Sergio Romano, Corriere della Sera 15/1/2010, 15 gennaio 2010
IL TRIONFO DELL’INGLESE COME CAMBIA L’ITALIANO
Ho letto che la lingua francese è considerata l’erede universale di quella latina e perciò fu parlata, per molti secoli, soprattutto dalle classi colte e aristocratiche europee. Ma oggi è superata dall’inglese onnipresente contro cui la Francia (dove la colonizzazione culturale anglosassone ha fatto breccia) sta tentando di opporre «resistenza», in quella che sembra essere una battaglia persa. Quanto alla nostra lingua nazionale, stendiamo un velo pietoso: da tempo l’abbiamo affossata, sommergendola di anglicismi usati spesso a sproposito. Vorrei sapere: a che cosa si deve questa incontrastabile supremazia linguistica dell’inglese?
Michele Micortoia, Foggia
Caro Micortoia, M i sembra che la sua lettera sollevi due problemi distinti. Perché l’inglese ha superato il francese nella graduatoria delle lingue veicolari? Perché l’Italia si lascia sommergere da una valanga di anglicismi, non sempre utili o necessari? Alla prima domanda è abbastanza facile rispondere. Le lingue corrono attraverso il mondo grazie all’influenza degli Stati che le parlano. Un popolo conquistatore insegna la propria lingua ai popoli conquistati. Una grande potenza economica impone le proprie regole commerciali, le proprie formule contrattuali, gli strumenti di credito e di risparmio messi a punto nelle sue banche. Una potenza imperiale attira i talenti di tutto il mondo, diventa laboratorio di idee, teorie, scoperte, mode sociali, innovazioni tecnologiche. E questi laboratori sono a loro volta le fabbriche delle nuove parole necessarie per esprimere i nuovi concetti. Anche noi siamo stati, in alcuni campi, esportatori di parole ed espressioni idiomatiche. Oggi la nostra influenza linguistica sembra essere limitata alla moda, alla gastronomia e alla criminalità: Dolce vita, paparazzo, mafia, camorra, pizza, espresso, cappuccino, tiramisù.
Alla seconda domanda credo di avere già risposto almeno in parte. Anche a me spiace che gli italiani si servano di parole straniere quando la nostra lingua possiede termini perfettamente equivalenti. Mi consolo tuttavia ricordando che esiste nella storia linguistica italiana un periodo molto simile a quello in cui stiamo vivendo. Nel Settecento, quando la Francia esercitava sull’intera Europa, dall’Atlantico agli Urali, una straordinaria influenza, la nobiltà e i ceti emergenti della società italiana adottarono senza esitare tutte le mode e le tendenze francesi dell’epoca. Nella sua «Storia della lingua italiana» Bruno Migliorini ricorda che i librai avevano nei loro scaffali soltanto libri di autori francesi. Nel suo «Profilo di storia linguistica italiana» Giacomo Devoto parla addirittura di un «nuovo bilinguismo». Vi fu in quegli anni un radicale rinnovamento della nostra lingua con una importazione massiccia di neologismi provenienti dal francese. Ecco alcuni esempi scelti a caso fra quelli indicati da Migliorini: cotoletta, baionetta, mitraglia, picchetto, manovra, scialuppa, cerniera, ghisa, aggiotaggio, conto corrente, dipartimento, marionetta, minuetto, giardinaggio, interessante, intraprendente, manifattura, materia prima, rapporto (nel senso di relazione fra persone), saggio (nel senso di articolo), vignetta e persino la parola con cui da allora ci indirizziamo al nostro genitore: papà. Se lei cancellasse i francesismi dalla lingua italiana faremmo fatica a capirci. E altrettanto accadrebbe se lei cercasse di eliminare gli anglicismi.