Varie, 21 gennaio 2010
Tags : Valter Malosti
Malosti Valter
• Torino 1961. Regista e attore • «Famiglia operaia di immigrati dal Veneto e dalla Puglia e adolescenza nella periferia torinese degli anni Settanta. Un diploma di informatico (’bisognava guadagnarsi da vivere in fretta”) e una passione per la pittura che gli ha regalato un’attenzione per la bellezza che gli sarebbe poi servita sul palco. Con queste premesse non era scontato diventare [...] un vero demiurgo del teatro: attore, regista e autore più volte premiato [...] Al teatro è arrivato tardi,alla fine degli anni 80, seguendo la sua passione per l’arte e soprattutto la musica. ”Mi ha salvato la vita – racconta ”: adoravo Brian Eno e la scena alternativa e progressive anni Settanta”. La svolta è l’incontro con il regista Luca Ronconi. ”Una vera e propria ”bottega’: mi dava piccole parti come attore, ma io ne approfittavo per restare in teatro dalla mattina alla sera e osservare tutto. Ho imparato moltissimo”. Poi la scoperta del teatro innovativo e di ricerca, legato al lavoro sul corpo e alla lezione di Grotowski. E da un’altra parte ancora la passione per Carmelo Bene e Demetrio Stratos. Così, attingendo da fonti diverse, si è formato questo poliedrico artista, colto e sperimentatore, autore di spettacoli che mescolano parola, musica, danza e arti visive: un teatro barocco, molto parlato, carico di emozione, ”che fa ridere e piangere”. Anima e direttore artistico del Teatro di Dioniso di Torino [...] ”[...] io sono uno che lavora con tempi lunghissimi [...] Ho bisogno di tempo, soprattutto per lavorare con gli attori”. Innovare, per Malosti, significa ”ricordare sempre che siamo appoggiati sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduti. Un regista, così come un attore, deve conoscere le proprie radici espressive, nel caso degli italiani soprattutto il melodramma e la tradizione ottocentesca”. E tenere i piedi piantati per terra, avendo presente ”a chi si parla e come lo si fa”. Grande cura per il linguaggio, dunque, che è prima di tutto varietà e ricchezza, resa attraverso pastiche linguistici e inserti dialettali. Malosti ama Testori, Molière e Shakespeare, ma più in generale ama ”la musica delle loro parole: il mio lavoro è tradurre la musicalità dei grandi che scrivevano in versi, ma anche della prosa di autori contemporanei, come il norvegese Jon Fosse o l’irlandese Enda Walsh”. Dei suoi spettacoli molti parlano come di ”operine”, che si collegano alla grande tradizione italiana del melodramma e della commedia dell’arte: come una vera e propria colonna sonora, la musica è protagonista quanto gli attori. Amante dei classici, il regista torinese sa che ”ogni epoca deve riscriverli e, come una bella casa antica, i classici vanno poi abitati, con lo sguardo e con il sangue”. Il teatro secondo lui ”deve parlare a tutti, e per farlo non può avere un solo registro, come capita sempre più spesso”. E deve imparare a parlare ai giovani, anche appropriandosi del linguaggio e del ritmo dei nuovi media, dalla tv a internet, ai videogiochi. ”Il problema di fondo è la formazione: i ragazzi vanno educati portandoli a vedere spettacoli di qualità. Bisogna amplificare in loro il desiderio di bellezza, che invece è volutamente sopito”. E cose belle, Malosti ne è certo, in Italia ce ne sono molte: ”Possiamo essere soddisfatti del nostro teatro. Abbiamo pochi soldi, poco potere, ma il livello è alto e avanzato. Mi piacciono i lavori che fanno artisti anche diversi da me, come Emma Danteo la Socìetas Raffaello Sanzio”. Quanto a lui, ”forse per via delle mie origini sociali, ho sempre cercato di dare voce a creature emarginate [...] vorrei che anche la felicità e l’allegria entrassero nei miei spettacoli: è un aspetto che mi manca e che vorrei esplorare”» (Giovanna Mancini, ”Il Sole-24 Ore” 21/2/2010).