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 2010  gennaio 17 Domenica calendario

IL CROMOSOMA Y NON STA TANTO BENE

Nell’ultimo decennio il cromosoma Y ha rappresentato una metafora microscopica ma suggestiva della crisi del sesso maschile. Nella cultura popolare molti hanno continuato a considerarlo come il principe del genoma, la quintessenza della mascolinità. Ma il povero Y nel frattempo ha goduto di pessima stampa. Steve Jones, della University College London, in particolare, ha scritto nel suo libro intitolato ”Y” che questo cromosoma è «decaduto, ridondante e parassita» proprio come chi lo possiede ed è destinato all’estinzione.
La tesi è troppo malevola per essere presa sul serio, ma vale la pena di stare al gioco e approfittare della discussione sollevata dai dati scientifici che la contraddicono. Per rifare il look al cromosoma diffamato? Sì, ma anche per dimostrare che con questo sistema si può arrivare a qualsiasi conclusione. Se si tratta di un artificio retorico, come nel brillante intervento di Francesco Bonami, allora ben venga l’uso scanzonato della genetica. Il problema nasce quando ci si prende troppo sul serio. In 200-300 milioni di anni di evoluzione il cromosoma femminile, l’X, ha conservato molte centinaia di geni, mentre l’Y si è ridotto a una settantina. Laddove Jones vede la decadenza, però, un bravo spin doctor userebbe categorie come efficienza, downsizing ed esternalizzazione. Nella ridondanza c’è del vero, perché il cromosoma Y è pieno di ripetizioni che ne hanno reso difficile il sequenziamento, ma che repetita iuvant lo sapevano anche i latini. La novità dell’ultima ora comunque è l’insospettabile vitalità evolutiva del cromosoma maschile, che non trova pari nel resto del genoma.
La rivincita genetica del maschio di Homo sapiens comincia dal confronto tra il suo cromosoma Y e quello del cugino Pan troglodytes, lo scimpanzé, pubblicato su Nature dal gruppo diretto da David Page dell’Howard Hughes Medical Institute. La sequenza dell’Y di scimpanzé si è rivelata incredibilmente diversa da quella umana. Molto, molto più di quello che ci si aspettava sapendo che i cammini evolutivi delle due specie si sono separati appena 6 o 7 milioni di anni fa. Gli altri cromosomi si somigliano moltissimo, ma l’Y dello scimpanzé presenta solo due terzi dei geni e solo il 47% degli elementi codificanti rispetto al cromosoma maschile della nostra specie. Ancora più impressionante è il fatto che oltre il 30% del cromosoma di Pan non trovi una controparte con cui allinearsi nella sequenza umana, segno che sono avvenuti profondi riarrangiamenti. Evidentemente il cromosoma Y evolve in modo particolarmente rapido, perché è un single impenitente, nel senso che non dispone di un partner con cui accoppiarsi durante le divisioni cellulari a differenza dell’X che nelle femmine sta sempre in coppia. Ma conta anche il fatto che ospita i geni coinvolti nella produzione dello sperma e dunque nella fitness riproduttiva, su cui la selezione naturale si scatena. La competizione tra maschi per la produzione di ”spermatozoi super”, comunque, è molto più accesa negli scimpanzé, che sono abbastanza promiscui da far apparire gli umani come dei campioni di castità. E così sono serviti coloro che amano commentare le infedeltà maschili sostenendo che gli uomini sono uguali alle scimmie. Il cromosoma Y, in definitiva, non appare certo sul viale del tramonto. Lungi dall’essere un vicolo cieco evolutivo, appare piuttosto come una centrale dell’evoluzione, con ripercussioni ancora tutte da scoprire sul restante genoma. La sfilza di epiteti di Jones, dunque, può essere allungata con aggettivi lusinghieri come dinamico e sorprendente. E magari si può rispolverare il vecchio detto per cui non sono le dimensioni che contano ma la fantasia. Qualche misogino potrebbe persino essere tentato di concludere che gli uomini sono più evoluti delle donne, perché meno simili agli scimpanzé. Si ribalta così un altro luogo comune sulla presunta primitività maschile. Ma soprattutto si dimostra quanto sia sciocco (e persino pericoloso) scegliere qualche dato genetico nel mucchio e tirare conclusioni su come va o dovrebbe andare il mondo.
Quella che è una buona notizia per l’orgoglio maschile, in effetti, potrebbe persino essere presentata come uno smacco per l’umanità. Da quando disponiamo del genoma dello scimpanzé è partita la caccia alle differenze per capire ciò che ci rende davvero umani. Ci è venuto automatico sperare che le nostre superiori capacità cognitive avessero lasciato tracce genetiche evidenti e invece scopriamo che la differenza più vistosa riguarda prosaicamente la riproduzione. Ma non sarà certo questo a far crollare la nostra autostima.
Anna Meldolesi, Il Riformista 17/1/2010