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 2010  gennaio 18 Lunedì calendario

MATTEO RICCI E LA CINA DEI MING

Oggi ad Ancona, nella sede della Regione Marche, viene presentata la grande mostra dedicata a Matteo Ricci che aprirà il 6 febbraio a Pechino. L´esposizione, che farà tappa a Shanghai e Nanchino, ripercorrerà le orme del gesuita marchigiano che, tra Cinquecento e Seicento, stabilì per primo un ponte culturale tra Occidente e Cina. Anticipiamo parte del testo scritto da per il catalogo.
Nel 1595 padre Matteo Ricci, il primo missionario al quale i cinesi avevano aperto le porte del Celeste Impero, li stupì con un´esibizione che egli stesso raccontò orgogliosamente in una lettera a Edoardo de Sande: «Essi scrissero molti ideogrammi, io li lessi una volta sola e riuscii poi a ripeterli tutti a memoria nell´ordine esatto in cui erano stati scritti. Rimasero tutti a bocca aperta, perché parve loro una grande impresa. E allora, per aumentare il loro stupore, io presi a recitarglieli tutti allo stesso modo, ma questa volta dalla fine al principio. E tutti furono entusiasti, e parevano fuori di sé dall´emozione».
Non si trattava ovviamente di un miracolo: la sua memoria prodigiosa era il frutto di una precisa tecnica appresa da studente al Collegio Romano, che consisteva nell´associare vivaci immagini visive alle cose e alle parole da ricordare, e nel disporle e conservarle in luoghi mentali dai quali potevano essere estratte a piacere.
 proprio questa tecnica che dà il titolo alla biografia Il palazzo della memoria di Matteo Ricci di Jonathan Spence (Saggiatore, 1987). Ed è ancora questa tecnica che lo stesso Ricci descrisse nel 1596 nel Trattato della memoria locale o Metodo mnemotecnico dei paesi occidentali (Xiguo jifa), a beneficio degli aspiranti mandarini che dovevano memorizzare i 600.000 caratteri dei cinque classici sui quali si basavano gli esami, e che ancor oggi si vedono incisi su una foresta di steli nel cortile del Collegio Imperiale a Pechino.
L´arte della memoria, alla quale Frances Yates ha dedicato un classico studio omonimo (L´Arte della Memoria, Einaudi, 1972), era non solo ben nota in Europa ai tempi di Ricci, ma anche oggetto di critiche feroci. Da un lato, era stata messa alla berlina da Rabelais in Gargantua e Pantagruele come un futile mezzo per ricordare tutto senza imparare niente. Dall´altro lato, Francesco Bacone l´aveva attaccata come un funambolico esibizionismo di tassonomie, invece che di classificazioni. A Ricci, comunque, essa offrì la possibilità di arrivare a padroneggiare velocemente e perfettamente il complicato sistema di scrittura dei caratteri, e di registrare in memoria una biblioteca che gli sarebbe stato impossibile trasportare fisicamente in Cina. A questo proposito egli scriverà a Girolamo Costa il 6 marzo 1608, ormai alla fine dei suoi giorni: «io mi trovo in tanto mancamento di libri, che il più delle cose che io stampo, sono quelle che ho nella memoria».
Il più delle cose, ma non tutte, perché qualche testo di matematica Ricci l´aveva portato con sé. Ma nel 1600, durante il suo viaggio di avvicinamento a Pechino, se li vide confiscare tutti perché, come egli stesso scrisse: «In Cina è proibito sotto pena di morte studiare matematica senza l´autorizzazione del re». I volumi gli furono restituiti fortunosamente nei primi giorni di gennaio del 1601, ed egli poté così dedicarsi fra l´altro a tradurre con il suo discepolo Xu Guangqi i primi sei libri degli Elementi di Euclide, che furono pubblicati nel 1607 con la seguente avvertenza: «Riguardo a questo libro, quattro cose sono inutili: dubitare, congetturare, verificare, modificare. E quattro cose sono impossibili: rimuovere qualche passaggio, refutarlo, accorciarlo o spostarlo altrove».