Vari, 16 gennaio 2010
PEZZI SU AVATAR
Fabio Ferzetti, Il Messaggero 10/1/2010
di Fabio Ferzetti
ROMA (10 gennaio) - James Cameron non lo ammetterà nemmeno sotto tortura, ma la trama di Avatar è quasi una copertura, uno specchietto per le allodole, il pedaggio pagato all’esigenza di quadrare i conti con la Storia, che si fa sentire anche (soprattutto) quando si reinventa un intero pianeta da cima a fondo. L’America infatti non finisce mai di raccontare la sua ”perdita dell’innocenza”, iniziata il giorno in cui il capitano Smith amò e poi tradì la pellerossa Pocahontas. Così anche Avatar (in uscita venerdì 15 in 800 copie) si presenta come una metafora dell’eterna rapacità occidentale e il lussureggiante pianeta Pandora, con le sue ricchezze minerarie, diventa il simbolo di tutte le guerre di conquista passate, presenti e future.
Troppo facile, troppo scontato. E soprattutto poco in linea con il cuore dichiarato di tutta l’operazione, che è insieme tecnologico e artistico (la vera arte ha sempre sognato, inventato e perfezionato le tecniche di cui aveva bisogno, con buona pace di certi commentatori e registi che hanno attaccato il film ancor prima di vederlo, che tristezza). Perché Cameron dunque avrebbe aspettato tutti questi anni per raccontare la solita storia di distruzione e conquista?
Nossignori, come indica chiaramente il titolo, il titanico Avatar racconta anche se non soprattutto un’altra storia. La storia di un uomo (Sam Worthington), che rinasce in un altro corpo. Di un paralitico che non solo ritrova l’uso delle gambe, ma si risveglia in un corpo decisamente più grande, più forte e più sensibile del suo, anche se è striato e bluastro. Un corpo fatto apposta per connettersi con tutte le creature viventi del suo pianeta (suo, attenzione, non nostro). E non misticamente ma letteralmente, attraverso terminazioni nervose nascoste nella lunga treccia che adorna il capo di ogni indigeno Na’vi, il suo come quello della bellissima guerriera (Zoe Saldana) che lo prenderà sotto la sua protezione.
Grazie a questi filamenti nervosi gli indigeni non solo domano, come guerrieri Cheyenne, ma ”possiedono” le loro cavalcature diventando tutt’uno, mente e corpo, uomo e animale. E sono giganteschi pseudo-cavalli a sei zampe ma anche spaventosi dragoni alati grazie a cui i Na’vi volteggiano fra abissi vertiginosi e surreali montagne fluttuanti a mezz’aria con una velocità, una sicurezza, una fisicità che non si era mai vista su uno schermo (qui la parte del leone la fa il 3D, ma l’iconografia viene da decenni di fantascienza illustrata, anche se Cameron pesca nelle direzioni più varie, dalle tele di Magritte ai cartoons di Miyazaki).
Sono queste scene, insieme alla reinvenzione di una Natura aliena in ogni dettaglio, la parte davvero travolgente di Avatar (a chi voglia sapere come si crea un pianeta da cima a fondo, flora, fauna, lingua e cultura, consigliamo il magnifico libro illustrato di Lisa Fitzpatrick L’universo di Avatar, edizioni Il Castoro). questo il folle sogno inseguito da James Cameron, del quale il film è la perfetta metafora con quegli attori ”trapiantati” dentro corpi virtuali e in qualche modo più potenti dei loro (anche se le espressioni dei Na’vi derivano da quelle degli attori in carne e ossa). Ed è questa la frontiera che Avatar scavalca per la prima volta, dischiudendo scenari inusitati anche per la creazione cinematografica.
In fondo l’ex-marine paralitico Jake Sully, arruolato al posto del gemello scienziato morto improvvisamente, deve dormire per entrare davvero nel corpo del suo avatar, geneticamente metà umano metà Na’vi (metà analogico, metà digitale). Solo quando il suo cervello umano riposa, il cervello dell’avatar si attiva. Solo abbandonando la nostra mente razionale possiamo vivere un’avventura che evoca la realtà virtuale ma anche un futuro non troppo lontano, secondo le ultime ricerche mediche e genetiche. Come Avatar racconta con la preveggenza tipica della miglior fantascienza, ma con uno scatto visionario in più.
