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 2010  gennaio 21 Giovedì calendario

QUELLO SPARTACO AL FIANCO DI CRAXI

Spartaco Vannoni, chi era? La domanda è priva di senso per chi ha vissuto le traversie della Prima Repubblica. E soprattutto per chi ha seguito da vicino il percorso di Bettino Craxi. Eppure in queste settimane nessuno ha ricordato Spartaco: l’angelo custode di Bettino a Roma, il suo consigliere politico più ascoltato e il proprietario dell’Hotel Raphaël, la casa di Craxi nella capitale.
Nel luglio 1976, data d’inizio della segreteria Craxi, Vannoni aveva 54 anni. Era un fiorentino alto, solido, il tratto pratico, con uno sguardo disincantato sul mondo, ma capace di passioni profonde. E soprattutto un gran signore di
sinistra, una scelta di vita compiuta da giovanissimo e mai rinnegata.
Spartaco, classe 1922, era stato partigiano in Toscana, con la tessera del Pci nel tascapane. Conclusa la guerra civi-
le, si trovò alle prese con un’esperienza unica per un giovane di 23 anni. Il governo Parri aveva deciso di inviare come ambasciatore in Polonia non un diplomatico di carriera, bensì un politico comunista: Eugenio Reale, sottosegretario agli Esteri con De Gasperi.
Reale era un medico napoletano di 40 anni, un tipo imponente, il viso paffuto, sempre elegante, con un carattere gioviale che celava una tempra di ferro. Veniva da una famiglia della borghesia partenopea. Anche il padre era medico. La madre, Melania Reggio d’Aci, apparteneva all’aristocrazia della città.
Poco più che ragazzo, era approdato alla Gioventù socialista e poi al Pci clandestino nel 1930. L’anno successivo fu arrestato e sino al 1934 rimase in carcere. Nel 1937 il centro estero del Pci, per evitargli un’altra cattura, gli ordinò di espatriare. A Parigi lavorò da giornalista alla ”Voce degli italiani” con Giuseppe Di Vittorio, Leo Valiani e Maurizio Valenzi. Nel 1940 un nuovo arresto, seconda rata di carcere in Francia, poi in Italia nella prigione di Imperia.

Rimesso in libertà alla vigilia dell’8 settembre 1943, tornò a Napoli. Qui nel marzo 1944 rivide Togliatti che aveva già conosciuto in Francia. Lui e il Migliore divennero amici intimi. E di certo fu il segretario del Pci a suggerire al governo di inviare Reale in Polonia per riaprire l’ambasciata italiana.
Reale aveva il diritto di condurre con sé un segretario che gli servisse anche da guardia del corpo. Enrico Berlinguer, dirigente della Gioventù comunista, suggerì di prendere Spartaco. Il ragazzo fiorentino accettò. E nel settembre 1945 partì per la Polonia al seguito di un maestro d’eccezione: ”il Pancione”, come Vannoni lo chiamerà sempre con grandissimo affetto.
L’altra faccia del comunismo
Rimasero a Varsavia sino al gennaio 1947. In un’ambasciata povera che stava tutta in un appartamento. Qui Reale spesso riceveva in vestaglia da camera. Spartaco lo assisteva e lo proteggeva. Ma sapeva anche guardarsi attorno. E nella Polonia occupata dall’Armata Rossa, distrutta dalla guerra, in miseria, alla fame, scoprì l’altra faccia della luna comunista.
Scriverà poi Italo Pietra, il direttore del ”Giorno”: «Agli occhi di Spartaco non sfuggiva niente: il silenzio delle formiche, le grida delle statistiche bugiarde, il rullo compressore della censura, l’obbedienza automatica al vertice politico». La conclusione era scontata. Il giorno che Reale cominciò a parlare schietto sui regimi dell’Est, Spartaco gli restò accanto. Dopo la rivolta di Budapest, ”il Pancione” fu espulso dal Pci. E anche Vannoni lasciò il Partitone Rosso.
A quel punto, Spartaco fece altre due scelte di vita. Si avvicinò agli autonomisti del Psi, la corrente di Pietro Nenni. E decise di costruire un albergo in un posto unico a Roma: largo Febo, alle spalle di piazza Navona. Per quasi vent’anni sarà questo il regno di Vannoni: uomo di gusto, collezionista d’arte, saggio, caustico, bonario, dalla cordialità elegante, ma anche analista acuto del serraglio politico.
Sulle prime, il Raphaël fu un hotel pluralista, frequentato da parlamentari di partiti diversi. E da una clientela sempre più speciale. Attratta dal lusso pacato di quell’albergo con la facciata coperta d’edera e famoso per una grande terrazza che ne raddoppiava lo spazio e lo proiettava verso il cielo. Spartaco accoglieva tutti con lo stesso riguardo affabile: giornalisti, artisti, gente di cinema, uomini d’affari, turisti dalle valute forti. E anche attrici allora famose, come la bionda Ursula Andress e la bruna Maria Schneider, nel 1972 protagonista di ”Ultimo tango a Parigi”.
Poi arrivò Craxi e si comprese subito che sarebbe stato un cliente particolare. Fra lui e Vannoni nac-que un sodalizio destinato a non interrompersi mai. Spartaco si rivelò per Bettino un padre, un fratello maggiore di dodici anni e un amico dai giudizi limpidi. L’unico capace di trattare in modo brusco quel bruscone calato da Milano. E di metterlo in guardia contro i cortigiani e i bischeri.
Il Raphaël divenne la casa romana di Craxi. E anche il suo ufficio. Bettino preferiva lavorare lì più che a via del Corso, la sede del Psi. Viveva in due stanze, una per dormirci, l’altra piena di libri, giornali e carte, in un disordine spaventoso. La prima intervista da segretario del Psi la diede a me per il ”Corriere della sera” e a Vittorio Emiliani del ”Messaggero” sulla terrazza dell’hotel. Era il 16 luglio 1976. Alla fine dell’incontro, Spartaco mi domandò: «Come ti è sembrato Bettino?». Gli risposi: «Coraggioso». Lui sospirò: «Bene. Avrà bisogno di tutto il suo coraggio».
Vannoni sapeva che Craxi doveva battersi su due trincee: una italiana e l’altra europea. Nel settembre di
quel 1976, Bettino incontrò Willy Brandt, già cancelliere della Germania Ovest. Horst Hemke, il suo braccio destro, appena sentì il nome di Berlinguer, avvicinò le dita alle labbra per dire: «Lui è al bacio!».
L’hotel di largo Febo acquistò il rango di terzo palazzo della politica

