Barbara Schiavulli, L’espresso, 21/1/10, 20 gennaio 2010
SULLO YEMEN
[...] stato l’imam Anwar al Awlaki, un americano yemenita, a mettere lo Yemen sotto le luci dei riflettori del mondo, reclutando Omar Faruk Abdulmutallab, il nigeriano che voleva farsi esplodere sul volo di Natale da Amsterdam a Detroit, e Nidal Maliki Hasan, lo psichiatra militare che il novembre scorso ha ucciso 13 soldati americani nella base di Fort Hood. Al Awlaki si starebbe nascondendo tra le montagne di Kour nella meridionale provincia di Shabwa, insieme a Nasser al-Wuhayshi, il leader di Al Qaeda nella Penisola araba (formata nel 2006 da una fusione di qaedisti sauditi ed egiziani rientrati dall’Iraq e ex detenuti di Guantanamo e delle prigioni di Sana’a), e al suo numero due, il saudita Saeed Ali Al Sheri. [...]
Lo Yemen conta 200 tribù che si dividono in due grandi confederazioni, a una delle quali appartiene il presidente [Ali Abdullah Saleh] che in questi trent’anni è riuscito a mantenere tutti gli equilibri. [...]
Lo Yemen è il paese più povero della Penisola arabica, 25 milioni di abitanti , il 50 per cento disoccupati, dipendenti dal qat (pianta con foglie da masticare che danno stati di euforia e momenti catatonici). Circolano circa 60 milioni di armi, rendendolo uno dei paesi più importanti per il traffico internazionale e, tra dieci anni, Sana’a potrebbe essere la prima capitale al mondo senza acqua né petrolio. Ma con migliaia di profughi dalla Somalia, o dallo stesso Yemen dove si combatte e la gente fugge dai raid dei militari e dalla violenza degli Houti (sciiti, al nord) o dei separatisti nel sud del Paese. [...]
L’estremismo spaventa tutti, a partire dai paesi confinanti. Arabia Saudita, in particolare. Che ha tutto l’interesse a mantenere lo Yemen in una situazione di precario equilibrio. Commenta Mohammed al Dahiri, professore di Scienze politiche all’università di Sana’a: "La popolazione dello Yemen è maggiore di quella di tutti i Paesi del Golfo messi insieme. Se lo Yemen fosse ricco e stabile rappresenterebbe una minaccia. Se si sfasciasse sarebbe comunque una sciagura perché milioni di rifugiati si riverserebbero verso nord e nessuno li vuole". Una delle soluzioni, suggeriscono gli economisti, potrebbe essere quella di aprire il mercato del Golfo e permettere ai lavoratori yemeniti di muoversi liberamente tra i confini della regione. Era così fino al 1991, quando gli emigranti furono costretti a tornare a casa e il Paese fu isolato perché si schierò dalla parte di Saddam Hussein dopo l’invasione del Kuwait. [...]