Naturalmente Cameron non è un regista cyberpunk, è l’autore ”totale” di un’impresa finanziaria e tecnologica di costo e complessità senza precedenti, dunque dissimula il lato onirico e filosofico della sua avventura in un film costruito rispettando (a volte fin troppo) tutti i crismi della saga spaziale. Mentre accenna appena piste che meriterebbero ben altri sviluppi (l’ex-marine non è l’unico avatar spedito in missione fra i Na’vi, con lui c’è anche la scienziata Sigourney Weaver, l’unica interessata a capire davvero come funzionano quel pianeta e i suoi abitanti, e forse, chissà, a rispettarli). Per poi seguire l’inevitabile precipitare degli eventi fino allo scontro finale fra i pacifici Na’vi armati di archi e frecce e i terrestri invasori con i loro elicotteri e bombardieri (si cita molto fin dalle prime immagini anche Apocalypse Now).
Ma intanto edifica con forza e coerenza rare l’immagine di un pianeta dove ogni vita è davvero legata a tutte le altre e tutte sono connesse (per via botanica!) in una sterminata rete di informazioni e di intelligenze che fa del pianeta Pandora davvero un dio vivente. Contrapposto all’ottusa brutalità di quegli umani che per combattere devono indossare giganteschi e sgraziati robot metallici, mentre i Na’vi cavalcano maestose creature alate e al momento giusto faranno fronte comune con le belve più temibili del loro pianeta contro gli invasori terrestri.
Si capisce che gli umani vogliano sterminare quella razza di alieni altissimi, bellissimi, agilissimi, e capaci di vivere in perfetta armonia con la Natura. In fondo il prezioso minerale di cui vanno alla ricerca è solo un pretesto. La vera ragione della presenza umana su Pandora non è l’avidità. l’invidia.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero 16/1/2010
di Fabio Ferzetti
ROMA (16 gennaio) -Tre ragioni per non perdere Avatar. Della prima abbiamo detto ampiamente domenica: il protagonista è un ex-marine semiparalizzato che accetta di trasferire la propria mente nel corpo perfetto di un Na’vi, un gigantesco alieno dalla pelle blu, per infiltrarsi tra i nativi del pianeta Pandora. Nessuno aveva mai dato tanta evidenza fisica al sogno molto contemporaneo di vivere dentro un altro corpo, più forte e potente, che per giunta dà accesso a un universo ricchissimo e in tutto diverso dal nostro. Pochi l’hanno notato, curiosamente, ma è questo ”trip” il cuore del film (millenni di paradisi artificiali, dall’oppio alla realtà virtuale, stanno lì a ricordarcelo). Che l’impresa richiedesse tutti gli artifici del 3 D è della ”performance capture” è un paradosso solo apparente. Cameron ha aspettato anni pur di conferire massimo realismo a questo sogno folle e umanissimo, oggi incredibilmente vicino grazie ai progressi scientifici (protesi, chirurgia plastica, bioingegneria etc.).
Basterebbe questo a fare di Avatar un film capitale. Ma c’è una seconda ragione: il pianeta Pandora. L’équipe del film ha creato un mondo di enorme fascino e complessità, sia biologica che culturale (piante, animali, usanze, linguaggio) pescando suggestioni dai più diversi orizzonti ma prendendo il tutto molto sul serio. Ne esce un pianeta che è una specie di dio vivente dove ogni specie, indigeni, piante, animali, è mentalmente e perfino fisicamente connessa alle altre (come, lo scoprirete al cinema). Liquidare il tutto come scontato omaggio alla ”moda” ecologista è davvero riduttivo.
Infine, la storia. vero, Avatar non brilla per novità. vero che quel pianeta da conquistare ad ogni costo è l’America dei pellirossa, il Vietnam, l’Iraq, tutto ciò che volete. Mentre l’impossibile amore fra il marine-avatar e la bella guerriera Na’vi che lo protegge e lo inizia al suo mondo evoca certamente Pocahontas. Ma Cameron riscrive fiabe e miti fondanti nella storia americana travasandoli in un mondo e un linguaggio nuovi. Conosciamo già i ”cattivi”. Ma dei buoni che cavalcano creature alate connettendosi con loro fisicamente e mentalmente (ancora due corpi in simbiosi totale), non li avevamo ancora mai visti. Se Pandora non ci fosse bisognerebbe inventarla. Appunto.
