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 2010  gennaio 15 Venerdì calendario

Incontri Compie ottant’ anni il narratore di «Fratelli d’ Italia». E Mondadori pubblica un secondo Meridiano Arbasino, l’ impegno dietro la leggerezza «I giovani autori? Subito omologati» «Bisogna inventare qualcosa di nuovo

Incontri Compie ottant’ anni il narratore di «Fratelli d’ Italia». E Mondadori pubblica un secondo Meridiano Arbasino, l’ impegno dietro la leggerezza «I giovani autori? Subito omologati» «Bisogna inventare qualcosa di nuovo. Io evitavo di scrivere alla Moravia» O gni tanto è il caso a regalarti l’ incipit giusto. Dopo un pomeriggio di chiacchiera con Alberto Arbasino in una sala della sede romana di Mondadori, ci avviamo verso l’ uscita, quando sullo sfondo appare - ieraticamente trafelato! - Roberto Saviano. Che sia io a presentare qualcuno ad Alberto Arbasino, e non lui a me, mi pare una spiritosaggine della sorte. La sciarpa da poeta boliviano di Saviano è la perfetta antitesi del foulard di seta alla Dick Diver di Arbasino. Tutto in questo momento mi parla di una gigantesca antitesi. Con Arbasino qualche attimo fa discutevamo di un tema sommamente arbasiniano: la scomparsa dei Mostri Sacri. Vedendo Alberto Arbasino (classe 1930) di fronte a Roberto Saviano (classe 1979), penso: chi più mostri sacri di questi? una questione di influenza intellettuale, di carisma pop... Le scarse risorse mondane di Saviano a petto del savoir vivre di Arbasino non sono d’ intralcio. « un onore» sussurra il primo. «L’ onore è mio» gli fa eco il secondo. Finché l’ allergia arbasiniana a ogni pathos che rischi di degenerare in enfasi emotiva lo spinge a sussurrare: «Va be’ , via, il solito birignao...». Stroncare sul nascere ogni deliquescenza emozionale. Pattinare sulle superfici per non inabissarsi nella melma dell’ esibizionismo sentimentale. Rimanere abbarbicati al presente perché con il passato si rischia la lacrimuccia. Questo è Arbasino. Sin dai tempi del prodigioso esordio di Parigi o cara. «Giorgio Bassani diceva che si trattava di uno di quei bildungsroman che si possono fare solo una volta nella vita, tra i venti e trent’ anni. Certo io non potevo sapere che stessi assistendo agli ultimi fuochi». Céline, Aron, Mauriac, Simenon, Miller... Ci sono davvero tutti nella Parigi del dopoguerra. E c’ è anche questo prodigioso enfant gaté che li frequenta e li descrive in memorabili reportage. Eccolo qui il ventenne Arbasino che corre da un salotto all’ altro, alla ricerca della tomba di Marcel Proust che nessuno sa dove si trova. Un vero sberleffo alla memoria proustiana ma anche una contro-epifania rivelatrice! Già allora su certe cose Arbasino aveva le idee chiare. Tanto da chiedersi perché tutti quanti invece di «leggere e rileggere» la Recherche se ne stessero lì a indagare e a spettegolare «du côté de chez Proust». Che ingenuità sperare che Arbasino mi raccontasse «i fatti suoi». «La mia esistenza è stata piena di eventi interessanti e incontri importanti. Teniamoci ai fatti. Evitiamo la psicologia». Chiedere ad Arbasino cosa ci sia dietro a tale irriducibile ermetismo sentimentale sarebbe come chiedere a Nabokov quale messaggio morale volesse lanciare scrivendo Lolita. Lui mi rassicura con grazia: «La mia discrezione è un atteggiamento del tutto spontaneo, non mi dà alcun tormento». Io provo a insistere. Gli chiedo se non gli sia mai venuta voglia di riscaldare l’ ambiente con l’ esibizione di qualche bel sentimento vecchio stampo. In fondo, gli dico, anche la venerazione nei confronti dei Mostri Sacri in lei è sempre addomesticata dall’ ironia. «Beh, è questione di ritegno, di buona