Marco Imarisio, Corriere della Sera 19/01/2010, 19 gennaio 2010
RAGGIO E I CONTI PSI «ME LI AFFIDO’ LUI. MA IL TESORO NON C’E’»
«La verità ufficiale di Mani Pulite è una lunga sequenza di balle...». Se lo dice lui. Evocato, citato, spesso lasciato sullo sfondo per comprensibili ragioni. Maurizio Raggio è considerato da molti come l’ anello di congiunzione tra Bettino Craxi e il malaffare. «La narrazione giustizialista sostiene che dopo l’ arresto del suo amico Giorgio Tradati i conti all’ estero di Craxi vennero affidati a un barista di Portofino, ovvero io, quasi per caso». E invece? «Non è che Craxi fosse così scemo da incontrare un ragazzo, trovarlo simpatico e intestargli i conti. logico che c’ era una storia precedente, no?» Ce la racconta? «Negli anni prima di Mani Pulite mi aveva affidato una serie di operazioni economiche che lo avevano soddisfatto». Di quale natura? «Tutte cose interessanti, andate a buon fine e non scrivibili. Le rifarei, anche oggi». Come sbattere contro un muro di gomma. Raggio è un mistero rimasto tale anche per i magistrati di Mani Pulite, che dopo lunga latitanza lo hanno fatto condannare a tre anni, ma sono ancora convinti che gran parte del tesoro svizzero di Craxi gli sia rimasto attaccato alle mani. Inutile chiedere per conferma. Al pm Francesco Greco che nel 1996 gli contestò un regalo da 400 mila dollari a una donna («Non sono un po’ troppi?»), lui rispose sorridendo: «Se l’ avesse vista, li avrebbe spesi anche lei, dottore». Oggi Raggio si divide tra Cuernavaca, Messico, e Villa Altachiara, Portofino, dove è proprietario di uno storico locale, La Gritta («L’ unica fonte dei miei redditi, credetemi»). Padre di un bambino, sposato con nobildonna messicana. Guascone, sfrontato, furbo. Al solito. Esiste, questo tesoro di Craxi? «Ma per favore. L’ unico tesoro che aveva era quello di trasformare le idee in realtà». Detto da lei... Come lo ha conosciuto? «Era amico di famiglia. Nel 1972 si presentò alla Gritta per il compleanno di mio padre Ugo. Era in compagnia di un parlamentare socialista, Cesare Benzi. Io avevo 13 anni. L’ ho rincontrato che ero più grandicello, ero fidanzato della contessa Francesca Vacca Agusta. Dominava la scena, Bettino era una spada laser. Quando uno cominciava a parlare, lui capiva in anticipo dove voleva arrivare. Tante cene, bella vita. Gli anni Ottanta, sa». E così le affidò i suoi conti privati. «Non li ha mai usati per fini personali, quindi non erano conti privati. E so di cosa parlo. Li usava per appoggiare le sue idee politiche, finanziava tutti. Da Arafat a Francisco Gonzales, il leader dei socialisti spagnoli. Ma anche qui, non entriamo nello specifico». Gli atti giudiziari raccontano una storia ben diversa. «Erano soldi del partito. Bettino mandò una lettera a Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco, che avevano preso in mano il Psi, nella quale metteva a loro disposizione quel denaro. Esiste, ho contribuito alla sua stesura». vero che lo abbandonò dopo la fuga ad Hammamet? «Falso. Sono stato da lui nel settembre 2000, pochi mesi prima che mancasse. Era intristito dalla pochezza di alcuni suoi ormai ex compagni di partito. Analizzò a lungo Mani Pulite. La genesi, i suoi finti eroi. Aveva capito tutto, ma nessuno gli dava retta. E questo lo faceva stare male». Che rapporti ha con gli eredi? «Ottimi, sia con Stefania che con Bobo». Perché non è andato ad Hammamet? «Per discrezione. Non volevo mettere in imbarazzo nessuno. Sono consapevole della mia fama. Le pesa? «Lascio dire, lascio fare. Ci sono abituato: pecora nera per sempre». Marco Imarisio