NATALIA ASPESI, Repubblica 17/1/2010; GENE WILDER, Repubblica 17/1/2010; MEL BROOKS, Repubblica 17/1/2010, 17 gennaio 2010
3 articoli - L’UOMO CHE INVENT FRANKSTEIN JUNIOR - Ci ha fatto ridere come si rideva una volta al cinema: senza volgarità, con intelligenza e innocenza
3 articoli - L’UOMO CHE INVENT FRANKSTEIN JUNIOR - Ci ha fatto ridere come si rideva una volta al cinema: senza volgarità, con intelligenza e innocenza. Anche quando si innamorava perdutamente di una pecora voluttuosamente lanosa (in un episodio di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso di Woody Allen) il divertimento era del tutto spensierato. Il suo Frankenstein Junior che crea un mostro buonissimo era irresistibile, il suo impiegatino fulminato dall´apparizione di una meravigliosa Signora in rosso era allegramente commovente, come rabbino che per salvare un delinquente uccide (Scusi dove è il West?) lasciava di buon umore. Altri tempi per il cinema, per gli spettatori e anche per lui, Gene Wilder, che oggi ha settantasei anni e non fa film, né come attore né come regista, da quasi vent´anni. Capita sempre più raramente che la televisione trasmetta quelli che non sono mai stati capolavori come li intendono i critici (il Morandini assegna quattro stelle, tra i suoi film, solo a Frankenstein Junior, diretto nel 1974 da Mel Brooks) ma che avevano un grande pubblico sofisticato e appassionato. Con quegli occhioni chiari e spalancati, quei capelli ricci e arruffati, quell´aria sempre malinconica, da sconfitto che poi se la cava benissimo, Wilder non è mai stato uno di quei divi che fanno sognare, ma piuttosto un simpatico, anonimo personaggio addetto a farci passare un paio di piacevoli, immemori ore. Ci sbagliavamo, perché poi nella realtà Gene Wilder è stato un giovanotto timido, insicuro, immancabilmente seguito da una psicanalista, ma di grande fascino. Nella sua autobiografia (Ce n´è sempre una!, appena pubblicata da Sagoma Editore) la sua terza amatissima moglie, Gilda Radner, così racconta il loro primo incontro nel 1981: «Ero fan di Gene Wilder da molti anni, ma la prima volta che lo vidi di persona andai in fibrillazione. Mi stregò: fu come se la mia vita fosse passata dal bianco e nero al technicolor. Gene era divertente, atletico e affascinante, e aveva un buon profumo. Ero innamorata pazza…». Negli Stati Uniti, Gilda Radner era una celebrità, una grande presenza comica che aveva fatto parte del favoloso cast del Saturday Night Live con John Belushi e Chevy Chase. Passò al cinema e incontrò Gene sul set di un film che si rivelò non interessante, Hanky Panky-Fuga per due; quattro anni dopo si sposarono in un paesino del Sud della Francia. Anche Wilder ha scritto la sua autobiografia, pubblicata nel 2005 negli Stati Uniti e adesso in Italia da Sagoma Editore, intitolata Baciami come uno sconosciuto e scritta con la stessa grazia leggera delle sue sceneggiature; anche se la vita non è un film e il lieto fine non lo si può creare a forza. «Gilda consultò altri internisti, ginecologi, medici olistici e gastroenterologi… Poneva sempre le stesse domande: " un cancro?"». La risposta è sempre no, lei è depressa, o molto tesa, o ansiosa, o ha preso un virus. «Dopo dieci mesi di mancate diagnosi o di diagnosi sbagliate, con l´addome dilatato come se nascondesse un pallone sotto il vestito, alla fine se lo sentì dire: "Lei ha un cancro ovarico al quarto stadio´´». Quella bella, allegrissima, straordinaria moglie è morta dopo sofferenze orribili nel maggio dell´89, a quarantatré anni, e si capisce perché si sia spenta a poco a poco, in quell´uomo intelligente e sensibile, la capacità di far ridere, la voglia di continuare ad essere una star. Il cinema detesta le tragedie personali dei suoi divi, soprattutto se il loro mestiere è quello di far ridere, di rasserenare. per questo che solo l´autobiografia di Gene, cinque