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 2010  gennaio 14 Giovedì calendario

UN CARRELLO DA 40 MILIARDI

Con un numero di consumatori che sta crescendo di 400mila unità all’anno,gli immigrati sono un target che nessuna società, di servizi o del mani-fatturiero, può più ignorare. Sarebbe come dimenticarsi della ricca e dotta Bologna che conta appunto poco meno di 400mila abitanti. Certo la loro spesa mensile pro capite è inferiore rispetto a quella degli italiani, la media è 280 euro, ma può salire fino a punte di 800 euro. Tradotto in percentuale significa che i quasi cinque milioni di immigrati, oltre l’8%della popolazione italiana, rappresentano il 3% dei consumi. Consumano di meno ma, presa nel complesso, la loro spesa «nel 2009 si è avvicinata ai 40 miliardi di euro», stima Luca Massimiliano Visconti, direttore del master in marketing e comunicazione dell’Università Bocconi di Milano. Una stima che, se paragonata a quella relativa al 2007 «pari a 25 miliardi di euro», calcola Ada Cattaneo, la ricercatrice che ha curato il capitolo intitolato Immigrati consumatori, nell’ultimo rapporto Ismu, rende la misura di quanto stia crescendo la spesa degli immigrati. E delle potenzialità che ha questo target, se effettivamente il loro numero raddoppierà, di qui al 2030.
Quasi la metà dei soldi, il 47% vengono spesi per vitto e alloggio, il 24% per altre spese, il 15% nei risparmi e il 14% nelle rimesse. Gli immigrati, anche dopo il ricongiungimento del nucleo familiare in Italia, continuano sempre a mandare soldi al loro paese perché c’è sempre un parente che vi è rimasto o perché ci tengono ad aiutare anche con piccole cifre la terra dove sono nati. Curiosando nel carrello della spesa degli immigrati si scopre che le loro abitudini non sono poi così lontane dalle nostre perché chi arriva nel nostro paese da lontano dopo poco tempo ne acquista le abitudini. Così per il 32% degli immigrati è importante avere cibi made in Italy con in testa alle priorità la carne per oltre un terzo di loro (34%), seguita da olio (22%), frutta e ortaggi (21%) e pasta e prodotti da forno (26%).
Con la crescita dei consumi degli immigrati è cambiato il volto degli scaffali che oggi ospitano prodotti fino a poco tempo fa difficili da trovare. Peraltro molto utilizzati anche dagli italiani che, in una sorta di integrazione al contrario, si stanno avvicinando a cibi un tempo sconosciuti. Il grande protagonista del carrello della spesa degli immigrati rimane il riso: «Ne consumano infatti 38mila tonnellate all’anno ossia il 12% del mercato italiano», dice Cattaneo. Così a poco a poco sugli scaffali della gdo alle varietà italiane si sono affiancate varietà esotiche come il riso aromatizzato, preferito da cinesi e thailandesi, il basmati consumato da mediorientali, pakistani e indiani, quello tondo amato dagli africani.
Da area geografica ad area geografica cambiano i gusti e le abitudini alimentari. E le voci dello scontrino. Così in quello dei cinesi si trovano molte bottiglie di olio per via della cucina ricca di piatti fritti, in quello dei maghrebini porri, cipolle e banane in abbondanza. I consumi alimentari in totale sono ben oltre i 5 miliardi di euro, una cifra che molti piccoli negozi stanno cercando di intercettare ma che la grande distribuzione non si vuole lasciare sfuggire come dimostrano le politiche di molte catene della gdo, tra cui la Coop, che ha anche inserito carni halal (lecite), macellate secondo il rito islamico. Da Esselunga spiegano invece che sono in aumento sugli scaffali i prodotti "etnici": nel food ormai sono arrivati a 150 referenze.
Il carrello della spesa però non è tutto per capire le abitudini alimentari se non si tiene conto dei pasti fuori casa. Almeno tre immigrati su cinque infatti vanno al ristorante una volta al mese, spendendo in media 25 euro a testa. E almeno il 15% ci va una volta alla settimana. « un dato molto significativo che aiuta a spiegare anche un altro tema importante quando si parla di immigrati e cioè le modalità di integrazione – spiega Ada Cattaneo ”. Una volta arrivati nel nuovo paese in genere trovano due punti focali: i call center e i ristoranti locali. Questi ultimi hanno una duplice funzione; innanzitutto sono un modo per rimanere legati al paese d’origine perché attorno a questi locali si ricrea la comunità degli immigrati e questo vuol dire tornare a condividere un’atmosfera che è tipica del paese d’origine. E poi ovviamente hanno un significato pratico: per le comunità a prevalenza maschile arrivate in Italia senza avere un alloggio, senza le compagne che cucinano per loro il ristorante diventa il punto dove consumare i pasti».
Nella situazione di oggi il mercato appare «più avanti della normativa e del dibattito politico, spesso tranchant e ideologizzato – sostiene Visconti ”. Questo non aiuta e il rischio è che l’Italia perda la grande occasione dell’immigrazione che è anche un’occasione di business».