Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 14 Giovedì calendario

Bryson, Bill Il *mondo è un teatro : la vita e l’epoca di William Shakespeare / Bill Bryson ; traduzione di Stefano Bortolussi Parma : U

Bryson, Bill Il *mondo è un teatro : la vita e l’epoca di William Shakespeare / Bill Bryson ; traduzione di Stefano Bortolussi Parma : U. Guanda, 2008 Biblioteca della Fenice William McGuire (detto Bill) Bryson (Des Moines, 8 dicembre 1951), statunitense. Uomo di grande cultura, informato senza prosopopea, conciso, autoironico. La sua scrittura è ricca di aneddoti. Shakespeare, ”una sorta di equivalente letterario dell’elettrone: è lì ma non è lì”. Bryson inserisce il bardo nel suo ”delizioso affresco della vita londinese nel periodo elisabettiano”. (immagine) L’incisione di Martin Droeshout (artista d’origine fiamminga) è accompagnata da un encomio poetico di Ben Jonson. (retorica) Di Willm Shaksp si sa tutto e nulla. Uno dei principali libri di testo di quei tempi insegnava 150 modi diversi di dire in latino:«Grazie alla vostra lettera». Tramite simili esercizi Shaksp dovette apprendere ogni sorta di strumento retorico: metafora e anafora, epistrofe e iperbole, sineddoche, epanalessi e altre forme altrettanto arcane e impegnative. (cenni storici) John Stow, sarto di professione, sopportò la povertà per scrivere la sua grande storia di Londra (’Survey of London”), pubblicata nel 1598, quando aveva 73 anni. Secondo una diceria popolare, il ponte di Londra (eretto nel 1209) era fatto perché i saggi vi passassero sopra e gli stolti sotto. Un’antica tradizione voleva che le teste dei peggiori criminali, specialmente dei traditori, venissero esposte su pali sul versante di Southwark del ponte, ciascuna trasformata in una sorta di strana, macabra mangiatoia per gli uccelli. (Il resto del cadavere veniva appeso sopra le porte della City o distribuito alle altre città del regno). Le teste erano così numerose, che fu necessario assumere un Custode delle Teste. Forse, al suo arrivo a Londra, Shakespeare venne accolto dalle teste di due suoi lontani parenti, John Somerville e Edward Arden, giustiziati nel 1583 a seguito di un fallimentare complotto per uccidere la regina. L’altra struttura dominante della città era la cattedrale di St Paul, addirittura più grande di quella odierna. La cattedrale che gli elisabettiani conoscevano sarebbe scomparsa nel Grande Incendio del 1666, più o meno una generazione dopo, cedendo il posto al maestoso edificio bianco di Christopher Wren che vediamo oggi. (Etimologia del nome) Shaft e spear significano entrambi ”lancia”. (Plagio) Shakespeare non si faceva scrupolo di rubare trame, dialoghi, nomi, titoli o qualsiasi cosa facesse al caso suo. Per parafrasare George Bernard Shaw, Shakespeare era un magnifico raccontatore di storie, a patto che qualcuno le avesse raccontate prima. D’altra parte, questa era un’accusa che si poteva muovere a quasi tutti gli scrittori del tempo. […] Il racconto d’inverno è una rielaborazione di Pandosto, romanzo ormai dimenticato di Robert Greene, l’acido critico di Shakespeare. Sono poche le opere shakespeariane – in particolare le commedie Sogno di una notte di mezza estate e Pene d’amor perdute – che sembra non abbiano preso in prestito nulla. Shakespeare, naturalmente, trasse brani da opere pedestri facendoli assurgere a dignità e, molto spesso, a grandezza. Prima che lui lo riadattasse, l’Otello era un insipido melodramma. […] Nella Commedia degli errori prende in prestito un semplice ma efficace trucco narrativo da Plauto. […] Un po’ più indigesta alla sensibilità moderna è l’abitudine shakespeariana di prendere di peso passi da altre fonti e inserirli quasi testualmente nei propri lavori. Sia il Giulio Cesare sia l’Antonio e Cleopatra