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 2010  gennaio 20 Mercoledì calendario

ARTICOLO SU MASSIMO FERRERO


Lo chiamavano Viperetta. Continuano a chiamarlo Viperetta. Massimo Ferrero, 58 anni, si colloca in un punto intermedio fra il western all’italiana e Howard Hughes. Come il tycoon di ’The Aviator’ di Martin Scorsese, Ferrero produce e distribuisce film. Possiede una compagnia aerea, la Livingston. Ama insieme il lusso e il riserbo, visto che circola con enormi Mercedes dai vetri a specchio e scansa le dichiarazioni pubbliche. Ma Dio perdona, lui no. E intende tenere fede al suo soprannome. Entro gennaio dichiarerà guerra a Cinecittà Luce a meno che la società del ministero dell’Economia non gli riconosca le spese aggiuntive della cessione della controllata Mediaport-Globalmedia. Le 43 sale dei multiplex di Pontedera, Genova, Ragusa, Torino e Padova sono probabilmente l’unica privatizzazione della storia repubblicana che abbia svantaggiato l’acquirente. Al telefono, Ferrero è una furia doppiata in romanesco. "Mediaport mi ha creato danni rilevanti e il Tesoro me li deve riconoscere".

L’agitazione del produttore è comprensibile. Dopo avere concluso l’operazione Mediaport-Globalmedia alla fine del 2008, un mese fa Ferrero si è accordato per l’acquisto dei cinema della Finmavi di Vittorio Cecchi Gori dal tribunale fallimentare di Roma. Il prezzo di 59 milioni di euro va versato entro il prossimo giugno. Questa somma, interamente finanziata da un gruppo di banche, si aggiunge ai 26,5 milioni della valutazione di Mediaport, pari al debito della società. Ferrero, a differenza di Howard Hughes, non nuota nei petrodollari. La leggenda vuole che abbia fatto i soldi con l’export di prodotti caseari negli Stati Uniti. Questo business, in effetti, fa capo alla famiglia della moglie, Laura Sini, che è socia del marito fifty-fifty nelle varie attività del gruppo: la Blu Cinematografica, che lavora per il cinema e per la tv (’Il Papa buono Giovanni XXIII’ con Bob Hoskins, ’The Expendables’ con Sylvester Stallone), la Farvem Real Estate, che ha rilevato i multiplex da Cinecittà Luce, ed Ellemme group dove fra i consiglieri figura l’ex deputato Prc Pietro Folena e dove l’ultima produzione è la fiction ’Il ritmo della vita’ trasmessa da Canale 5, a testimoniare la genuina impostazione bipartisan tipica dell’ambiente.

Per lo più, le produzioni del gruppo sono mirate a piccoli film che costano poco e incassano meno. Nella storia recente figurano ’Ma l’amore sì’ con Anna Maria ’Sconsolata’ Barbera (2005) e ’Tutte le donne della mia vita’ con Nicola Zingaretti (2007). Per il 2010, tra febbraio e marzo, sono previsti in uscita ’Shadow’, un thriller-horror per la regia di Federico Zampaglione, cantante dei Tiromancino, e un teenager-movie di Marco Costa, autore di ’Avere 16 anni’. Fra i collaboratori della casa in tempi recenti ci sono Ricky Tognazzi e Simona Izzo, Francesco Venditti e Claudia Gerini.

Nei piani di Ferrero, la campagna di acquisizione delle sale cinematografiche serve a creare una filiera dove si passa dal produttore allo spettatore minimizzando i costi. Fra l’altro, la somma fra i multiplex di Mediaport e le sale ex Cecchi Gori dà come risultato la nascita del quarto gruppo italiano del settore dopo i tre colossi del grande schermo Warner, Medusa-Fininvest e Uci. Questo era nelle intenzioni. Per adesso l’ex direttore di produzione de ’La chiave’ di Tinto Brass e della ’Tragedia di un uomo ridicolo’ di Bernardo Bertolucci sembra piuttosto la vittima di un thriller-horror a sfondo politico-finanziario.

Quando Ferrero si è fatto carico di Mediaport, pensava di avere fatto un favore al governo, che resta uno dei finanziatori principali del cinema italiano attraverso la Rai e il gruppo Cinecittà Luce. In effetti, la privatizzazione dei multiplex di Stato ha consentito al ministro Sandro Bondi e all’allora amministratore unico dell’Istituto Luce, Gaetano Blandini, di sbandierare il risanamento delle finanze del gruppo dall’esposizione che i multiplex di Stato hanno accumulato in pochi anni.

Correva il 2003 e il governo Berlusconi 2 quando Ubaldo Livolsi, inventore di Mediaset e guida di Cinecittà Holding, aveva deciso di statalizzare decine di sale cinematografiche contro ogni logica d’impresa. Il risultato è stato un capolavoro del genere catastrofico. Per anni ogni tentativo di regalare la società a un privato è fallito. Quando si è presentato Ferrero, le multisale pubbliche ricavavano 28 milioni di euro e ne perdevano quasi 8. In realtà, la situazione si è rivelata ancora peggiore. I costi della società pubblica erano carichi di consulenze ai compagnucci della parrocchietta, di affitti stellari e di incarichi strapagati a ditte esterne con 700 mila euro all’anno di sole pulizie e servizi amministrativi dati in outsourcing.

Il giorno dopo l’acquisto, sulla Farvem di Ferrero sono piombate ingiunzioni di pagamento, cartelle esattoriali, precetti e cause di ogni genere. Le passività impreviste sono stimate in 4-5 milioni di euro e il contratto lascia poche vie d’uscita. Gli extracosti sono a carico dell’acquirente e, in aggiunta, Ferrero si è impegnato a mantenere le sale e i livelli occupazionali (150 addetti) per tre anni. Il conto è presto fatto. Tagliati i rami secchi delle consulenze e restituiti ai proprietari privati i multiplex di Udine, Mercogliano, Fiano Romano e Ottavia (Roma), Mediaport dovrebbe stabilizzarsi su una perdita annuale di 5-6 milioni per un triennio, senza contare le brutte sorprese del contenzioso e della ristrutturazione di alcune sale fatiscenti. [...]