidare i miei pensieri e le mie azioni perché possano produrre valore. La pratica ha esaltato il gusto di trovare piacere anche da piccole cose, ti rendi conto delle fortune che hai. Prima se un giornalista diceva che il mio disco faceva schifo, e altri dieci dicevano che era un capolavoro, io che andavo a pensare? Ovviamente a chiddu che gli faceva schifo, e invece no, non è giusto. Quello che mi piace è che parla dell´oggi, non dice: tranquilli perché poi sarete felici con Dio, e che facciamo, lo statalismo della religione? Tutte quelle anime messe lì in deposito che non fanno niente? A me piace l´attuazione nella pratica, nel buddismo quello che fai ti torna, questa filosofia mi porta molta calma, mi spinge a non prendermela per questioni irrilevanti, a dare la giusta gerarchia alle cose».
Ma non per questo è pacificata, anzi, sembra un tumulto di ragazza, una che il vulcano sotto il quale è cresciuta se lo porta dentro, metabolizzato e relativamente sotto controllo. E non si stanca, questo è importante, di trovare stupore nel consumatissimo mestiere di fare canzoni. Possibile, dopo un secolo in cui sono state inventate milioni di canzoni e le combinazioni sembrano praticamente esaurite? «In realtà le combinazioni sono infinite, anche se le relazioni tra le note sono sempre le stesse. E come quando dici che una donna è bellissima, lo dici dopo millenni di bellezze femminili, ma ciò non impedisce di stupirti ed emozionarti di fronte alla sua bellezza anche se in fondo gli elementi sono gli stessi di sempre. Per la canzone accade la stessa cosa. Ma per crescere bisogna studiare, io sto studiando armonia, studio il basso, insomma studio, sempre, quattro ore al giorno, magari tra dieci anni scrivo un bolero, un´opera, chissà, ma io intanto studio perché voglio evolvermi, voglio superare i miei limiti musicali proprio in termini di conoscenza. Quando studio trovo soluzioni che mi stupiscono, ci sono leggi incredibili, uno schema matematico che sembra riflettere ordini superiori, la cosa incredibile è che oggi capisco che anni fa, senza rendermene conto, lo facevo d´istinto, c´ero arrivata con l´orecchio. Noi sappiamo riconoscere la bellezza, questo è l´orecchio, l´essere umano sa quello che vuole dire poi il linguaggio codifica, a volte avevo riconosciuto il bello, che certe volte corrisponde anche a delle leggi matematiche irreversibili, inconfutabili, quando automaticamente dici a orecchio questo accordo ci sta bene, poi lo vai a studiare teoricamente e ti rendi conto che c´era un motivo matematico che tu non conoscevi».
Poi alla fine prende la chitarra, fa esempi di come un accordo possa cambiare con un semplice passaggio, una settima qui, una diminuita lì: «Nel romanzo Presto con fuoco di Roberto Cotroneo c´è una cosa che mi ha colpito moltissimo. La gente, dice, può essere paragonata agli accordi musicali, uno ci può avere una faccia da do maggiore, l´accordo più bestia che c´è, oppure do minore settima bemolle, e l´espressione si complica, una faccia triste va in minore, se invece si trasforma in nona è più malinconico, insomma crea paralleli tra esseri umani e armonie». Così che alla fine la domanda è praticamente obbligatoria. Ma lei, Carmen Consoli, con quale accordo si descriverebbe? Prova a suonare, cerca, sembra che si stia specchiando nella chitarra per poi dire sicura: «Io sono un accordo in minore sesta, che non è triste, casomai è quello della saudade brasiliana, è minore ma con la sesta ti apre la strada verso qualcos´altro».