contengono brani di considerevole lunghezza riprodotti con scarse modifiche dalle magistrali traduzioni plutarchiane di Sir Thomas North, mentre La tempesta paga un simile, tacito tributo a una popolare traduzione di Ovidio. La battuta di Marlowe: ”Chi mi amò se non a prima vista?, proveniente da Ero e Leandro, riappare identica in Come vi piace […]. (convenzioni teatrali) […] prima di Shakespeare le rappresentazioni teatrali erano tradizionalmente regolate dalle tre cosiddette ”unità”, i principi della drammaturgia ricavati dalla Poetica di Aristotele, secondo i quali i drammi dovevano svolgersi nell’arco di una giornata, in un unico luogo e con un unico intreccio. […] Ben Jonson inseriva una nuova scena e un nuovo numero ogni volta che faceva il suo ingresso un nuovo personaggio, per quanto breve o marginale fosse la sua apparizione, mentre altri non usavano alcuna divisione. […] il genio di Shakespeare aveva poco a che fare con i fatti e molto con l’ambizione, l’intrigo, l’amore, la sofferenza, cose che a scuola non si insegnano. (morte e seguito) Dopo la morte, William Shaespeare venne sepolto nell’abside di Holy Trinity, una grande e incantevole chiesa lungo il corso dell’Avon. La moglie di Shakespeare morì nell’agosto del 1623, appena prima della pubblicazione dell’in-folio. La nipote di Shakespeare, Elisabeth, che avrebbe potuto ugualmente far luce su molti misteri, visse fino al 1670. Si sposò due volte ma non ebbe mai figli, e con lei finì la stirpe degli Shakespeare. Willm Shaksp (come egli si firmava) è sepolto presso la chiesa di Holy Trinity di Stratford-upon-Avon. Il busto fu scolpito da un marmista di nome Gheerart Janssen e installato nell’abside della chiesa nel 1623, lo stesso anno del ritratto di Droeshout. […] il teatro di Shakespeare sarebbe potuto andar perso se non fosse stato per gli eroici sforzi dei suoi intimi amici e colleghi John Heminges e Henry Condell, che sette anni dopo la sua morte produssero un’edizione in-folio delle sue opere teatrali. […] Heminges e Condell erano gli ultimi rimasti degli originari Chamberlain’s Men. Il luogo in cui si conservano più copie dell’in-folio è un modesto edificio in una graziosa strada a un paio di isolati dal Campidoglio di Washington, DC, la Folger Shakespeare Library. Prende il nome da Henry Clay Folger, che fu presidente della Standard Oil (e più alla lontana membro della dinastia del caffè Folger); cominciò a collezionare copie dell’in-folio agli inizi del ventesimo secolo, quando si potevano strappare a prezzi relativamente bassi ad aristocratici in difficoltà e istituzioni in crisi. […] oggi la collezione contiene […] alcune inaspettate curiosità: ad esempio, un manoscritto di Thomas de Quincey su come preparare il porridge. […] Oggi la collezione consiste di 350.000 libri e altri reperti, ma il suo cuore sono le copie dell’in-folio. […] La Ziegler e la Doggett mi condussero in una stanza protetta e priva di finestre in cantina, dove vengono tenuti i volumi più rari e importanti della collezione Folger. Quando William Cartwright, che ora nessuno sa più chi sia, morì nel 1643, cinque dozzine di ammiratori sgomitarono per offrire i loro poemi commemorativi. ”Sono i capricci della fama” sospira Schoenbaum nella sua Documentary Life (’Vita documentata”). Fra la morte di Shakespeare e il primo accenno di biografia passò quasi un secolo; a quel punto molti dei dettagli della sua vita erano ormai perduti per sempre. Il primo tentativo giunse nel 1709, quando Nicholas Rowe, Poeta Laureato britannico e drammaturgo egli stesso, scrisse un ritratto di quaranta pagine come parte dell’introduzione a una nuova edizione in sei volume delle opere complete di Shakespeare. (James Orchard Halliwell) […] scrisse la biografia più autorevole di Shakespeare