Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 22/1/2010;, 22 gennaio 2010
”L’ASSASSINO LOTITO” (*
per vedere domande e risposte aprire il frammento) - La madre Elda Luxardo, fotografa,
bella come una diva. Il
padre Salvatore, ex partigiano
di Giustizia e libertà, con
la sciarpa della Roma nella tasca.
La sintesi, Argento Dario, settant’anni
a settembre, lazialissimo:
’Ho paura che Lotito ci mandi in
serie B”. Infanzia solitaria, abbracciato
a D’Annunzio e Thomas
Mann. Adolescenza da critico cinematografico
a ”Paese Sera”, con
amicizie dentro Potop (Scalzone e
Piperno) e una deplorevole ammirazione
verso John Ford e Hitchcock:
’Il direttore, Fausto Coen,
mi richiamava all’ordine. ”Ar gento,
il cinema americano altro non è
che vacuo divertimento’. Un altro
mondo”. Dopo aver attraversato
quattro decenni a disegnare perversioni
e paure per il cinema italiano,
Argento si è spostato su sentieri
selvaggi. Il suo ultimo film,
’Giallo”, è pronto da un anno.
Adrien Brody, Emmanuelle Seigner,
Elsa Pataki. Soldi Usa, premi
Oscar, libertà. Non esce e sulla vicenda,
tra telefonate che rimandano
a messaggi in segreteria e comunicazioni
che non superano
l’oceano, è mistero. Più fitto che
buffo. ”Non riesco a venire a capo
della questione. Mi dispiace, ma
non mi abbatto. Ho ancora molta
voglia di lavorare”.
Nell’attesa, Argento si preoccupa
per la Lazio. In lotta per la retrocessione,
come negli anni Ottanta,
quando Dario non perdeva una
partita. Ha fatto oplà anche Maxi
Lopez, l’argentino a un passo dal
firmare. E’ sceso a sud. Ha scelto il
Catania e la risoluzione, vale più di
una sentenza. Argento conserva
qualcosa dell’irriducibile pessimismo
dei laziali. Un presentimento,
una disillusione. La sua storia di tifoso,
parte da lontano.
La Lazio è una condanna alla
sofferenza. Primi ricordi?
Ero ragazzino. Optai per la Lazio
per una questione di pelle. Mio padre
era della Roma, io ero il primogenito.
In famiglia, la fede romanista,
era qualcosa di scontato. Su
questo, papà non ammetteva deroghe.
Così, per opposizione, insieme
a mio fratello Claudio, ho percorso
un’altra strada.
Senza immaginare il calvario?
Sono cose che non si valutano. Col
tempo, la passione diventa una fede.
Puoi lasciare moglie, figli,
amanti, nipoti. Non la tua squadra.
E’ un’identità, un modo di essere,
una seconda casa. Quella non si
cambia, non si contratta.
Sta soffrendo?
Un po’. Non sono un ultras, ma
non posso non pensare alla gestione
degli ultimi anni. E’ stata disastrosa.
Lotito ha combinato guai
non quantificabili. Un capriccioso,
un tipo che non ci voleva.
La galleria di presidenti laziali,
offre materiale per un casting.
Abbiamo conosciuto personaggi
indimenticabili, come Lenzini, il
’sor Umberto”. Gente per cui
un’occhiata o una stretta di mano
erano più che sufficienti. Lotito è
di un’altra pasta. Una persona non
tanto raccomandabile.
Va giù duro.
Quello che ha combinato Lotito
con la mia squadra, con una certa,
inquietante continuità, è qualcosa
di tremendo. Litiga
con tutti, emargina
i giocatori, urla,
strilla, impreca. Un
brutto film, se mi
passa la metafora.
Una gestione complessiva
di ambiente
e calciatori, dissennata.
All’inizio sembrava
che la moralizzazione
,
avesse un suo ret
ro t e rr a .
Mai stato simpatico,
neanche al
prìncipio. Lotito ha
un atteggiamento e dei modi di fare,
come dire, cheap che mi avevano
insospettito fin dall’alba della
sua esperienza.
Come ha vissuto, lei con il cuore
a sinistra, il matrimonio con
una enclave da sempre descritta
come uno stabile covo nero?
Ci ho pensato ma problemi reali o
di coscienza, non ne ho mai coltivati.
Tra i sostenitori della Lazio,
ho sempre trovato molta gente di
sinistra. Qualcuno no, ma questa è
un’altra storia.
Dica pure.
In alcuni quartieri di Roma, la lazialità
significa anche essere fascisti,
avere nostalgie per un passato
cupo. Però io tifo per la Lazio, non
per quella minoranza che in passato
ha inneggiato contro gli
e b re i .
Cori raggelanti.
Persone abominevoli, disgustose
che purtroppo, ci sono in tutta italia,
e poi la Lazio, mi permetta, è
anche altro. Significa avere un
grande pubblico regionale. In provincia,
in regione, a Frosinone, Latina
o Rieti, sono tutti laziali. Basta
andare fuori dalle mura, per non
sentirsi soli.
Breve viaggio nel passato. Anni
Settanta, Chinaglia.
Non mi piaceva la sua arroganza.