anni fa, rivelò completamente le ragioni del suo silenzio, della sua scomparsa, a un pubblico che ha fatto in fretta a dimenticarlo, tanto è veloce l´accavallarsi di nuove facce, nuovi divi, nuovi gusti, nuovi modi di far ridere e ridere. Meno di un anno dopo la morte di Gilda, Gene, quasi sessantenne, si innamora della logopedista che lo aveva aiutato a comportarsi da sordo nel film Non guardarmi, non ti sento con Richard Pryor e la sposa. Sono ancora insieme, lui è guarito da un cancro, ha perso i capelli, ha fatto senza successo un po´ di televisione, ha scritto l´autobiografia e un paio di romanzi, e come tanti pensionati, come la sua quarta moglie, dipinge. Vivono nel Connecticut, in una grande villa settecentesca ereditata da Gilda, la terza moglie mai dimenticata; come non ha mai dimenticato la colpevole leggerezza dei medici che dovevano curarla, né la sua lunga, atroce agonia. Per questo si occupa di un centro intitolato alla Rainer per la prevenzione dei tumori ovarici e partecipa ad ogni iniziativa che aiuti le donne a difendersi dal male e dalla cattiva medicina. NATALIA ASPESI, Repubblica 17/1/2010 QUANDO WOODY MI DISSE: «RECITERAI CON UNA PECORA» - Mi chiamavo Jerry Silberman. Avevo solo otto anni quando mia madre ebbe il primo infarto. Dopo che mio padre l´ebbe riportata dall´ospedale, il suo grasso cardiologo venne a trovarla per controllare le sue condizioni di salute. La visita durò circa dieci minuti poi, uscendo di casa, il dottore mi afferrò per il braccio destro, accostò il volto sudato alla mia guancia e mi sussurrò nell´orecchio: «Non litigare mai con tua madre, potrebbe anche morirne». Non sapevo cosa farmene di questo suggerimento, tranne per il fatto che avrei potuto uccidere mia madre se avessi perso le staffe con lei. Aggiunse anche: "Cerca di farla ridere". Woody Allen Il giorno dopo ricevetti una telefonata da Woody Allen a casa mio padre a Milwaukee. «Voglio fare un remake di Gli occhi che non sorrisero», disse, «sto pensando a te o a Laurence Olivier per la parte maschile, ma per il ruolo di Jennifer Jones, invece di una donna, voglio usare una pecora». Aveva i miei numeri: sia il numero di telefono di casa di mio padre che il numero che usavo per lavoro. Ancor prima di leggere la sceneggiatura sapevo perché voleva me: un attore che riuscisse a innamorarsi di una pecora in modo credibile e a recitare bene la parte. Frankenstein Junior Non improvvisammo mai i dialoghi sul set. Le azioni sì, ma non i dialoghi. Un giorno stavamo riprendendo la scena dell´arrivo di Madeline Kahn al castello di Frankenstein; indossava una stola di volpe e un grande turbante. A tutti la scena parve un po´ monotona. Dopo aver provato una serie di aggiustamenti, Mel disse: «Marty! Quando Gene dice: "Aigor, vuoi aiutarmi a portare queste due…?"», riferendosi alle valigie, tu gli fai: "Certamente: lei porta la bionda ed io questa qui col turbante "». Scoppiammo tutti a ridere e ricominciammo la scena, questa volta girandola. Io pronunciai la mia battuta, Marty disse la sua e poi ancora Marty, in preda a una delle sue ispirazioni impulsive, tirò un morso alla coda della pelliccia di volpe che Madeline portava intorno al collo e la coda si staccò restandogli in bocca. Fummo tutti costretti a continuare a girare la scena guardando Marty con la coda in bocca. Da quella scena demenziale è sbocciata una grande commedia. Federico Fellini Poiché continuavo a pensare a Il Più Grande Amatore del Mondo, decisi di chiamare l´ufficio legale della 20th Century Fox per scoprire se ci fossero rischi di eventuali denunce per plagio avendo tratto l´idea da Lo sceicco bianco. Mi dissero che, per maggiore tranquillità, avrei dovuto avere da Fellini una specie di autorizzazione. La mia cara amica Denise Breton, che lavorava a Parigi per le promozioni della Fox, mi disse: «Conosco Federico, lo chiamo