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 2010  gennaio 20 Mercoledì calendario

GLI ERRORI DEI MEDICI


[...] Per trovare dati accettabili anche dai medici che si sentono messi alla gogna, si può partire dai cosiddetti ’eventi-sentinella’: infortuni "potenzialmente evitabili, che provocano la morte o gravi danni" ai pazienti. un "monitoraggio amministrativo" che raccoglie segnalazioni non sospettabili di accanimento, perché fornite dagli stessi ospedali "in via confidenziale", senza nomi: l’obiettivo è solo risolvere il problema. Ebbene, tra settembre 2005 e agosto 2009 le strutture sanitarie hanno segnalato al ministero 385 ’eventi -sentinella’, con 211 casi di morte dei pazienti. Le specialità più a rischio sono ostetricia (14,8 per cento), chirurgia generale (13,3) e medicina generale (12,2), seguite da ortopedia (8,8) e psichiatria (6,8). Il ministero della Salute avverte che i dati sono parziali: molti ospedali non rispondono, soprattutto al Sud. E in un’altra rilevazione nazionale si legge che, delle 393 strutture sanitarie interrogate nel settembre 2006, solo 91 hanno attivato la prescritta ’Unità di gestione del rischio clinico’. In Calabria, Sardegna, Campania e Sicilia una clinica su due non ha neppure risposto al ministero.

Solo alcune regioni hanno avviato un censimento delle denunce sanitarie. Nel decennio 1999-2008 la Lombardia ha registrato oltre 20 mila richieste di risarcimento: circa 2 mila all’anno, con un tetto di 2.160 nel 2008. Rapportando questa cifra alla popolazione italiana, ne deriva una stima credibile di oltre 12 mila cause intentate ogni anno contro medici e ospedali. Stando alle denunce dei pazienti lombardi, i problemi più gravi sono gli errori chirurgici (24,3 per cento) e diagnostici (19,1). Mentre tra gli eventi-sentinella, segnalati dagli ospedali, la prima emergenza è il suicidio anche solo tentato dal malato (88 casi, il 22,9 per cento del totale): se il paziente cerca di ammazzarsi, insomma, anche il dirigente sanitario più ottuso o lottizzato riconosce che forse c’è qualche problema.

Sul numero di vittime, l’unico dato ufficiale risale allo studio dell’Istat sulle "cause di morte in Italia". Il rapporto riguarda il 2002, ma la mortalità complessiva è rimasta stabile fino al 2008, per cui si può ricavarne una credibile tendenza annua. Qui, in una piccola nota, l’Istat spiega che nelle certificazioni mediche sono stati registrati solo 2 decessi per "danni dovuti a cure" e altri 11 per "effetti nocivi di terapie farmacologiche". A questi però si aggiungono 345 morti per "reazioni anomale a interventi medici e chirurgici" e altri 138 per "avvelenamenti da farmaci". In totale, fanno 496 vittime per cause sanitarie (colpevoli o meno): tre morti ogni due giorni. Anche ammettendo che i reati veri siano solo un quinto di quelli denunciati, resta da chiedersi: qualcuno ha pagato?

Girando la domanda ai magistrati di Milano, ne esce una risposta sconcertante: negli ultimi 20 anni si ricorda un solo medico che, dopo tre gradi di giudizio, ha dovuto scontare una parte della pena in carcere. il triste primato del professor Giorgio Oriani, condannato a quattro anni per il rogo colposo che il 31 ottobre ’97 uccise 11 persone nella camera iperbarica dell’ospedale privato Galeazzi. Entrato in cella nel dicembre 2003, ne è uscito nell’autunno 2004, perché sotto i tre anni, in Italia, sono previste misure alternative alla reclusione. Il pm milanese più esperto, Pietro Basilone, spiega che "quasi tutte le condanne di medici o dirigenti sanitari si fermano a pochi mesi e sono quindi ampiamente coperte dalla condizionale". Fino ai due anni, insomma, la pena è sospesa e ne bastano altri cinque per cancellare anche il reato. "In effetti, questo tipo di processo penale sta perdendo la sua natura punitiva per assumere una funzione distorta, direi quasi intimidatoria", conferma il pm milanese. "Molti avvocati usano la denuncia e soprattutto la querela come arma per trattare i risarcimenti".

Anche nel resto d’Italia, non c’è traccia di medici o funzionari ospedalieri che stiano scontando pene detentive. Per la strage del 2007 a Castellaneta, l’ospedale pugliese dove morirono otto pazienti per uno scambio di tubi tra ossigeno e azoto, la Procura di Bari ha chiesto il rinvio a giudizio di 30 imputati (medici, funzionari, collaudatori, imprenditori e progettisti), ma gli eventuali condannati entreranno in carcere solo se i tre gradi di giudizio si chiuderanno prima della (quasi sempre immancabile) prescrizione. A Torino, dopo la condanna a 23 mesi con la condizionale, è rimasto libero il cardiochirurgo Michele Di Summa, che si divise con un collega oltre 750 mila euro di tangenti pagate da un fornitore di valvole cardiache difettose: ora fa il dottore in Africa ed è già reintegrato nell’Ordine dei medici. A Padova il cardiochirurgo Dino Casarotto è stato condannato a cinque anni e nove mesi, ma solo in primo grado, perché i giudici lo hanno ritenuto responsabile anche di due omicidi colposi nonché delle lesioni ai pazienti provocate dalle stesse valvole-killer. Mentre a Torino questa accusa era saltata grazie a una perizia turbo-garantista per cui ora, però, è imputato di falso un luminare della medicina legale.

Quanto al carcere preventivo, che per i reati colposi non esiste, peggio di tutti (17 mesi di custodia cautelare) è andata a Pier Paolo Brega Massone, primario della clinica privata Santa Rita, che risponde di "86 operazioni inutili e dannose al polmone e alla mammella" e cinque omicidi. Reati che, per la prima volta, la procura ha ritenuto volontari: pur di intascare i profitti di una "chirurgia a cottimo", il dottore avrebbe addirittura accettato il rischio di uccidere i pazienti. La difesa sottolinea però che finora accuse così gravi non hanno "mai superato il vaglio della Cassazione". [...]