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 2010  gennaio 21 Giovedì calendario

LA LUNGA STRADA DELLE ADOZIONI

La seconda chance. La partita con la vita che ricomincia, non proprio daccapo, ma con un´altra mano di carte. Adottare un figlio (si adotta un figlio, non un bambino) è smentire un destino. Ma non la natura dell´uomo. Certo, lo strappo antropologico sembra enorme: bisogna accettare l´idea che generare un essere umano e allevare un figlio siano due cose diverse, non sempre conseguenti. Che essere "facitori" faccia parte del nostro corredo biologico, ma che diventare "genitori" sia una scelta. E dunque che esistano genitori veri di figli che non hanno "prodotto". Non è facile. Nelle provette dell´accanimento fecondativo resiste il mito del legame di sangue. Ma quello strappo anti-biologico, culturale, le società umane l´hanno compiuto ben prima che le leggi lo disciplinassero. Fino alla famiglia nucleare la "rete di sicurezza" per gli orfani era prevista dai meccanismi del clan. Nelle biografie popolari, quanti casi di bimbi cresciuti da nonni, zie, parenti lontani.
Ma le catastrofi lente (dissoluzione dei legami sociali) e quelle istantanee (guerre, terremoti) mandano in crisi l´adozione comunitaria. E la globalizzazione estende il raggio della "rete di sicurezza" a tutto il pianeta. La metà povera del mondo abbonda di bambini senza famiglia, quella ricca abbonda di culle vuote: un differenziale gravido di rischi di colonialismo adottivo, di mercato degli affetti. Tuttavia i bambini che hanno bisogno di una seconda chance esistono davvero, e non possono aspettare che le diseguaglianze del mondo siano sanate dalla storia. L´adozione non è la soluzione al problema dell´infanzia abbandonata: 45 mila bimbi ogni anno trovano nuovi genitori in un paese straniero, ma nella sola Africa quelli senza famiglia sono milioni. Il sistema dell´adozione internazionale si giustifica eticamente solo come ultima risorsa, e a condizione che lavori per essere, un giorno, superfluo: non c´è adozione etica senza cooperazione allo sviluppo.
Tuttavia non si adotta un figlio per solidarietà terzomondista. Si adotta un figlio per avere un figlio. Tra adozione e affido temporaneo c´è uno scarto non di investimenti affettivi, ma di progetti di vita. Quando quel solco viene sfumato, ne derivano drammi. L´adozione non è solo accoglienza, è costruzione di una famiglia. l´incontro fra un desiderio e un bisogno: desiderio di un figlio, bisogno di genitori. Entrambi legittimi, ma la società ha il dovere di soddisfare solo il secondo, perché si può vivere serenamente senza figli, ma è difficile crescere in modo equilibrato senza una famiglia. Quindi la ratio dell´adozione è asimmetrica. Il desiderio delle coppie (la lista è ampia: oltre 15 mila) è solo una dichiarazione di disponibilità, non fonda un diritto. Anche questa differenza, se ignorata, produce da una parte demagogia politica, dall´altra insofferenza per le "lungaggini burocratiche" e i "controlli polizieschi" nelle coppie che fanno domanda ai tribunali. La macchina, certo, è troppo lenta, ma la verifica di idoneità è un dovere morale: quei bambini hanno già pagato, senza colpe, un tributo alla vita; hanno diritto a una "seconda volta" affidabile.
Il resto è semplicemente famiglia. Dopo quarant´anni di leggi, i figli adottivi in Italia sono alcune decine di migliaia, ma per le loro famiglie sono figli e basta. Almeno fino a quando qualcuno, gridando in uno stadio, pretende che non esistano "neri italiani". Allora la semplice esistenza di questi figli, voluti e amati da genitori lontani per geografia e genetica, fa esplodere una contraddizione sana in un paese in cui c´è chi tenta di riesumare le leggi del sangue e del suolo.