Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 18 Lunedì calendario

TRA BOND E TLC L’AMARO TANGO DELL’ARGENTINA

Don’t cry for me, Argentina, cantava la protagonista del musical Evita dal balcone della Casa Rosada. Ora su quel balcone c’è la presidentessa Cristina Elisabet Férnandez de Kirchner che però difficilmente verrà rimpianta dalla sua popolazione come lo fu il mito Evita Peron. In sette anni di guida del paese sulle ali del Fronte para la victoria, la corrente di sinistra dell’ex partito peronista, Cristina e prima di lei (dal 2003 al 2007) suo marito Nestor non sono riusciti nell’intento di garantire una prospettiva di crescita e speranza a un paese che una volta era considerato il secondo granaio del mondo dopo l’Unione Sovietica.
Tuttavia, come ai tempi di Peron, negli ultimi tre anni l’economia del paese ha potuto beneficiare dell’inaspettata impennata dei prezzi delle materie prime, di cui l’Argentina è ricca. Ma ciò non è bastato e il paese delle Falkland e di Maradona continua a viaggiare sul pericoloso crinale dell’esplosione della spesa pubblica e dell’inflazione a doppia cifra, isolata dal contesto internazionale dopo il clamoroso crack del 2001 che portò l’allora presidente Fernando de la Rua a dimettersi per il default di 81 miliardi di dollari di bond governativi. Nel 2005 la doppia mossa di Nestor ha peggiorato la situazione: un’offerta di rimborso giudicata "risibile" dal 25% dei sottoscrittori del debito pubblico formato da italiani, tedeschi, americani e giapponesi. E il successivo rimborso al Fondo Monetario Internazionale di 10 miliardi di obbligazioni al tasso del 3,5% proprio mentre si chiedeva l’aiuto del Venezuela a costii molto superiori, con l’evidente intento di allontanare gli occhi severi degli economisti internazionali dagli affari interni del paese.
Dal 2007 Cristina ha proseguito sulla stessa strada tradendo le aspettative della classe meno agiata del paese che aveva riposto grandi speranze nella famiglia Kirchner. Uno scollamento dalla popolazione emerso con evidenza nel recente braccio di ferro con il governatore della Banca centrale Martin Redrado, nel quale la posta in gioco è l’ultima ricchezza del paese, le riserve valutarie. «Il governo Kirchner naviga a vista, non ha impostato alcun piano a medio lungo termine racconta un imprenditore italiano da molti anni con importanti attività nel paese sudamericano lo scontro con la banca centrale è l’ultimo tentativo di mettere le mani sulla ricchezza del paese». Redrado si è opposto al decreto di urgenza della presidentessa che mirava a spodestarlo per accedere a 7 miliardi di dollari di riserve che dovrebbero servire a rimborsare metà delle scadenze del 2010. E a rifarsi una verginità per ritornare sul mercato come prenditore di fondi nei mesi successivi. Purtroppo per la Kirchner la magistratura ha bloccato i fondi e reintegrato Redrado nella sua posizione, ergendolo così a difensore dei soldi dei cittadini dalle mani voraci del governo. Tutto ciò accade mentre il Congresso, nel quale l’opposizione è in maggioranza grazie alle elezioni di medio termine, è in vacanza. Se solo venissero a mancare i fondi per i trasferimenti alle province non si potrebbero escludere pesanti disordini sociali.
La Kirchner non ha capito che l’unica via che l’Argentina può battere per recuperare la credibilità perduta è quella che porta a saldare i conti ancora in sospeso: in primis i possessori dei 20 miliardi di bond che non hanno accettato la tosatura proposta da Nestor nel 2005, pari a solo il 33% del dovuto, tra capitale e interessi. E che in questi anni hanno intentato cause civili, arbitrati internazionali e class action sparsi in tutto il mondo. Quella italiana è la pattuglia più consistente, con 180 mila risparmiatori alle prese con 6 miliardi di dollari di Tango bond. Quasi tutti hanno seguito il consiglio della Task Force sull’Argentina messa in piedi dall’Abi e guidata da Nicola Stock avviando un arbitrato internazionale presso l’Icsid, organismo riconosciuto in 145 paesi. Se a un certo punto della contesa l’Argentina fosse riconosciuta colpevole i suoi beni sarebbero immediatamente aggredibili nei 145 paesi che aderiscono alla convenzione. Ma la speranza è ovviamente quella di chiudere la vicenda aderendo a una nuova offerta di scambio proposta dal governo argentino. Proposta che è stata ventilata alla fine del 2009 ma che rischia di diventare un ballon d’essai. Ancora una volta i Kirchner hanno giocato in modo ambiguo: hanno cercato un accordo preventivo con alcune banche internazionali che fiutando l’affare sono andate ad acquistare i bond sul mercato dove trattano ancora con un forte sconto. Se la proposta dovesse diventare ufficiale le banche avranno tutto l’interesse a consegnare i titoli all’offerta anche senza termini migliorativi rispetto al 2005. Tutto avrebbe dovuto essere pronto per fine mese ma già al primo passo il governo è entrato in difficoltà. I 49 miliardi di dollari di riserve monetarie accumulate grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime negli ultimi due anni non possono essere maneggiati con facilità. Inoltre gran parte di esse sono custodite presso la Bri a Basilea, la banca delle banche centrali. Se il governo le tocca cade il tabù di intoccabilità e diventerebbero aggredibili dai creditori internazionali. «L’Argentina ha il denaro per ripagare i debiti contratti con gli investitori internazionali. I soldi ci sono e i possessori dei cosiddetti Tango bond è bene che non si lascino convincere dall’idea di sottoscrivere nuove emissioni o swap ha scritto in un comunicato Robert Shapiro, presidente dell’American Task Force Argentina Il governo argentino utilizza la Bri per evitare di pagare il debito conseguito nel 2001, siamo di fronte a un vero e proprio abuso che i governi delle nazioni hanno il dover di far cessare e che deve finire con la piena soddisfazione degli investitori italiani, tedeschi e americani che a suo tempo hanno dato fiducia al paese sudamericano».
In effetti i governi dei paesi interessati finora hanno fatto ben poco per obbligare l’Argentina a ripagare i propri debiti, a parte qualche vaga minaccia come il sequestro del Tango 1, l’aereo presidenziale, se utilizzato fuori dai confini nazionali. Tra l’altro l’Argentina è ancora debitrice con il Club di Parigi per 6,5 miliardi di dollari più interessi, a causa delle importazioni non pagate. Addirittura nel caso dell’Italia la situazione è paradossale. I rapporti economici tra i due paesi sono ridotti al lumicino come dimostra il fatto che l’ultima delegazione del governo a far tappa in Sudamerica, quella guidata dal ministro Scajola, è passata dal Brasile e dal Cile senza entrare in terra argentina. Non contento il governo della Kirchner sta portando avanti un vero e proprio tentativo di esproprio ai danni di un’azienda italiana, Telecom Italia, che opera nel paese da 15 anni attraverso la Telecom Argentina. Le indebite pressioni hanno suscitato la ruvida reazione dei vertici della società italiana che giustamente si oppone alla vendita sottocosto del gioiellino locale a imprenditori argentini che non hanno neanche i soldi per pagare. Evidentemente la Kirchner vorrebbe rinazionalizzare alcune importanti aziende del paese, come ha fatto con i fondi pensione un anno fa, per poi avviare un secondo giro di privatizzazioni ma il giochetto rischia di farle perdere qualsiasi residuo di credibilità internazionale. Vista la situazione è facile prevedere mesi di fuoco prima delle elezioni di ottobre 2011.