Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 14 Giovedì calendario

L’EMERGENZA CONTINUA DEI DECRETI

Riepilogando: s’annuncia con alti squilli di fanfara un decreto legge che sospende i processi penali per tre mesi. Motivo? C’è una sentenza costituzionale (la n. 333 del 2009) che va applicata senza indugi: insomma un «caso straordinario di necessità e d’urgenza», come vuole l’art. 77 della Costituzione per ammettere la decretazione del governo.
L’opposizione s’inalbera, rumoreggia nell’aula del Senato, minaccia feroci ostruzionismi. A quanto pare s’insospettisce pure il Quirinale, sicché comincia un negoziato che in ultimo dimezza il termine di prescrizione: non più 90 giorni bensì 45. Infine scocca l’ora del Consiglio dei ministri, ma il decreto non c’è più, il governo scopre all’improvviso che non ce n’è bisogno. E così il visconte dimezzato diventa un cavaliere inesistente, se possiamo rubare il titolo a due celebri romanzi di Calvino.
C’è una lezione da studiare dopo questo giro di valzer sui decreti? Sì che c’è: non è affatto vero che ogni accidente di stagione vada curato per decreto. Non era vero in questo caso, non era vero in molte altre occasioni dove è mancato viceversa un gesto di resipiscenza. Però a studiare dovrebbero andarci anche i signori del Palazzo. Possibile che nei giorni scorsi nessuno si sia preso la briga di leggere la sentenza della Corte? Quella decisione non opera l’annullamento della legge (l’art. 517 del codice di procedura penale) oggetto del sindacato di legittimità costituzionale; non apre quindi una lacuna nel nostro ordinamento, rispetto alla quale si rende talvolta necessario rimediare con un tampone normativo. La sentenza 333 s’iscrive piuttosto nella categoria delle sentenze additive, che non tolgono ma aggiungono frammenti di legislazione, e perciò sono autoapplicative, s’impongono insomma da se stesse.
Nella fattispecie, c’era in gioco il diritto per ciascun imputato di richiedere il rito abbreviato dinanzi a contestazioni suppletive e tardive; il codice non contemplava quel diritto, la Consulta lo ha introdotto aggiungendo una frasetta alla norma originaria. Amen: decreto o non decreto, gli imputati ormai possono avvalersene. L’unica giustificazione del decreto avremmo forse potuto rintracciarla nell’esigenza di rendere certo e omogeneo il termine di sospensione processuale, sottraendolo alla discrezionalità dei tribunali; ma è un argomento un po’ tirato per i piedi, sia perché nessuna legge potrà mai elidere del tutto il margine d’apprezzamento giudiziario, sia perché nel caso specifico i giudici devono comunque valutare se ricorrono i presupposti del diritto, concedendo o no la sospensione.
E dunque, pericolo scampato? Magari. Perché alla fine della giostra l’esecutivo non ci ha fatto mancare il nostro decreto legge quotidiano: ieri ne ha approvato uno sulla spesa degli enti locali, insieme a 5 decreti legislativi e a 3 dichiarazioni di stato d’emergenza. Ecco, l’emergenza: nel tessuto costituzionale è il fatto straordinario che autorizza i poteri normativi del governo, nella prassi della seconda Repubblica è diventato un’emergenza pure il raffreddore. Col risultato che fin qui i decreti battezzati dal governo Berlusconi superano 2 milioni di caratteri (li ha contati alla Camera il Comitato per la legislazione), a loro volta dislocati in varie migliaia di commi che rimbalzano sulle Gazzette ufficiali. Da qui una perenne fonte di conflitti e di tensioni, ora con Napolitano e Fini, ora con le regioni, con la Consulta, con l’opposizione in Parlamento. O ne veniamo fuori, oppure questo raffreddore diventerà letale.