Franco Bechis, Libero 12/1/2010, 12 gennaio 2010
VOGLIONO LE TASSE PERCHE’ NON LE PAGANO
L’unica cosa importante l’hanno già ottenuta da tempo: il fisco non mette le mani nelle loro tasche. Sarà per questo che Pierluigi Bersani, Antonio Di Pietro ed Enrico Letta fanno spallucce alla riforma fiscale proposta da Silvio Berlusconi. Due sole aliquote, una del 23 per cento e una al 33 per cento oltre quei centomila euro che sono circa la metà di quel che guadagnano i Bersani, Di Pietro e Letta jr? Il magnifico trio appena sceso in campo contro l’abbassamento delle tasse se ne può allegramente infischiare: tutti e tre dovrebbero versare al fisco il 43% del loro reddito, più i contributi per assistenza e previdenza. Ma facendo parte (...)
(...)della casta dei mandarini che le leggi le impone agli altri lasciando per sé un trattamento di lusso, i Bersani- Di Pietro e Letta jr all’erario girano il 17,36% di quel che davvero finisce nelle loro tasche, come capita per altro a chi è stato eletto alla Camera (e al Senato il fisco è ancora più leggero: 15,32%). Chi ha un reddito imponibile di 9 mila euro lordi all’anno, pari a 692 euro lordi al mese, paga in proporzione più tasse del segretario del Pd, del suo vicesegretario e dal padre-padrone dell’Italia dei valori: il 23 per cento. per questo che i mandarini del centrosinistra, nati e cresciuti a palazzo dove vigono sempre regole speciali, non riescono a capire perché ci si lamenta delle tasse troppo alte. Non le devono pagare loro, non le devono pagare i loro amici, i collaboratori di una vita: in quel mondo le tasse un tempo non si pagavano del tutto, poi si è fatto finta di pagarle come tutti i comuni mortali. Così oggi i deputati si intascano netti ogni mese 5.486,58 euro, dopo avere pagato ritenute previdenziali di 784,14 euro, assistenziali di 526,66 euro, un contributo per l’assegno vitalizio di 1006,51 euro e Irpef per 3.899,75 euro. Così sembrerebbero come tutti gli altri. Ma poi si mettono in tasca ogni mese esentasse 4.003,11 euro di diaria, 4.190 euro netti ”a titolo di rimborso forfetario per le spese inerenti il rapporto fra eletto ed elettore”, circa 1.100 euro al mese di rimborso per taxi che né Bersani né Letta né Di Pietro di solito prendono, e poco meno di 300 euro al mese netti a titolo di rimborso spese telefoniche. I senatori si intascano invece qualcosina in più, perché durante una delle varie auto-riduzioni della indennità sotto il pressing della protesta popolare, hanno girato la testa dall’altra parte lasciando che fossero solo i deputati a tirare un pochino la cinghia: prendono quindi 150 euro al mese più dei colleghi di base e rimborsi assai più generosi.
per questo che i mandarini della riforma fiscale non sentono proprio alcun bisogno...
GIUSTIZIALISTA.
Antonio Di Pietro ha dichiarato al fisco secondo Unico 2007 (l’ultimo reso pubblico nella primavera 2009) 218.080 euro. Sono compresi i redditi da parlamentare e quelli da attività diverse, ma non i copiosi rimborsi a forfait che vengono sottratti a tassazione per più di 10 mila euro netti al mese. Citata in dichiarazione dei redditi anche la proprietà di una srl, la Antocri specializzata in investimenti immobiliari. Ma non viene riportata notizia dell’acquisto da una società del gruppo Pirelli di Marco Tronchetti Provera di un immobile in via Casati a Milano grazie a un mutuo Bnl interamente ripagato dall’Italia dei Valori cui l’immobile è stato affittato dal suo fondatore per la sede lombarda. Sarà anche per questa scarsa incidenza del peso del fisco sulle personali vicende che Di Pietro è entrato un po’ in confusione di fronte al nuovo annuncio della riforma fiscale di Silvio Berlusconi con due aliquote secche al 23 e al 33 per cento.
Sulle prime il leader dell’Italia dei valori è sembrato quasi entusiasta, spigendosi a dichiarare: «La settimana prossima, invece di discutere la legge ad personam, Berlusconi porti in Parlamento la ridistribuzione dell’equità sociale e dell’equità fiscale e noi dell’Italia dei Valori voteremo a favore. L’Idv non è solo il partito del no e se una cosa è giusta, quella di ridurre le tasse e allo stesso tempo farle pagare a tutti, Berlusconi compreso, è d’accordo. La verità però è che Berlusconi parla di equità fiscale ma pensa solo all’equità personale». Ieri correzione di rotta. Per Di Pietro la riforma a due aliquote è «inattuabile fino a quando si fanno gli scudi fiscali per gli evasori, perchè gli evasori non pagano le tasse, quindi mancano i soldi e non si possono abbassare le tasse». Parlando a margine di una conferenza stampa per presentare il candidato del partito alle elezioni regionali in Lombardia, Di Pietro ha sottolineato che «la colpa delle tasse troppo alte è degli evasori e dello Stato, che per una tangente del 4%, perchè di tangente si tratta, di corruzione politica, vende l’anima al diavolo».
