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 2010  gennaio 22 Venerdì calendario

SGARBI VA ALLA BIENNALE «PORTERO MANTEGNA» ROMA

L´annuncio ufficiale che Vittorio Sgarbi è il nuovo curatore del Padiglione Italia per la Biennale d´Arte di Venezia del 2011 l´ha dato il Ministro Bondi durante la presentazione che si è svolta a Roma del libro del critico ferrarese L´Italia delle meraviglie (edito da Bompiani).
Allora Sgarbi, felice per questa nomina?
«Mi lusinga che me l´abbiano proposta. Ma se c´è un posto al quale avrei tenuto è quello di Direttore dell´Istituto del Restauro».
Lei ci sorprende. Le hanno appena dato un incarico prestigioso e già pensa ad altro?
«Era solo una scala di desideri. Quello che mi hanno offerto e che ho accettato con entusiasmo rientra pienamente nelle mie competenze».
Le hanno dato anche l´incarico di fare acquisti per conto dello Stato di opere d´arte moderna e contemporanea.
« un incarico finalizzato al Maxxi. Del resto, quando ero al governo, tra le tante opere, non ho comprato un Gilbert & George ma un Paolo Uccello. Voglio dire che sugli acquisti occorre evitare la pressione di un mercato univoco e modaiolo».
Molti tra curatori, critici e storici l´aspetteranno al varco.
«Se è per questo vedo che hanno già cominciato a spararmi contro».
Il Padiglione Italia può diventare il suo inferno. Ne è consapevole?
«Per me è innanzitutto una suggestione che mi rimanda al lavoro che Luigi Carluccio fece nel 1980, quando mise al centro della Biennale Balthus».
Le diranno: ecco il solito Sgarbi, passatista, tradizionale, innamorato del figurativo.
«Mi scelgono per la mia storia, non per il mio coraggio».
E la sua storia dice che molte Biennali del passato non le sono piaciute.
«La migliore descrizione di che cosa sono state perlopiù le Biennali del passato ce l´ha fornita Alberto Sordi con Le vacanze intelligenti del 1978. Ecco la Biennale, nella percezione di molti, fu in passato qualcosa di caricaturale».
Ma anche di provocatorio e comunque in grado di innovare i linguaggi dell´arte.
«Erano Biennali che sostenevano che la realtà imita l´arte. A volte visitandole avevo l´impressione di stare non a Venezia ma a Cinecittà».
L´accusano di non capire o di disinteressarsi dell´arte contemporanea. Come reagisce?
« un´affermazione smentita da una straordinaria quantità di saggi che ho scritto su artisti contemporanei. Evidentemente artisti sbagliati o inespressivi, secondo il metro dei miei detrattori. Certo non mi sono occupato di Merz, Kounellis, Pistoletto. E allora?».
Allora è guerra su tutto il fronte?
«Preferisco l´armistizio. Anche se ci sono critici e artisti che pensano che la contemporaneità sia soprattutto una questione ideologica e non un´esperienza temporale».
Però è un fatto che lei si occupa, o nasce perlomeno, come storico dell´arte antica.
«Conosco l´arte antica e quella moderna. Ma i miei detrattori spesso non conoscono né l´una né l´altra. Frequentano solo gli artisti».
Loro controbattono che lei si occupa solo di pittura antica.
«L´arte è sempre contemporanea. Piero della Francesca e Seurat in un certo senso sono la stessa cosa. Quando il mio maestro Arcangeli accostava Piero e Mondrian pensava l´antico in chiave contemporanea. Lo stesso se si accosta Wiligelmo a Pollock: nell´intrico del romanico del primo si annuncia il caos del secondo. Bill Viola gioca continuamente quando cita deposizioni michelangiolesche o i dipinti di Pontormo».
Ma se dovesse oggi tirare fuori l´idea portante del Padiglione, cosa direbbe?
«Metterei al centro il Cristo morto di Mantegna. un´opera straordinariamente contemporanea».
Sarebbe soprattutto una provocazione.
«Duchamp fu il primo provocatore quando fece la Gioconda con i baffi. Chi ha detto che un contemporaneo non debba guardare indietro?».
Ma a parte Mantegna, il suo programma cosa prevederebbe?
«Chiederei un sostegno soprattutto agli scrittori e letterati che per vie tutte loro hanno scoperto pittori che io reputo straordinari».
A chi pensa?
«A Enrico d´Assia che Roberto Calasso ha messo su alcune copertine dei libri Adelphi, a Luigi Serafini che fu scoperto da Franco Maria Ricci, a Fabrizio Clerici valorizzato da Sciascia. Immagino un padiglione italiano che esalti il rapporto tra pittura e letteratura. L´arte italiana è presidiata da critici che non sanno scrivere e che hanno un occhio rivolto quasi esclusivamente al mercato».
Le obietteranno: è la prova che Sgarbi non si occupa di arte contemporanea.
«Ho scritto libri su Mattioli, Guarienti, Guccione, Ferroni. Clerici, Sughi. Sono i primi nomi che mi vengono in mente. Trovo interessantissimo un pittore come Lino Frongia. Non sono artisti della nostra contemporaneità?».
Ma Cattelan, se dovesse porsi la scelta, lo imbarca o no?
«Certo. Cattelan del resto ha fatto cose intelligenti quando è passato dal puro idealismo a quelle belle sculture in marmo di Carrara che sono comunque un presidio del tempo».
Niente aut aut?
«Preferisco l´et et. Cioè il tentativo di provare a dire: guardiamo la contemporaneità dentro un orizzonte più ampio, in cui ci siano Andy Warhol e Antonio López García. E forse Damien Hirst».
Lo pronuncia con un certo sforzo.
«C´è una obbligatorietà di nomi che è imposta dal sistema di mercato dominante. Sa cosa vorrei fare? Un catalogo di tutti gli artisti italiani e viventi esclusi da me o dagli altri. Vorrei uccidere l´esclusione. Vorrei legittimare l´esistente».