del diciannovesimo secolo. Halliwell fu soltanto accusato di furto, mai condannato; ma di sicuro vi era una lunga, curiosa corrispondenza fra le sue visite in biblioteca e la sparizione di volumi. (Delia Bacon) Nel 1852 Delia andò in Inghilterra e si imbarcò nella lunga, ossessiva impresa di provare che William Shakespeare fosse un truffatore. Esausta per le sue fatiche, Delia fece ritorno in patria e si ritirò nella pazzia. Nel 1859 morì tranquilla ma infelice in manicomio, convinta di essere lo Spirito Santo. Malgrado il fallimento del suo libro e la pesantezza della sua esposizione, in qualche modo la teoria che Bacone avesse scritto le opere di Shakespeare prese piede alla grande. Mark Twain e Henry James divennero sostenitori di spicco della tesi baconiana. (Mary Sidney) E la lista degli Shakespeare alternativi prosegue. Un’altra candidata è Mary Sidney, contessa di Pembroke. I promotori di questa idea – un piccolo gruppo, va detto – sostengono che ciò spieghi come mai il primo in-folio sia dedicato ai conti di Pembroke e di Montgomery: erano i suoi figli. La contessa, si osserva inoltre, possedeva proprietà sull’Avon, e il suo cimiero sfoggiava l’immagine di un cigno – da cui il riferimento di Ben Jonson al ”dolce cigno di Avon”. Di sicuro, Mary Sidney è una candidata affascinante. Era tanto bella quanto colta e aveva le conoscenze giuste: Robert Dudley, conte di Leicester, era suo zio, e suo fratello era Sir Philip Sidney, poeta e patrono dei poeti. Mary trascorse gran parte della sua vita con persone dalle inclinazioni letterarie, primo fra i quali Edmund Spenser, che le dedicò una delle sue poesie. Tutto ciò che manca per collegarla a Shakespeare è una cosa qualsiasi che la colleghi a Shakespeare. In toale sono stati suggeriti più di cinquanta candidati come possibili alternative a Shakespeare. Suo padre era il sindaco di una cittadina importante. Certo, Shakespeare non andò all’università, ma se è per questo non lo fece nemmeno Ben Jonson, un drammaturgo molto più intellettuale di lui […]. (curiosità) […]. Falstaff osserva che da ragazzo era abbastanza minuto da infilarsi ”nell’anello del pollice di qualsiasi consigliere municipale” […]. Shakespeare conosceva a menadito le pelli e i loro usi […]. Sapeva che le corde del liuto erano fatte di budello di vacca e quelle degli archetti di crini di cavallo. Una caratteristica curiosa di Shakespeare è che utilizzò molto di rado la parola also, anche. […] E’ una strana idiosincrasia, che non viene condivisa da nessun altro autore del periodo. Una sola pagina di Bacone contiene più also di quanti ne abbia scritti Shakespeare in tutta la sua carriera. […] Simili caratteristiche peculiari costituiscono quello che viene definito l’idioletto di un individuo. Ben Jonson: ”Rammento che gli attori hanno spesso detto a onore di Shakespeare che nelle sue opere (qualsiasi cosa scrivesse) non ha mai cancellato [un] verso. La mia risposta è stata: magari ne avesse cancellati un migliaio!” […] Nello stesso brano aggiunse: ”Perchè amavo l’uomo, e ne onoro il ricordo come chiunque altro”. (dal verso del frontespizio) Shakespeare ”è una sorta di equivalente letterario dell’elettrone: è lì ma non è lì”. Bill Bryson, attingendo al guazzabuglio di curiosità che ruotano intorno alla figura del bardo, ci offre oggi uno Shakespeare mai raccontato e un delizioso affresco della vita londinese nel periodo elisabettiano, in cui i teatri, sempre affollati, aprivano alle due del pomeriggio, il biglietto d’ingresso costava un penny e per gli spettatori più golosi erano in vendita birra, pan di zenzero, noci, mele e pere ”che potevano trasformarsi in missili nei momenti di delusione”. Shakespeare è morto lo stesso giorno del grande scrittore spagnolo Miguel de Cervantes. (Wikipedia)