INTERESSATO.
Enrico Letta, vicesegretario del Partito democratico, nella dichiarazione resa pubblica nella primavera 2009 e relativa ai redditi 2007, ha svelato di non essere più finalmente il poverello del centro sinistra. Il suo reddito che per anni è stato in coda alla classifica dei notabili dell’Ulivo è ammontato a 164.747 euro, perfino qual cosina in più del suo segretario politico.
Quando entrò nei primi esecutivi infatti Letta jr lo fece da ministro o sottosegretario tecnico, e lo stipendio non poteva raggiungere le vette dei parlamentari, né utilizzare i relativi generosissimi benefit. Anche Letta jr oltre a salire in classifica con il reddito dichiarato, può contare su circa 10 mila euro netti al mese di rimborsi vari erogatigli dalla Camera di appartenenza in modo forfetario. Così è stato fra i primi a ritenere non interessante la proposta di Silvio Berlusconi di taglio delle tasse. «Puntuale, a ogni elezione alle porte», ha sostenuto Letta in una intervista, «dal cappello del premier salta fuori l’idea di due sole aliquote Irpef. Mancano 60 giorni alle Regionali, et voilà: ecco il solito coniglio. Illusionismi buoni per la campagna elettorale». Secondo il più volte ministro in governi del centro sinistra, «la pressione fiscale in realtà è aumentata, è sotto gli occhi di tutti. Vale per le imprese e vale per le famiglie italiane. In ogni caso la priorità per il Pd non è abbassare dal 43% al 33% l’aliquota per i contribuenti più ricchi. La priorità è portare dal 23% al 20% l’aliquota per la grande maggioranza dei lavoratori dipendenti».
Ma anche Letta alla fine resta in attesa del testo annunciato da Berlusconi e dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: «Se il premier è serio, venga a presentarlo in Parlamento. Magari il giorno dopo le Regionali, accompagnato da una relazione tecnica e dalla copertura finanziaria. E noi ci confronteremo. Resta sempre una cosetta, a grandi spanne, da 20-30 miliardi di spesa». Insomma, la riforma si faccia, ma almeno senza danneggiare il Pd in campagna elettorale…
OPPORTUNISTA.
Pier Luigi Bersani ha un reddito dichiarato ufficialmente di 163.551 euro all’anno, che non comprende però eventuali emolumenti corrisposti dal Partito democratico di cui è da poco divenuto segretario. Non riportati nemmeno gli oltre 120 mila euro netti all’anno percepiti a titolo di rimborso forfetario dalla Camera dei deputati ed esentasse. In dichiarazione dei redditi invece c’è la prima casa di proprietà a Bettola nel piacentino, ora esentasse grazie all’abolizione dell’Ici varata da Silvio Berlusconi e qualche altra comproprietà terriera e immobiliare in zona frutto di eredità divisa con il fratello Mauro.
Bersani non sembra molto interessato a un taglio dell’Irpef che per altro proprio lui insieme a Vincenzo Visco aumentò anche su redditi assai bassi. Dalla reazione al piano Berlusconi-Tremonti mostrata in una intervista al Tg1 il segretario del Pd sembra non volere riduzione fiscale sulle famiglie, ma preferire quella per le imprese: «Fino a un mese fa eravamo sull’abolizione dell’Irap, sempre chiacchiere e mai un fatto. Comunque la proposta è sbagliata, troppi soldi verso i ricchi». Secondo Bersani tagliare l’Irpef è una idea demodèè, troppo vecchia: «Quella su due aliquote», ha detto ieri il segretario Pd, «era una proposta di 16 anni fa».
In ogni caso per Bersani prima di bocciarla bisogna sapere «che cosa vuol dire due aliquote, quali sono i tetti e le detrazioni. Io sono pronto a discutere di fisco anche domani mattina: le detrazioni Irpef per il lavoro e la famiglia; il superamento degli studi di settore; l’equilibrio tra le imposte sul lavoro e i redditi finanziari; la lotta al lavoro nero e all’evasione. Noi siamo pronti anche domani mattina». Ma l’apertura è durata poco, finendo fra le battute polemiche consuete: «In realtà noi stiamo discutendo solo di processo breve e non di lavoro, soprattutto per i giovani, di fisco, di temi sociali». La disponibilità a discutere c’è, ma «non esiste che loro fanno le proposte e noi applaudiamo, va bene la buona educazione ma la sudditanza no».