La trovavo fastidiosa, di quella Lazio
tutta ”pistole e palloni”, apprezzavo
soprattutto Tommaso
Maestrelli, l’allenatore. Un padre,
un ottimo tecnico. Buono, intelligente,
sereno, giusto. Mi ricorda il
Prandelli di oggi, un galantuomo
dall’atteggiamento corretto.
Sergio Cragnotti. Luci e molte
ombre. Rimpianti?
E certo, (r ide) come potrei fare a
meno di covarne? Abbiamo vinto
scudetti, coppe, giocavamo alla
pari con tutta Europa e mi pare
che le irregolarità finanziarie, fossero
moneta comune, allora come
oggi.
Campagne acquisti senza limiti
o morale.
Lasci stare. Avevamo i migliori calciatori
d’Italia, da Vieri a Nesta.
Una squadra fantastica, imbattibile.
Passare dalle improbabili stregonerie
di Juan Carlos Lorenzo alla
festa scudetto, fu come tornare a re s p i ra re .
La Lazio attuale rischia di ret
ro c e d e re ?
Niente di più facile. Non è il nome
a salvarti. Questa squadra non è
abituata a stringere i denti, a lottare
.
Cosa manca?
L’attitudine a trasformarsi in leoni.
Atalanta, Catania, Bologna. Dovremmo
riuscire a calarci in un altro
campionato e prendere esempio.
Mi dispiace dirlo, ma la Serie B
è molto vicina. A certe vertigini, i
nostri non sono abituati.
S p e r a n ze ?
Un campione che abbiamo, fino a
quando non decideranno di portarcelo
via. Mauro Zarate non merita
di giocare in una squadra così
d i s a s t ra t a .
Se al posto del Milan, trotterà il
Gallipoli, Zarate fuggirà.
E si concluderà la mesta epopea di
Lotito. Un signore che aveva avuto
alcune intuizioni, era riuscito a
raggiungere calciatori di un certo
livello come Pandev e Ledesma e ad uno a uno, se li vedrà
sfilare sotto gli occhi. Mi creda, se
ripenso ai momenti vissuti con la
Lazio, provo una vera amarezza.
Fotografie felici?
Lo scudetto del 1974. Il 12 maggio,
con un paese bloccato per le votazioni
sul referendum divorzista.
Festeggiammo due volte, in un clima
irreale, di ritrovata libertà.
Maggio 2000, altro titolo inatteso.
Ero a Torino e stavo girando ”Non
ho sonno”. Guardavo la partita in albergo.
Un’emozione profonda.
Poche settimane prima, sempre a
Torino, ero andato a vedere la gara
con la Juventus in notturna.
La rincorsa. Il primo passo.
Credo di non aver mai sentito tanto
freddo in vita mia. A un certo
punto, segnò Simeone. Un calciatore
che per temperamento e coraggio,
faceva parte del mio Pantheon.
Mi alzai da solo, nella nebbia
e cominciai a urlare. Tacevano
tutti, poi si accorsero della sovversione
e reagirono fuori dai canoni sabaudi: ”Vai a cagare,
vai a cagare!”. (ride ancora)
Poche settimane dopo, Roma si
fermò. Perugia-Juve fradicia di
pioggia e un gol di Calori, vi regalarono
un trionfo in differita.
Mio fratello era a Cannes. Mi chiamava
in continuazione. ”Che succede,
Dario?’. ”Non te lo dico per
s c a ra m a n z i a ”. Una, due, dieci chiamate.
All’ultimo tentativo esplosi:
’Siamo campioni Claudio, ti rendi
conto?’. Non se lo aspettava nessuno.
La prossima volta a braccia lazate
sembra una chimera.
Chissà quando ci ricapiterà. Per ricostruire
qualcosa di simile, ci vorrebbe
un decennio. A certe condizioni,
naturalmente.
Quali?
Un presidente importante che abbia
denaro e voglia di investirlo
senza speculare sull’eventuale ritorno
di immagine. Un innamorato.
Un pazzo.
Per lei il pallone è una cosa seria.
E’ un’allegoria della vita, della possibilità
di capire cosa significhi vincere
o perdere, ascendere o cadere.
Più di ogni latra cosa, il calcio ha
rappresentato la possibilità di allontanarmi
dalle mie fantasie, dalla
scrittura, dalle ossessioni. Un momento
di relax, per uscire dal guscio
e diventare un’altra persona.
L’aderenza alla Lazio è rimasta
tale?
Meno convinta. Sono un po’ de -
presso, ansioso, quasi disperato.
Domenica però, sarò allo stadio.
C’è Lazio-Chievo.
Aggiunga pure l’ultima spiaggia.
Ho sensazioni negative, timori
c o n c re t i .
Sia decoubertiniano. La Lazio,
in fondo, ha una biografia ondiv
ag a .
Ma il fatto che funzionasse e che
vincessimo, mi rallegrava. Poi, se si
affondasse, si scendesse di categoria
e l’Inter dovessimo vederla solo
in tv, non mi volterei dall’altra parte.
Ci riveli il colpevole, chi sta uccidendo
la Lazio?
Stavolta non è difficile immaginarlo,
anzi, è semplicissimo. E’ come
giocare a carte scoperte. L’assassi -
no ha nome e cognome: Claudio
Lotito.