taliana, dopo Piazza del Gesù e le Botteghe Oscure. Come succede ai santuari dei partiti, attorno vi fluttuava una nebulosa di figure indecifrabili. L’economista brillante troppo dedito all’alcol. Il giovane deputato che sarebbe morto per


un’overdose di eroina. Il giornalista in attesa perenne di una direzione. Qualche bellona speranzosa d’essere promossa cortigiana.
Craxi passava tra questi figuranti senza vederne per davvero nessuno. Aveva un solo chiodo in testa: la contesa politica. E un solo obiettivo: rompere la tenaglia dei due colossi, la Dc e il Pci, che nel 1976 possedevano il 73 per cento degli elettori. In questa battaglia, Spartaco era il consigliere numero uno. Scriverà sull’’Avanti!” Massimo Pini: «Nel piccolo ufficio accanto alla cucina del Raphaël, Vannoni teneva le fila di un complesso tessuto politico. Il suo occhio vigile sapeva distinguere gli opportunisti dai veri amici, gli intriganti dagli alleati di domani».
L’incontro in terrazza con Berlinguer
Fu Spartaco a condurre Berlinguer sulla terrazza dell’hotel, per il primo incontro con Craxi segretario. Sullo sfondo di una serata da ”Vacanze romane”, i due leader si annusarono e si sondarono. Per concludere che non si sarebbero mai piaciuti. Erano troppo diversi e lontani. Inoltre, l’armata di Enrico era più di tre volte la brigata socialista di Bettino.
Ma Berlinguer fu soltanto il primo dei capipartito a salire le scale del Raphaël. Nei giorni orrendi del caso Moro, l’hotel vide un viavai convulso di politici democristiani che speravano nella trattativa con le Brigate Rosse. E fu dal Raphaël che nel luglio 1979, accompagnato da Spartaco, Craxi partì per ricevere da Sandro Pertini il primo incarico di formare un governo.
L’impresa non gli riuscì, per il no secco della Dc, del Pci e dei repubblicani.
Vannoni mi disse: «Lo sapevo fin dal principio che Bettino non poteva farcela». Gli chiesi: «Perché?». Spartaco mi rispose con un’immagine che, in seguito, venne attribuita a Craxi: «Erano troppi i serpenti sotto le foglie».
Poi Vannoni morì, il 26 giugno 1980, a Nizza in Francia. Era ancora giovane, appena 58 anni. Bettino rimase al capezzale dell’amico sino all’ultimo. E si trovò di fronte al primo, vero dolore della vita. Spartaco non c’era più. Nessuno poteva prendere il suo posto. Craxi fu costretto a correre da solo verso il traguardo sempre sognato: il governo, raggiunto nell’agosto 1983.
La morte risparmiò a Spartaco l’offesa estrema: l’aggressione a Bettino del 29 aprile 1993. Tangentopoli era già emersa. Nell’uscire dal Raphaël, Craxi si trovò sotto una tempesta di monete. Scagliate da una piccola folla impazzita di rabbia. Militanti comunisti, manettari, tifosi violenti di Mani Pulite? Chi lo sa.
Sull’aria di un motivo cubano, ”Guantanamera”, cantavano: ”Craxi in galera / Bettino Craxi in galera!”. Un vero schifo. Figlio anche di noi giornalisti d’assalto. Compreso me.