educazione. Non si dice mai "ti amo" se non nella canzone napoletana». Andrea Cortellessa ha notato come Arbasino abbia fatto di tutto per emanciparsi da Proust. Ai gravosi passati remoti proustiani Arbasino oppone un più sbarazzino presente indicativo. «Questa è l’ osservazione decisiva. La mia ambizione è sempre stata quella di scrivere in contemporanea alla vita, di trascrivere alla mia maniera gli eventi in presa diretta. A tale scopo il presente indicativo è insostituibile». A proposito di presente, che fine hanno fatto i Mostri Sacri? «Oggigiorno appena un nuovo romanziere si affaccia alla ribalta subito viene interpellato su un’ infinità di questioni. fatale che finisca per omologarsi. Perché tutte le opinioni si somigliano. Ha presente le anticipazioni di qualche nuovo libro sui giornali? Tutti piccoli episodi di quotidianità, con la mammina, il bambino, il cane, il gatto». In effetti ce ne sono in giro di mémoires pedestri e minimaliste: «Per scrivere i miei romanzi sono sempre partito dal principio di inventare una struttura nuova e alternativa. Forse il vantaggio degli scrittori della mia generazione è l’ aver avuto sotto gli occhi l’ esempio da non imitare di Moravia. Il quale una volta azzeccata una formula pubblicava decine di racconti romani o di romanzi sull’ alienazione». E quali erano i modelli giusti? «Gadda, Comisso, Praz, Palazzeschi. A quel tempo erano emarginati. In un certo senso li riscoprimmo noi: io, Citati, Gugliermi, tutti gli altri». In Certi romanzi, brillantissimo apologo critico del suo capolavoro Fratelli d’ Italia, Arbasino parla di Moravia come una sorta di emblema del midcult. Gli chiedo se non tema oggi per se stesso un destino da scrittore midcult. In fondo tutti amano Arbasino. I suoi aforismi (purtroppo sempre gli stessi) vengono citati a destra e manca. I suoi ultimi libri hanno avuto persino un successo di botteghino... Mi guarda come se fossi diventato matto: «Io sono criptico. Come può essere criptico il midcult?». E allora parliamo di questa oscurità. Non teme che tra cinquant’ anni qualcuno non possa capire la montagna di riferimenti e citazioni? «Altro che cinquant’ anni! Sono già stupito che li capiscano oggi. Anche se occorre dire che tutti i libri, prima o poi, diventano criptici. Sono piacevolmente stupito dalla pubblicazione del primo Meridiano e dal fatto che la gente lo abbia acquistato». Io, invece, non sono stupito affatto. I Meridiani Arbasino sprizzano una fluviale energia. Un’ allegrezza così poco confacente a un classico. Oltretutto si intuisce una contiguità di orizzonti estetici e di gusto tra Alberto Arbasino e Raffaele Manica, il curatore dell’ opera. Il cui saggio introduttivo è pieno di gustosi trabocchetti. Per non dire della cronologia scritta a quattro mani che, al contrario di tante altre, è viva, frizzante, per nulla cimiteriale. Fantastica la scelta di riprodurre in fondo ai volumi le copertine delle edizioni dei romanzi, e dei risvolti di copertina, uno più delizioso dell’ altro. «Tranne il primo li ho scritti tutti io». Insomma la sensazione è di trovarsi di fronte a due Meridiani rock’ n’ roll. Non è un caso che la rivista «Rolling Stones» abbia sentito l’ esigenza di intervistare Arbasino. Né che un quotidiano snob come «Il Foglio» nelle ultime settimane abbia eretto in onore di Arbasino una specie di monumento equestre. Eppure al di là di tutta questa godibilissima sfrenatezza l’ idea che mi sono fatto riattraversando l’ opera di Arbasino è che ci troviamo di fronte a uno scrittore che ha interpretato l’ engagement forse nel solo modo possibile. Come un moralista classico: da Petronio, passando per