AVATAR
(fantascienza, Usa, 162’)
di: James Cameron
con: Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney
Weaver, Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Giovanni Ribisi, Wes Studi
La Stampa, Tiziana Platzer 16/1/2010
Alla fine, tutti vorrebbero essere un avatar. Che non è una gran scoperta di fuga virtuale, ma da ieri la creatività a video è stata decisamente superata dal desiderio di lanciarsi in un mondo altro a stretta somiglianza con quell’avatar azzurro che salva il pianeta della felicità. finalmente arrivato il Na’vi alto tre metri dalle orecchie a punta e la coda anche per gli spettatori italiani e fra i 4500 che nella giornata di ieri hanno riempito le sale cinematografiche torinesi, con esauriti negli spettacoli di prima e seconda serata, l’assenso al film fenomeno di James Cameron è stato unanime.
Dopo le tre ore di proiezione in 3D, sfilati gli occhialini dal naso una sola esclamazione: «Bellissimo». Strepitoso sotto tutti i punti della visione secondo i ragazzini e fino ai pensionati, cioè coloro che hanno avuto la libertà di catapultarsi fuori da scuola e fuori da casa per i primi spettacoli pomeridiani cercando di eludere la ressa serale prevista. E hanno visto giusto. Per il week-end l’atmosfera alle biglietterie si prevede molto calda all’inseguimento di Pandora, il pianeta del sistema stellare triplo Alpha Centauri lontano dalla Terra 4,4 anni luce. Ma non c’è distanza che basti a tenere lontani la furia e l’avidità degli umani racconta Cameron.
« come ti porta a riflettere sull’uso del potere la parte più bella del film» dice Stefano Montesano, 18 anni, studente del liceo scientifico «Copernico» al termine della proiezione del primo pomeriggio al Pathè del Lingotto, che ieri ha raccolto circa 200 spettatori e ha avuto il sold-out alle 20 e alle 22. «Ti sconvolge vedere la totale mancanza di rispetto della natura, il desiderio di distruzione, la noncuranza con cui l’uomo abbatte qualunque messaggio di pace». Sono arrivati in un bel gruppone gli studenti del liceo, e quelli più giovani ci vanno un po’ meno per il sottile in quanto a critica cinematografica: « meraviglioso per gli effetti speciali, la storia invece mi ricorda un po’ quella di Pocahontas, quasi banale» attizza gli animi femminili ridendo Federico Dascoli, 15 anni, e infatti subito le compagne Alessandra Mario e Ilaria Reiso rimbeccano con un «Eddaii, sei sempre il solito... La storia d’amore è coinvolgente, commuove, e questi umanoidi azzurri, dopo un po’ che li guardi, ti sembrano davvero molto belli».
Ma l’entusiasmo muove anche il pubblico di altra età. Arturo Sibona, pensionato, non nasconde di aver provato un po’ di tristezza: «La realtà in confronto sembra così dura, arida». Ci va giù decisa Anna Cappuzzello, dipendente Fiat alle soglie della pensione: «Vorrei potermi trasformare io in un avatar e mollare questo mondo, io credo che tanti vorrebbero evadere dalla depressione di valori in cui ci troviamo. Il film vale proprio perché non diffonde il solito messaggio sulla vittoria del denaro e del potere». Si agganciano a questo pensiero Gian Luca e Matteo, amici sedicenni e studenti dei licei «Segrè» e «Alfieri»: «Siamo appassionati di cinema e questo è un film da non perdere, da avere a casa in dvd: è una poesia, è la vittoria dei sottomessi e della natura. Ti fa credere che ribellarsi, anche in una condizione estrema, sia possibile. E poi c’è una colonna sonora meravigliosa».
La suspense che regge sino alle fine ha colpito i tre amici Jacopo Cagnolini, Paola Menarelli e Valentina Moresco, 18 e 19 anni giunti al Pathè di gran corsa dall’Istituto psicopedagogico «Regina Margherita»: «Una storia contagiosa e coinvolgente, non riesci a capire come i Na’vi potranno farcela, e ti senti davvero male nel vedere come gli uomini senza alcuno scrupolo vogliano distruggere le risorse naturali, la bellezza di un luogo, la dignità di un popolo ”diverso”». E se ne vanno già pensando da chi farsi accompagnare per un «Avatar» bis.
