Massimo Mantellini, Nòva24 14/1/2010;, 14 gennaio 2010
CALLIGRAFIA ADDIO
Qualche giorno fa Giuseppe Granieri ha scritto sul suo blog: «Uso il computer da due decenni ormai e, come capita a molti, non sono più capace di scrivere a penna». Granieri racconta una esperienza che è di moltissime persone: le tastiere dei computer hanno gradualmente sostituito la nostra abitudine alla scrittura a mano. Il nostro cervello e i nostri muscoli ne hanno semplicemente preso atto.
Fra qualche settimana è attesa la presentazione del nuovo "tablet" di Apple. Le indiscrezioni che circolano lo descrivono come un ibrido fra un grosso iPhone e un computer con lo schermo di circa 10 pollici. Quali siano gli spazi di utilizzo di un simile device non è ancora chiaro. Che si tratti di un computer portatile di piccole dimensioni, che sia un device per guardare video in rete, un lettore di libri elettronici o tutte queste cose assieme, una sola cosa è abbastanza pacifica: non sarà dotato di tastiera. Questo limite di interfaccia molto probabilmente ne condizionerà utilizzo e penetrazione. Oppure, come si dice spesso in questi casi di improvviso straniamento, la mancanza di tastiera non sarà un bug, ma una feature.
Non un limite, piuttosto una caratteristica. Se così fosse il tablet potrebbe aprire la strada verso utilizzi che non prevedono la mediazione di un supporto fisico con delle lettere segnate sopra dei tasti.
Nei 200mila anni di vita dell’umanità la scrittura è stata utilizzata "solo" negli ultimi 6mila. Quando i Sumeri inventarono i caratteri cuneiformi il nostro cervello lentamente iniziò a cambiare. Lo fece in maniera tanto convincente che nell’ultimo secolo i neurofisiologi hanno identificato a livello della corteccia frontale sinistra il cosiddetto "centro della scrittura", luogo deputato alla gestione dei complessi movimenti che sovraintendono alla nostra bella (o brutta) grafia.
Secondo Anne Trubek autrice di un breve recente saggio dal titolo «Handwriting in History », la scrittura a mano è ormai incamminata verso l’oblio. Non accadrà domani, forse saranno necessari decenni, ma il suo destino sembra segnato. E questo accadrà – sostiene la Trubek – in nome della automaticità cognitiva, la capacità di pensare il più velocemente possibile. Scrivere su una tastiera ha consentito tutto questo, ha reso disponibile questa congiunzione fra pensiero e azione contemporaneamente a milioni di persone. Scrivendo su una tastiera siamo più veloci, non per un risibile desiderio di rapidità, magari consono a questi tempi accelerati, ma per una ragione opposta: perché vogliamo avere maggior tempo per pensare.
Qualche mese fa – per raccontare un punto di vista radicalmente differente – Umberto Eco dalle pagine del «Guardian» consigliava ai suoi lettori di iscrivere i propri figli a un corso di calligrafia. La scrittura in bello stile – sosteneva il professore – favorisce il controllo sui movimenti delle mani e la coordinazione fra le mani e gli occhi. Molti scrittori ”continuava Eco – preferiscono scrivere a mano i loro testi perché questo consente di pensare con maggior calma. La bella grafia, insomma, come una opposizione ideologica alla velocità dei tempi di internet e alla sintesi estrema dei brevi messaggi di testo.
Sia come sia la scrittura a mano in questi tempi non sembra godere di buona fama. Osservo i compiti a casa di mia figlia che frequenta la prima elementare e non ritrovo le lunghe pagine di ripetuti esercizi calligrafici, piene di lettere e numeri tutti uguali, che erano la regola nel primo anno scolastico ai miei tempi. Secondo alcuni si trattava di esercizi ottusi e repressivi (per dirlo ancora con le parole di Umberto Eco) o semplicemente non si usa più.
Che anche la tastiera sia un’interfaccia di passaggio sembrerebbe ormai assodato. vecchia di poche decine di anni ed è già in grave pericolo. Oltre alle idee immateriali di Steve Jobs, ne insidianola centralità i sistemi di riconoscimento vocale e chissà quali altre diavolerie che potremo utilizzare già dopodomani. Nel frattempo, esattamente come la scrittura a mano, le tastiere sono destinate a restare ancora per un po’.