Gennaro Sangiuliano, Il Messaggero 21/1/2010, 21 gennaio 2010
GIOLITTI E LO ZAR- «CARO
Leonardi, sarà bene far sorvegliare in modo speciale i russi arrivati a Milano. Sono per lo più gente esaltata che spinge all’azione delittuosa come s’è visto a Parigi. necessario avere sopra di loro una sorveglianza specialissima». Questo appunto, firmato Giovanni Giolitti, su carta intestata ”Il presidente del Consiglio”, datato 1909, e conservato all’Archivio Centrale dello Stato all’Eur, non è nel fascicolo delle carte giolittiane ma in una cartellina della direzione generale di Pubblica Sicurezza intitolata ”Visita dello Czar”. un appunto veloce che il presidente Giolitti manda al capo della Polizia dell’epoca Francesco Leonardi.
Il biennio 1909-1910 è, per diversi aspetti, uno snodo cruciale dei rapporti italo-russi. L’Italia sabauda e giolittiana ha un asse privilegiato con la Russia zarista ma è anche il paese dove, per una serie di decisive coincidenze si stanno concentrando i più importanti esuli rivoluzionari soprattutto l’élite intellettuale socialista.
Nell’ottobre del 1909 si svolge a Racconigi, in Piemonte, l’attesa visita di Nicola II Romanov, l’unica volta di uno Zar in Italia. un appuntamento storico, preparato con gran cura, significativo nella geopolitica dell’epoca, lo zar giunge in nave dalla Francia, per una volta Vittorio Emanuele III non ha la solita aria scettica e infastidita. la terza volta che il sovrano italiano incontra l’imperatore russo, quando era principe ereditario d’Italia, nel 1896, aveva partecipato alle nozze dello zar con Alessandra d’Assia; la seconda volta, invece, quando già re Vittorio Emanuele III si era recato in visita ufficiale a San Pietroburgo. Inoltre, la regina d’Italia Elena del Montenegro aveva una, sia pur lontana, parentela con i Romanov.
Italia e Impero russo firmano un accordo di quasi alleanza nel quale i due ministri degli esteri Tommaso Tittoni e Aleksandr Isvolskij riconoscono gli «interessi russi sugli Stretti e quelli italiani su Tripolitania e Cirenaica». L’Italia sta progettando la guerra di Libia e il via libera russo costituisce un tassello importante. Per l’occasione il castello di Racconigi era stato ristrutturato e ampliato con l’aggiunta di uno splendido giardino d’inverno.
A suggellare l’alleanza italo-russa c’è uno scambio di onorificenze: Vittorio Emanuele conferisce il collare della SS. Annunziata (il più alto ordine sabaudo) il granduca ereditario Alessio, al Presidente del Consiglio italiano Giovanni Giolitti viene concessa la più alta onorificenza russa. Il New York Times scrive: «Csar long a friend of Victor Emmanuel».
Ma l’appunto perentorio spedito da Giolitti al capo della Polizia tradisce le preoccupazioni del governo italiano per questa visita, soprattutto i timori di manifestazioni antizariste se non addirittura di un attentato. Lo dimostra la scelta di blindare la visita a Racconigi, nel tranquillo Piemonte sabaudo, piuttosto che scegliere Roma, la capitale che sarebbe stata la sede naturale di una visita di Stato così importante.
Lo zar Nicola II gode di pessima stampa in tutta l’Europa occidentale a causa dei fatti della ”domenica di sangue” del 1905, quando una pacifica manifestazione sulla piazza antistante l’Ermitage era stata repressa nel sangue dal fuoco della guardia imperiale. Lo sdegno è vasto, non solo fra i socialisti. Il conservatore Alfredo Oriani scrive in termini estremamente critici di Nicola II sul Messaggero definendo la sua politica «mummia dello zarismo».
Proprio i fatti del 1905 spingono verso l’Italia folti gruppi di esuli russi, si concentrano in Liguria a Chiavari, a Genova, a Milano, a Napoli. Gli archivi pullulano di rapporti di Polizia, da Nervi, quartiere genovese, il delegato di Pubblica Sicurezza, Oreste Pilla segnala addirittura la presenza di 350 russi.
A Capri, nell’isola simbolo del turismo aristocratico, animato dalle teste coronate d’Europa e dai grandi capitalisti come i tedeschi Krupp, a partire dal 1906, attorno a Marksim Gorkij, il famoso scrittore russo, si è raccolta l’élite intellettuale dell’ala più radicale del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, la cosiddetta ”frazione bolscevica”. I rivoluzionari fondano la ”Scuola di Capri” un centro di indottrinamento destinato a formare
A Capri, per due volte, nel 1908 e nel 1910, si reca il leader dei bolscevichi Vladimir Ilic Uljanov, conosciuto con il nome di Lenin, consacrato capo indiscusso dal congresso di Londra del 1907. Si riposa sull’isola azzurra ma dirime anche questioni ideologiche. Nell’isola azzurra arriverà poco dopo anche l’altro grande protagonista della rivoluzione bolscevica Lev Trotzkij.
Nel 1910 la presenza dei rivoluzionari russa irrompe nella politica italiana, Giolitti è stretto fra le richieste dell’alleata polizia zarista che gli chiede di arrestare o quantomeno espellere gli esuli rivoluzionari e le pressioni interne del Partito Socialista, una delle grandi forze parlamentari che alle elezioni del 1909 ha fatto un balzo in avanti, da 92 a 118 deputati.
I socialisti italiani si fanno spesso carico di difendere i compagni russi, lo fanno con una serie di interventi parlamentari. Alla Camera Giovanni Giolitti risponde sul caso Gorkij, si dichiara ammiratore dello scrittore, «leggo i suoi romanzi» e comunica una decisione cerchiobottista, «stia pure a Capri ma non può fare attività politica pubblica».
Del resto, già allora è in voga la definizione «fratelli russi», mentre una delegazione del Partito Operaio Socialdemocratico partecipa al congresso dei socialisti italiani di Milano del 1910.
L’altra vicenda che agita le cronache politiche italiane è quella che riguarda l’ex deputato socialdemocratico russo Giovanni Kosmodamiansky, membro della seconda Duma. A sua difesa interviene Leonida Bissolati, l’esponente socialista riformista (sarà l’unico socialista a far parte di un governo, nel 1916) che manteneva i rapporti fra l’opposizione di sinistra e la maggioranza giolittiana.
In un lettera personale a Giolitti, anche questa conservata all’Archivio di Stato e probabilmente inedita, lamenta in danno dell’esule russo una «strettissima e soffocante sorveglianza continua, continua al punto di rendergli insostenibile la vita e da impedirgli un tranquillo lavoro».