Valerio Caprara, Il Mattinp 10/1/2010
Se la domanda fosse «vale la pena di vederlo», la risposta sarebbe sì, naturalmente. Con la raccomandazione di cercarvi lo schermo più grande possibile e l’apparato audio/video al massimo livello. Qualora v’interessi andare al sodo e sapere se il film è bello, la risposta è ancora un sì convinto. Se a questo punto però pretendereste la notizia di un nuovo capolavoro firmato James Cameron, dobbiamo optare per il no: per niente apocalittico, polemico o malevolo, ma pur sempre un no. «Avatar», rigorosamente da vedersi nella profondità di campo suggestiva (ma non sconvolgente) garantita dal 3D, riflette più di una curiosa contraddizione dell’autore. Si tratta, innanzitutto, di un poema fantascientifico officiato sull’altare della meraviglia tecnologica e in particolare dell’avanzatissimo processo di computergrafica denominato performance capture che si fa, però, portatore della più scontata e nostalgica elegia di un mondo primitivo ed ecologico. Una specie di parabola new age o neo hippy inserita nell’ingranaggio colossale e rutilante di un blockbuster di ultima e costosa generazione. Certo davanti a un film che aspira a essere di culto è un po’ pedante concentrarsi sulla trama, che dovrebbe e vorrebbe essere a rimorchio di una scrittura inventiva, alcuni personaggi memorabili e un «quid», spesso misterioso, di saggezza, suspense ed emozione. Basterà dire allora che l’ex marine paraplegico Jake Sully viene arruolato nel 2154 per diventare uno degli «avatar» creati dalla scienziata Augustine: corpi biologicamente ricostruiti e geneticamente modificati a perfetta imitazione degli abitanti del tossico pianeta Pandora. La crisi energetica globale ha, in effetti, costretto gli uomini (come sempre rappresentati da sbrigativi e maneschi americani) a cercare di mettere le mani sul prezioso minerale che giace copioso sotto la terra dei Na’vi, umanoidi altissimi, flessuosi, di colore bluastro e muniti di coda e orecchie da felini. Una volta introdotto nella giungla, il nostro eroe farà tutte le terrorizzanti ed esaltanti esperienze possibili in quell’ambientazione a metà strada tra la terra di Tarzan e la (tolkieniana) terra di Mezzo; ma soprattutto conquisterà faticosamente un’empatia «naturalistica» con la bella principessa Neytiri. Si può prevedere, quindi, benissimo, come procederà l’esperimento: anche perché gli affaristi terrestri amano affidarsi a colonnelli a stelle e strisce come Quaritch, una vera macchietta assetata di sangue al cui confronto il personaggio di «Apocalypse Now» che amava «sentire l’odore del napalm al mattino» farebbe la figura del chierichetto pacifista. Insistiamo sulle contraddizioni: Cameron diventa ossessivo, quasi martellante nell’esaltare la fede e la quiete dei nativi di Pandora, ma poi alterna alle sequenze di voli e salti mirabolanti una componente sentimentale debordante e casereccia. del tutto evidente come la chiave narrativa si rispecchi nei classici film pro indiani della Hollywood progressista: purtroppo, però, in quelli che si limitano a rovesciare banalmente il razzismo - da «Soldato blu» a «Pocahontas» - piuttosto che in quelli tormentati e anti-manichei come «Piccolo grande uomo» o «Un uomo chiamato cavallo». Succede così che siano più convincenti, più divertenti e persino più espressivi gli animali mostruosi di Pandora e le sequenze davvero entusiasmanti siano quelle innescate dai personaggi non sottoposti all’implacabile griglia del politicamente corretto (la doma dei cavalli selvaggi simili a draghi). il problema di fondo dello splendido, ma un po’ labile spettacolo di Cameron: il grande trasporto e la straripante energia indirizzati verso lo stupore visivo e fantastico non ricevono ulteriore impulso dalla ristrettezza dei motivi interiori, esistenziali. A meno che non si voglia dar credito a uscite come quella del colonnello, goffamente estrapolate dal vocabolario dei superati strateghi del superato Bush: «bisogna combattere il terrore con il terrore». Il perno principale su cui ruota «Avatar» resta, in fondo, l’ex marine, interpretato solo diligentemente dall’australiano Sam Worthington; ora, senza fare paragoni ingenerosi con l’Harrison Ford di «Blade Runner», si può dire che il tema struggente del corpo debole e impotente teso a reinventarsi nella libertà insieme mentale e spirituale del sogno sfuma nell’urgenza di condurre i contendenti al conflitto finale dei robot mitragliatori contro i guerrieri con l’arco e le frecce. Ci dispiacerebbe, comunque, trasmettere un’impressione tutta negativa: viene da ridere, infatti, pensando alle polemiche scatenate in questi giorni sulla stampa dagli ultrà dell’autorismo all’italiana in nome dell’«antica» poesia abrogata dalla novità degli effetti. Innanzitutto perché Cameron li surclassa sul piano delle posizioni radicali e dei messaggi anti-occidentali. Poi perché per noi, paradossalmente, il vero difetto di «Avatar» è quello di fare prevalere le vecchie solfe del selvaggio buono & onesto sull’imprevedibile vertigine dei sentimenti futuribili.