subito». Tirò su la cornetta del suo ufficio e due minuti dopo sentii la voce del grande Fellini. «Mi è piaciuto un sacco il suo Frankenstein. un grande film e lei è un grande attore». «Grazie. Signor Fellini, ho bisogno…». «Federico! Per favore!». «Grazie. Federico, c´è un piccolo problema. Mi sono ispirato allo Sceicco bianco e ho scritto un film che si chiama Il più grande amatore del mondo e sebbene la mia storia sia quasi completamente diversa dalla tua, l´ufficio legale della 20th Century Fox dice che ho bisogno di una specie di permesso da te, per stare tranquilli». «D´accordo Gene. Ti dico cosa farai: sullo schermo nei titoli di testa farai scrivere in maiuscolo UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE AL MIO AMICO FEDERICO FELLINI. Questo sarà sufficiente». Feci proprio come mi aveva chiesto. © 2005; © Sagoma 2010 GENE WILDER Repubblica 17/1/2010 LA NOSTRA COMICA AMICIZIA NEL BACKSTAGE DI BROADWAY - Gene Wilder è il miglior genere di scrittore che esista. Trascrive i suoi pensieri con assoluta semplicità. Sebbene dotato di ingegno acuto, questo suo tratto non interferisce mai con la narrazione. Sembrerebbe che non sia la mano a impugnare la penna, ma il cuore. Dice sempre la verità, bella o brutta, troppo personale o rivelatrice che sia. Nel suo libro dei ricordi, il lettore percepisce il dolore, il turbamento, l´imbarazzo e la gioia dell´autore come se le provasse in prima persona. Per Gene dire la verità è una mania ossessivo-compulsiva, eppure la racconta fino in fondo con meravigliosa ed elegante leggiadria. Gene ed io siamo cari amici dal lontano 1963. Lo incontrai per la prima volta quando recitava in uno spettacolo con mia moglie Anne Bancroft, al Martin Beck Theatre a Broadway. Anne recitava nel ruolo della protagonista di questo capolavoro brechtiano intitolato Madre Coraggio e i suoi figli. Gene Wilder era il cappellano. Anne mi disse di tener d´occhio il giovanotto che recitava in quel ruolo perché pensava che sarebbe stato perfetto per un altro personaggio, Leo Bloom, che stavo scrivendo all´epoca per il mio primo film, Per favore, non toccate le vecchiette. Mi disse: «Osservalo bene. il ritratto dell´innocenza». Subito dopo decisi di incontrare Gene nel backstage e di chiedergli di andare a bere un caffè insieme. Sapevo che non aveva un soldo, quindi lo rassicurai che avrei pagato io. Durante la conversazione si lamentò delle reazioni divertite del pubblico alla sua recitazione: era turbato perché, in molte occasioni, per quanto si fosse impegnato a essere triste e commovente, aveva suscitato soltanto delle grasse risate. Cercai di spiegargli la ragione: «Dio ti ha donato un singolare talento. Sei un attore seriamente divertente». Gli parlai della mia idea di fargli interpretare il personaggio di Leo Bloom e lui mi rispose: «Per me sarebbe un sogno troppo grande perfino da sognare». Circa diciotto mesi dopo, era impegnato a Broadway in una rappresentazione intitolata Luv. L´ultimo giorno della programmazione andai a trovarlo in camerino e gli scaraventai sul tavolino la bozza ultimata del mio film. Gli feci: «Questo è Per favore, non toccate le vecchiette e tu sarai Leo Bloom». La nostra bella amicizia dura da allora ed io sono invischiato in buona parte della storia che leggerete nelle pagine di questo libro. Consiglio di leggerlo durante il giorno o presto la sera. Se si comincia a mezzanotte ben presto si viene sorpresi dalla luce dell´alba che filtra attraverso il davanzale della finestra. Gene Wilder ha avuto una vita folle, piena di avventure incredibili, eppure tutte sincere e reali, con un susseguirsi di personaggi affascinanti, alcuni molto noti, altri sconosciuti, ma ognuno a suo modo indimenticabile. © 2010 Il testo di Mel Brooks è la prefazione all´edizione italiana di Baciami come uno sconosciuto di Gene Wilder MEL BROOKS, Repubblica 17/1/2010