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 2010  gennaio 15 Venerdì calendario

IL TERRORISMO ISLAMICO E IL NOSTRO

Qualche giorno fa le polizie spagnola e portoghese hanno arrestato quattro militanti dell’Eta. Due di essi viaggiavano a bordo di una camionetta con una considerevole quantità di esplosivo: abbastanza, probabilmente, per un attentato simile a quello che nel dicembre del 2006 distrusse il terminal 4 dell’aeroporto madrileno di Barrajas provocando due morti e una ventina di feriti. Dalla fine del regime di Francisco Franco a oggi, l’organizzazione indipendentista basca ha ucciso un primo ministro e non meno di 800 persone. L’Ira (Irish republican army) non ha fatto di meno: nel 1979 ha ucciso Louis Mountbatten, ultimo viceré dell’India, e nel 1984 ha cercato di uccidere il primo ministro britannico Margaret Thatcher durante un congresso del partito conservatore a Brighton.
Pur tenendo conto della differenza fra la durata dei due fenomeni nel tempo, occorre riconoscere che la somma delle vite stroncate dalle organizzazioni terroristiche europee (Eta, Ira, Brigate rosse, Lotta continua, Rote armee fraktion, Action directe e altre organizzazioni minori di sinistra e di destra) supera di molto quella delle persone uccise in Europa dai terroristi suicidi del fanatismo islamico. Ma il nostro istinto ci dice che il secondo fenomeno è incomparabilmente più grave del primo.
Eppure, non sembra che i terroristi europei e quelli dell’integralismo musulmano siano radicalmente diversi. Secondo Jessica Stern, studiosa della Hoover Institution (La Repubblica dell’11 gennaio), i secondi provengono da tutte le classi sociali, non sono necessariamente cittadini di stati polizieschi e repressivi, hanno soltanto in piccola parte (5 per cento) una formazione religiosa, sono motivati dal desiderio di affermare la loro identità o di reagire a un’umiliazione. Uno dei migliori islamisti francesi, Olivier Roy (Corriere della sera dell’11 gennaio) completa l’analisi con queste considerazioni. Gli ultimi militanti del terrorismo islamico non sono particolarmente legati al Medio Oriente e sono spesso convertiti. Si sono radicalizzati in Occidente o in un ambiente occidentale. Si identificano con una umma (comunità) musulmana virtuale e immaginaria che hanno scoperto sul web. Hanno rotto con le loro famiglie. Sono «individui sradicati e deterritorializzati, psicologicamente, perdenti che possono diventare eroi immaginari di una umma virtuale attraverso la loro stessa morte».
Alcuni di questi caratteri sono presenti nei terroristi europei. Anche i nostri sono «marxisti immaginari», come Vittoria Ronchey definì i suoi studenti, o nazionalisti altrettanto immaginari. Solo un nazionalismo virtuale, privo di qualsiasi rapporto con la realtà, può spiegare la lotta armata dell’Eta in una regione (il paese basco) dove ha sede uno dei quartier generali della finanza spagnola. Solo un marxismo immaginario poteva spiegare la lotta delle Brigate rosse per la rivoluzione proletaria in un paese dove il dato più interessante era l’enorme espansione della classe media.
Non è difficile capire perché il terrorismo islamico ci preoccupi più di quello nostrano. L’attentato contro le Torri gemelle è stato incomparabilmente più grave e spettacolare di qualsiasi altro attentato terroristico degli ultimi cent’anni. Mentre i terroristi europei rappresentano la deformazione di ideali con cui abbiamo familiarità, Al Qaeda e i suoi adepti ci appaiono alieni e culturalmente indecifrabili. Mentre i nostri preferiscono colpire senza morire, gli islamisti usano la loro vita come arma suprema.
Ma le analogie esistono e meritano d’essere studiate. Il confronto serve a comprendere, tra l’altro, perché espressioni retoriche e generiche come «guerra contro Al Qaeda» possano suggerire strategie inutili e forse controproducenti.