Da Il Mattino, 10 gennaio 2010
[...] A dodici anni da quella primavera, Cameron è di nuovo al centro dell’attenzione di Hollywood per un film che finirà per costare oltre 200 milioni di dollari e che ha impiegato una troupe di oltre mille persone [...] Poi c’è il New York Times, che dopo avere ascoltato professionisti e fan ha concluso: «Il nuovo film di Cameron potrebbe: (a) cambiare il cinema per sempre; (b) alterare il vostro cervello; (c) curare il cancro» [...] Cameron [...] ha impiegato anni a mettere a punto lui stesso le 197 cineprese usate simultaneamente per riprendere le scene, e che ha utilizzato la tecnica cosiddetta «e-motion capturing», quella che cattura le emozioni e le Immagini di attori veri per poi trasporle in animazione digitale.La scelta di fare ricorso al formato tridimensionale è il trend di quest’anno. Dopo Monsters vs. Aliens, arriverà in Italia Up, il film della Pixar che ha aperto Cannes: E influenzati dai set virtuali, Spìelberg e Peter Jackson stanno girando Tin Tin in 3-D. Quello che Cameron ha saputo fare è portare lo spettatore ad avere l’illusione di «abitare» le scene, un’esperienza sensoriale mai creata prima [...] poche settimane fa il giornalista di tecnologia di Time, Joshua Quittner, ha potuto vedere quindici minuti di film. Risultato: ne ha parlato come di un «trip psichedelico». «E’ stato come essere sotto l’effetto di droghe - ha spiegato -. Non sapevo più che cosa era vero e che cosa era animazione».
Al tutto si aggiunge il parere professionale di Mario Mendez, neurologo comportamentale della University of California a Los Angeles. Secondo il dottore è possibilissimo che il nuovo film di Cameron sia in grado di stimolare circuiti nervosi altrimenti impermeabili ai film in 2-D. «Ho provato sensazioni simili quando ho assistito dei veterani per una simulazione virtuale della guerra in Iraq. Quell’esperienza ha ricordato - è rimasta con me giorni e giorni» (Lorenzo Soria, La Stampa 2/6/2009)
I Na’vi vivono praticamente seduti sull’Unobtainium, il minerale in questione [...] Sì, leggeteci tutte le allusioni possibili. L’Unobtainium come il petrolio, Pandora come l’America dei nativi ma anche l’Africa del colonialismo o il Medio Oriente, l’esportazione di democrazia con le armi in pugno, l’ansia ecologica per le sorti della Terra (che gli umani, si dice in un dialogo, hanno abbandonato dopo averla distrutta). [...] Certo, poi c’è la tecnologia. Ce n’è tanta, al massimo livello: accanto a Cameron c’è la Weta di Peter Jackson, i geni neozelandesi degli effetti speciali che hanno già firmato Il signore degli anelli. E qui il giudizio deve scindersi. Se dal punto di vista narrativo Avatar è una fiaba d’azione di ottimo livello, dal punto di vista tecnico è un film epocale. Un critico avrebbe il dovere di capire quando si trova di fronte a un’opera di svolta: beh, secondo noi Avatar lo è. [...] un’evoluzione netta della «performance capture», quel sistema che consente di creare personaggi digitali applicando sensori al corpo degli attori: così hanno realizzato Gollum nel Signore degli anelli, così hanno creato i Na’vi di questo film. Ma la cosa più straordinaria è la creazione ex novo, al computer, di un intero ecosistema. I momenti più incredibili del film sono quelli in cui Jake, attraverso il suo avatar, si muove nelle giungle di Pandora e impara a conoscerle. Nulla di ciò che vedrete è vero, eppure ogni singolo filo d’erba (digitale) è vivo, e l’idea che i Na’vi siano «in rete», in connessione con l’ambiente, le piante, gli animali è l’aspetto al tempo stesso più poetico e più tecnicamente strabiliante del film. Un esempio: quando Jake e i Na’vi camminano nella giungla, il terreno morbido sotto i loro piedi riluce ad ogni passo, ed è un effetto luminoso morbido, cangiante, di un realismo che mozza il fiato [...] James Cameron è un regista recluso e misterioso, senza il gusto per il lavoro di squadra che contraddistingue registi-produttori come Jackson, Lucas o Spielberg; (Alberto Crespi, l’Unità 10/1/2010)