Saint-Simon, approdando a Proust. E quando parlo di impegno non penso mica al vecchio Sartre che marcia al fianco di un branco di facinorosi studentelli fancazzisti. Né penso a quelli che firmano appelli a ogni piè sospinto. No, quando parlo di engagement in letteratura penso a quel tipo di scrittori che hanno a cuore la verità. E che per questo non fanno altro che interrogarla, con disincanto, con ironia, talvolta con sarcasmo ed esasperazione... E Arbasino è di quella famiglia lì. Ha un orecchio assoluto nel cogliere e denunciare i luoghi comuni che un tempo facevano sogghignare Flaubert. «Pensi che fu Bauvard e Pecuchet il primo libro di Flaubert che lessi. Per puro caso. La mia vocazione satirica è stata piuttosto precoce». Quest’ idea dell’ impegno non gli dispiace: «Ho sempre trovato l’ impegno profuso dagli scrittori così detti engagé un po’ troppo serioso. Non vedo perché non si possa vivere l’ impegno con ironia, o almeno con sarcasmo. Se la letteratura è una forma di trasgressione, in quanto tale dovrebbe essere fatta con ironia e sarcasmo. Altrimenti che trasgressione è? E allora come far convivere impegno e letteratura senza un po’ di trasgressione? Molti hanno scambiato la mia leggerezza per frivolezza. Strano che nessuno mi abbia mai legato alla leggerezza di Calvino. Che tra l’ altro non era leggero affatto. Era serio, ai limiti della seriosità. Per lui la leggerezza era una conquista. A me veniva naturale». Certo, appare evidente che la letteratura italiana del ’ 900 abbia dato il meglio di sé grazie ad alcuni borghesi irregolari, fuori dal coro, molto nevrotici e solo apparentemente disimpegnati. Svevo, Pirandello, Montale, Gadda, Parise, tanto per fare i primi nomi che mi vengono in mente. Arbasino, che fa parte del club, commenta così: «Essere un borghese è un bel vantaggio se vuoi fare lo scrittore: buoni studi, libri in casa, viaggi, lingue straniere...». E per di più borghesia lombarda? «Nascevi già immerso in quel tipo di umorismo tipico dei borghesi che riempivano la Scala. Un umorismo che poi ritrovavi in Manzoni, in Dossi, in Gadda». Insomma ho passato il pomeriggio con Arbasino. E abbiamo parlato di quel che gli diceva Auden a proposito dello snobismo di Rilke, di quanto era importante frequentare Longhi, Brandi e Zeri. Per non dire della convivialità con De Feo e Chiaromonte. E degli inviti in casa Cecchi e in casa Praz. Dell’ ultima volta che vide Gigi Baldacci al maggio fiorentino, ormai in fin di vita, che come Bergotte abbandona il suo letto di malattia per una musica criptica e sofisticata. Di quanto erano eleganti quella sera i coniugi Nabokov. Di come Montale se la prese perché si riconobbe (a sproposito) nel personaggio del poeta in Fratelli d’ Italia. E di tante altre cose ancora. Troppa nostalgia per un patito del presente indicativo? RIPRODUZIONE RISERVATA La mia vocazione satirica è stata piuttosto precoce. Ho sempre trovato i letterati «engagé» un po’ troppo seriosi Biografia Alberto Arbasino nato a Voghera, il 22 gennaio compie 80 anni. Giornalista, scrittore, saggista, critico musicale, ha fatto parte del Gruppo 63 (nella foto sotto con Umberto Eco e Nanni Balestrini). I suoi primi scritti sono apparsi su riviste, tra cui «L’ illustrazione italiana», «Officina» e «Paragone». Sempre attento alla politica e ai mutamenti sociali, Arbasino quasi quotidianamente denuncia, sotto forma di lettere ai giornali, i mali della società italiana. autore anche di numerosi saggi, tra cui «Parigi o cara», «La caduta dei tiranni», «Un paese senza», «L’ ingegnere in blu», dedicato a Carlo Emilio Gadda. Piperno Alessandro Pagina 042/043 (15 gennaio 2010) - Corriere della Sera