Georges Simenon, il Giornale 17/1/2010, pagina 23, 17 gennaio 2010
AUTOINTERROGATORIO DI GEORGES SIMENON
Pubblichiamo per gentile concessione dell’editore Omnibus alcuni stralci tratti da Autodictionnaire Simenon (Omnibus, 800 pagine, 26 euro). In questo testo Pierre Assouline, famoso biografo di Georges Simenon, ha riunito con tenacia e intelligenza tutte le interviste, le lettere e le dichiarazioni in cui il grande scrittore francese parla di se stesso e delle sue opere. Un modo per dare voce al raffinato giallista e alla sua più bella indagine: quella su se stesso.
Il gusto della bottiglia
«Non c’è nessuna vergogna a essere ubriachi, non più dell’essere malati di cuore o soffrire di calli» (Intervista con Roger Stéphane, 1953).
«Non vi dirò che sono i migliori quelli che bevono, ma che sono, comunque, quelli che hanno intravisto qualcosa, qualcosa cui non potevano arrivare, qualcosa il cui desiderio li faceva star male, qualcosa forse che io e mio padre fissavamo, quelle sere in cui si stava seduti davanti al fuoco e le nostre pupille riflettevano il cielo senza colore» (Lettre à mon juge, 1947).
L’amore è una malattia
«Nel centinaio di romanzi che ho scritto sino al 1946 e che voi avete letto, credo di non aver mai parlato dell’amore se non come di un incidente, oppure di una malattia, quasi di una malattia vergognosa; in ogni caso, qualcosa che non poteva che indebolire l’uomo, togliendogli il dominio di se stesso. E questo è ciò che sentivo» (Lettera a Andrè Gide, 18 gennaio 1948).
Ma anche l’artista è un malato
«L’artista è innanzitutto un malato, o comunque un instabile, se i medici hanno ragione, e sono tentato di crederlo. La sua inquitudine lo spinge a immaginare i mali degli altri, a viverli. una spugna, quasi uno squilibrato. Perché vedere in tutto ciò una superiorità. Avrei piuttosto voglia di scusarmi» (Intervista con André Parinaud, 1955).
Una questione d’atmosfera
«Sono gli altri ad aver usato questa parola, non io. Niente mi irrita più del termine ”atmosfera”. Il romanzo d’atmosfera! Ma santi numi, se non ci fosse atmosfera un romanzo sarebbe fallito. un po’ come se parlando di un uomo, voi diceste: ”Respira!”. In caso contrario, sarebbe morto, no? Un romanzo senza atmosfera è un romanzo nato morto» (Intervista a André Parinaud, ottobre-novembre 1955).
Creare, non si sa come
«Da sempre credo che la creazione è incosciente, cosa che la distingue dalle opere concepite con la sola intelligenza e abilità» (Lettera a Federico Fellini, 8 gennaio 1979).
l’istinto che mi fa scrivere
«Sono un istintivo, non sono per niente un intellettuale. Non ho mai pensato un romanzo, l’ho sentito. Non ho mai pensato un personaggio, l’ho sentito. Non ho mai inventato una situazione, la situazione è venuta mentre scrivevo un romanzo, ma non sapevo minimamente dove il mio personaggio mi avrebbe portato: è lui che mi conduceva e per undici giorni e poi alla fine per sette io vivevo, per così dire, nella sua pelle» (Intervista con Bernard Pivot, novembre 1981).
Non leggo perché debbo scrivere
«Ci sono oersone che mi rimproverano di leggere relativamente poco. Ma io spiego loro una cosa naturale, ovvero che chi produce deve nutrirsi di qualcosa di vivo, dunque crudo, e non di qualcosa già digerito da un altro» (Intervista con Bernard de Fallois e Gilbert Sigaux, 1970).
E scrivere condanna all’infelicità
«Scrivere non è una professione, ma una vocazione all’infelicità. Non credo che un artista possa mai essere felice. Innanzitutto, perché penso che se un uomo ha il desiderio di essere un artista, il motivo è che ha bisogno di trovarsi (…). Ma l’artista non deve solo guardare in se stesso, deve anche guardare dentro gli altri con le proprie esperienze. Scrive con simpatia, perché sa che l’altro gli somiglia» (Intervista con Carver Collins, 1956).
Pensare non fa per me
«Ho sempre avuto in orrore la parola ”riflessione”, la parola ”pensiero”. Non sono un essere che pensa. Sono un essere che assorbe e rigetta. Credo alla meditazione, al sogno, che è ben diverso. Non credo al pensiero. Credo nell’intuizione, non nell’intelligenza. Gli psicologi moderni cominciano ad ammetterlo» (Intervista con Thérèse de Saint-Phalle, le Monde, 5 giugno 1965).
L’ossessione della femmina
«Sono sempre stato ossessionato dalle donne. Cercavo il contatto umano. Ora il contatto più grande che si possa avere avere con un essere, è ancora fare l’amore. Ho cercato la femmina attraverso tutte le donne. Dicevo chiaramente: Volete un’avventura di quindici giorni, di due giorni, di un’ora, di un quarto d’ora? Ed è tutto. Ho, come dire, una fame molto esigente» (Intervista con Paul Giannoli, Losanna, novembre 1981).
La bellezza? Una donna che dorme
«Il viso di una donna addormentata è ciò che considero più bello e più commovente. Non chiedo che i suoi lineamenti abbiano la regolarità delle statue antiche, che la sua bocca sia piccola o grande. Chiedo solo di sentirla felice» (Point-virgule, dettatura del 10 agosto 1977).