[...] Titanic che nel 1997 superò la barriera del suono negli incassi: con 1.842.879.955 dollari è il film più ricco della storia del cinema [...] Pandora così si chiama una luna che gira intorno a un sole in una lontanissima galassia. Vi arriva, dopo anni di incubazione, Jake Sully (il simpatico Sam Worthington), un ex marine costretto a vivere su una sedia a rotelle. Il giovane vi incontra i componenti di una base terrestre ben fortificata che, guidati da un superbo comandante, il colonnello Miles (Steppen Lang), e dalla dottoressa Grace (Sigourney Weaver), molto sensibile alle sorti degli abitanti di Pandora chiamati na’vi, sono incaricati da una multinazionale di raccogliere pietre che dovranno servire a risolvere i problemi energetici del nostro pianeta [...] l’Ippogrifo di Ludovico Ariosto [...] Magistrale è l’idea di Cameron di tenere il quadro vastissimo e di riempirlo di figure sempre in movimento, di macchine prodigiose e di cento e cento oggetti. Il film è costato parecchio, 800 milioni di dollari, ma non paiono soldi sprecati, se si giudica la spettacolarità complessiva dell’opera. Se Titanic, come si diceva, ha superato la barriera del suono negli incassi, Avatar certo ripeterà l’impresa: dopo tre settimane è già il secondo film più ricco di sempre, con un incasso di 1.131.752.464 dollari. Cameron pensa già a un Avatar 2 . Ma prima produrrà il fantasy Battle Angel e si darà alla storia, quella vera, con un film su Hiroshima (Da Avvenire , 10 gennaio 2010)
Paolo Mereghetti
il film che è costato di più di tutta la storia del cinema (o almeno pare: la Fox, che l’ ha prodotto non ha comunicato alcuna cifra, ma gli esperti azzardano un costo, lancio compreso, tra i 400 e i 500 milioni di dollari). E Avatar è incamminato a diventare anche il più redditizio. In Italia, su sollecitazione dei distributori nazionali timorosi per i loro cinepanettoni, la Fox ha posticipato l’ uscita al 15 gennaio (in tutto il mondo, tranne che in Cina, Giappone, Argentina, Polonia, Georgia e naturalmente in Italia, è invece uscito il 18 dicembre) e per questo - dopo le polemiche che hanno coinvolto anche il presidente Obama che ha portato le figlie di 8 e 10 anni (non «infrangendo» la legge, ma piuttosto rispettandola, visto che la classificazione PG-13 suggeriva la «guida dei genitori per i minori di 13 anni») - siamo andati a Parigi per raccontarlo in anteprima. Sabato sera, ore 21.20 (il film dura 162 minuti), cinema Mk2 Odéon: coda di 50 minuti a 3 gradi centigradi per conquistare la visione migliore (si prenota il biglietto, non il posto), versione «3D relief» in lingua originale con sottotitoli, sala esaurita (tra il pubblico, mediamente tra i venti e i quaranta, anche Dominique Paini, ex direttore della Cinémathèque). La regia va per le spicce. Cameron ha tante cose da mostrare e non perde tempo coi preamboli, così non è proprio intuitivo capire perché l’ ex marine paraplegico Jake Sully (l’ attore australiano Sam Worthington, già Marcus Wright in Terminator Salvation, girato dopo ma uscito prima) accetta di finire nel 2154 sul pianeta Pandora per «dar vita» a un avatar, cioè un corpo costruito artificialmente, che gli permetta di diventare come i locali Nàvi. (Lo fa per sostituire il fratello, morto all’ improvviso e volontario per questa missione). L’ inventrice di questi avatar è la dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver), anche lei «entrata» nel corpo di uno di questi giganteschi Nàvi, dotati di coda e di una treccia di capelli dallo strano potere, abitanti semi-primitivi guidati dal bisogno di sentirsi in armonia con la Natura. Lo scopo della scienziata è quello di capire il rapporto empatico che i nativi hanno con il mondo che li circonda, ma in questo modo finisce per dimenticare che chi la finanzia vuole solo impadronirsi della terra dove vivono, ricca del prezioso «unobtanium». E così Jake Sully (e il suo avatar), che impiega tre mesi per conquistare la fiducia della bella Neytiri (Zoe Saldana) e diventare un vero Nàvi, si trova di fronte a un dilemma: abbandonare i suoi nuovi amici e accettare la logica guerrafondaia (bushiana?) del colonnello Quaritch (Stephen Lang) che vuole distruggere gli insediamenti Nàvi per trasformarli in miniere o ribellarsi, tradire la propria origine terrestre e combattere gli invasori? Tutto questo Cameron lo racconta con un senso dello spettacolo eccezionale: alti tre metri, generati al computer con la tecnica capturing image (per trasferire su di loro le espressioni degli attori), i Nàvi sembrano metà uomini e metà felini, immersi in un’ ambientazione favolistica (che deve molto ai disegni di Roger Dean, il creatore delle copertine degli Yes), lussureggiante e insieme fantascientifica (eccezionali le immagini notturne, con fiori e piante che si illuminano al passaggio dei Nàvi). Così come sono convincenti i draghi volanti e tutto il bestiario fantastico che popola il pianeta Pandora, a cui l’ uso del 3D conferisce una profondità di campo «wellesiana», senza effetti particolarmente eclatanti (tipo frecce che bucano lo schermo) ma proprio per questo più realistica e concreta. Dove Cameron convince meno è nella troppo superficiale lettura dello scontro tra terrestri distruttori e nativi difensori della natura. Se il problema del riequilibrio ecologico del nostro pianeta è di stringente attualità, il modo migliore per ricordarlo non è certo riducendo tutto a una specie di favoletta mistica dove militari muscolosi e affaristi senza cuore interpretano i cattivi: la voglia di surclassare il ricordo degli elicotteri di Apocalypse Now in un finale eccessivamente bellicista (in fondo i Nàvi combattono con arco e frecce contro missili e mitragliatrici) finisce per immiserire tutto. Senza peraltro cadere in scene particolarmente cruente o sanguinarie: nessun corpo squarciato, nessun fiotto di sangue che invade lo schermo, nessuna scena da far chiudere gli occhi nemmeno ai più giovani (certo, non ci porterei un bambino che ha meno di 8/9 anni, ma per la complessità della storia, non perché qualche cosa possa spaventarlo). Finendo così per soffocare anche i possibili riferimenti al passato degli Stati Uniti e alla sua «conquista» del West (che per molti versi è ricordato dal selvaggio pianeta Pandora): piuttosto che riflettere sui limiti della propria civiltà, come faceva Arthur Penn in Piccolo grande uomo (anche lì c’ era il tema del bianco che «tradisce» la propria razza), Cameron sembra accontentarsi di rispolverare la favola di Pocahontas. Ma nella versione Disney, non certo in quella di Terrence Malick.
Da Il Corriere della Sera, 4 gennaio 2010
Roberta Faenza su Repubblica (7/1/2010)
Mentre qui da noi si discute dei cinepanettoni, Sagunto viene espugnata, come direbbe Tito Livio se potesse assistere all’imminente arrivo delle armate di Avatar. Siete pronti a essere stupefatti e annichiliti dalla sua potenza, dalle sue diaboliche invenzioni, dai suoi megaeffetti speciali, dalle sue creature extraterrestri? Tenetevi stretti e allacciate le cinture di sicurezza per un viaggio mirabolante: il film sta per invadere l’Italia e le sue sale 3D. In attesa, abbiamo visto A Christmas Carol, anch’esso in 3D, con Jim Carrey reso irriconoscibile e traghettato verso sembianze mai viste prima d’ora (ma perché usare gli attori, se il fine è quello di renderli geneticamente modificati?). E abbiamo visto Sherlock Holmes, che ci ha annientati con il volume di fuoco delle sue immagini, quella Londra resa apocalittica, quel ponte spezzato a metà sopra il Tamigi, dove i nostri protagonisti si incontrano per l’ultima sfida da brivido. Queste pellicole hanno sicuramente sbalordito gli spettatori, ma dubito che li abbiano emozionati, forse perché il viaggio verso l’estremo è appena iniziato e la sopraffazione ancora non vince sull’emozione. Alla fine di queste visioni la certezza è una sola: il computer ha preso il sopravvento sulla macchina da presa, le immagini umane cui siamo stati abituati sin dai tempi dei fratelli Lumière sono ormai superate da immagini virtuali e artificiali. In una parola l’uomo non è più al centro del cinema contemporaneo (hollywoodiano), perché l’interesse del suo baricentro immaginifico si è spostato in avanti. Le lancette dell’orologio americano corrono all’impazzata verso un mondo che definire postmoderno sa già di passato e di antico. Solo Hollywood può creare il nuovo spazio e il nuovo universo filmico: basti pensare che i tre titoli sopra citati sono costati varie centinaia di milioni di dollari, quando al confronto un film del resto del mondo costa in media parecchio meno di una sola decina. E’ il dominio del fantastico occupato manu militari con la forza del denaro più che con la creatività. Di fronte a investimenti così ingenti, con cui si potrebbero costruire interi grattacieli, il cinema del resto del mondo può solo chinare la testa e ammutolire. Se la competitività deve avvenire su tali binari, meglio chiudere le nostre Cinecittà, comprarsi le nuove griffe degli occhialini 3D che stanno per riempire negozi e boutiques, quindi ritirarsi nel comodo ruolo di spettatori passivi, stupefatti e inermi. Dicevo il resto del mondo, perché la partita che si sta giocando è proprio questa: da una parte gli studios americani e dall’altra parte del campo il cinema dei paesi europei, asiatici, africani, sudamericani. Una partita persa in partenza, vista la sproporzione delle forze messe in campo. Dopo la visione dei primi spezzoni di Avatar ho fatto un sogno modesto ma eloquente. Ho sognato che gli americani con i loro viaggi sulla luna e le loro astronavi in cerca di altri pianeti forse si stanno dirigendo, più o meno consapevolmente, verso nuovi insediamenti. Nel sogno, partivano con migliaia di astronavi, che solo loro possono finanziare e costruire, lasciando noi minores ad abbrustolire sulla terra desertificata e resa invivibile, causa la distruzione ambientale provocata dall’ingordigia e dal disinteresse per il futuro. Si dirà: che c’entra tutto ciò con il cinema moderno? Beh, non lo vedete: asteroidi roboanti, alieni, uomini dalle membra trapiantate, armamenti micidiali, mondi sconosciuti… E la terra? E l’uomo, come si chiedeva Huxley alla fine del suo Brave New World? Prendiamo il caso di Il nastro bianco, stupendo film del regista austriaco Michael Haneke. Nonostante la Palma d’oro vinta all’ultimo Festival di Cannes, in Italia l’hanno visto pochissimi spettatori e nessun giovane. Descrive, in bianco e nero, come nascono la sopraffazione e la dittatura, attraverso il segreto di focolari chiusi, porte serrate, crudele possesso della felicità dei figli e della famiglia come neppure André Gide avrebbe saputo raccontare. Grazie a questo tipo di cinema, e non importa se non fa bingo ai botteghini, c’è ancora chi si occupa dell’uomo e della sua dimensione terrestre, a prescindere dalla magniloquenza degli effetti speciali. E visto che sulla terra alla fin fine ci dobbiamo restare, sarà bene rinsaldare l’antico vincolo con l’umano. Anzi, converrebbe rinforzarlo ed estenderlo ai più giovani, spesso ignari che la vita, per nostra fortuna, ancora non è diventata un videogioco.
Da La Repubblica , 7 gennaio 2010
OMA - Un record annunciato, ma pur sempre un record: nel giorno del suo debutto in Italia, Avatar di James Cameron totalizza il maggior incasso di sempre, per un singolo venerdì. E cioè 2 milioni 100 mila euro. Il precedente era L’Era Glaciale 3. Uscito in 925 copie (di cui 416 in 3D, praticamente tutte quelle esistenti in Italia, molte nate proprio per l’occasione), il film risulta sold out nelle sale predisposte per la visione tridimensionale anche domani, e per il 78% anche dopodomani.
Una vittoria annunciata, dunque. Anche se non si tratta, forse, del trionfo sperato dal distributore 20th Century Fox. Contro ogni previsione, infatti, i primi spettacoli pomeridiani di ieri non hanno fatto registrare il tutto esaurito (e hanno abbassato la media copia). Gli spettacoli serali hanno invece fatto registrare un netto miglioramento rispetto al pomeriggio: tutto esaurito nelle sale 3D, ma anche in quelle tradizionali c’è stato un alto numero di ingressi.
Il cammino del film di Cameron si annuncia comunque in discesa, visto il massoccio numero di biglietti già pre-acquistati per questo week end. Una curiosità: un altro film attesissimo uscito in Italia recentemente The Twilight Saga: New Moon, arrivato in 800 sale di mercoledì 18 novembre 2009, ha incassato poco meno di Avatar al debutto. La pellicola sui vampiri consuistò infatti 1,83 milioni di euro nelle sale monitorate da Cinetel, contro 1,68 di Avatar, ma entrambi i film hanno poi superato i due milioni di euro con l’aggiunta degli incassi delle sale fuori dal circuito (circa 200 per il film di Cameron e la metà per quello di Chris Weitz).
(16 gennaio 2010, Repubblica.it)