Luciano Canfora, Corriere Della Sera 14/1/2010, 14 gennaio 2010
I l 4 novembre 1922, sette giorni dopo la «marcia su Roma». Giuseppe Antonio Borgese scrive a Guglielmo Ferrero: «Caro Ferrero, il mio pensiero è: possa Mussolini, giacché è arrivato, trovar la forza di rimanere, adottando una politica saggia all’estero e generosa verso la Confederazione del Lavoro! Possa egli non essere il Kerenski o il Mirabeau di questa rivoluzione
I l 4 novembre 1922, sette giorni dopo la «marcia su Roma». Giuseppe Antonio Borgese scrive a Guglielmo Ferrero: «Caro Ferrero, il mio pensiero è: possa Mussolini, giacché è arrivato, trovar la forza di rimanere, adottando una politica saggia all’estero e generosa verso la Confederazione del Lavoro! Possa egli non essere il Kerenski o il Mirabeau di questa rivoluzione. Non ero favorevole al desiderio di Mussolini; e ora, se il mio augurio potesse in qualche modo giovare, vorrei che gli giovasse nel senso che or ora ho detto». Questa lettera, insieme ad un’altra allo stesso destinatario, è conservata nel Fondo Ferrero presso la Biblioteca della Columbia University e sarà pubblicata tra breve a cura di Claudio Schiano («Quaderni di Storia», n. 71). Anche l’altra – di pochi giorni precedente la marcia su Roma – appare rilevante. Borgese auspica che dalla «guerra civile» in corso, tra fascisti e socialcomunisti, emerga «come risultato positivo, un gran nucleo di proletariato nazionale»: che cioè il fascismo riesca a sottrarre alle sinistre almeno una parte delle masse popolari. Il primo governo Mussolini piacque anche a Croce, che incoraggiò Gentile ad entrarvi. Suscitava aspettative (erronee) di riconciliazione: comprendeva infatti quattro fascisti, due popolari, due democratico-sociali, un nazionalista, un liberale e quattro «indipendenti». Il clima di quei giorni è reso bene dal «Corriere della Sera» del 31 ottobre. Il giornale informa che in un primo momento per il ministero del Tesoro era previsto il liberale Luigi Einaudi, cui alla fine fu preferito il popolare Vincenzo Tangorra. Alla vigilia dell’incarico da parte del re, riferisce il giornale, Mussolini aveva autorizzato la voce che avrebbe accettato con il proposito di costituire «un grande ministero non già con la Destra ma con fascisti, con la parte migliore della democrazia, coi popolari e con i rappresentanti della Confederazione del Lavoro». Seguiamo il «film» di quella giornata. Ricevuto l’incarico – riferisce il giornale – Mussolini ha incontrato l’onorevole De Nicola, presidente della Camera, il quale «ha preso impegno di rimanere alla presidenza della Camera, ben lieto – ha detto – di collaborare con lui per la pacificazione del paese». Oggetto del colloquio tra Mussolini e De Nicola: l’esercizio provvisorio (bilancio dello Stato) e «la questione della riforma elettorale», cioè l’abrogazione del sistema elettorale proporzionale (che infatti avverrà, auspice Giolitti). Nello stesso numero, in seconda pagina, il giornale dà la lista dei morti in conflitti politici in tutto il paese: «otto morti in un conflitto coi comunisti, a Roma»; «quattordici morti in vari conflitti nel Lazio»; «tre morti e parecchi feriti a Brescia»; altri «due morti e quattro feriti a Bologna e dintorni»; «quattro feriti a Bergamo», etc. La cronaca prosegue con: «i fascisti occupano Palazzo Pitti a Firenze perché vogliono restituirlo al Re»; «il partito comunista si sarebbe sciolto». Il presidente dell’Associazione della stampa italiana, Salvatore Barzilai, ha inviato un lungo messaggio al premier Mussolini, di plauso per «quella parte precipua del vostro programma che mira a temperare i dolori, esaltando i valori espressi dalla grande guerra». Barzilai aggiunge l’augurio che «l’uomo (cioè Mussolini) il quale ha dato più che un ventennio della sua opera alle aspre battaglie del giornalismo, serbi intatta la fede nella libertà della stampa», giacché – precisa – «di fronte a possibili dissenzienti, le loro voci devono essere fatte tacere solo dai vostri atti». Il seguito è noto. La legge elettorale, ritornata maggioritaria e con robusto premio di maggioranza (1923), dà al blocco nazional-fascista una maggioranza schiacciante alla Camera (6 aprile 1924). Se uomini come Matteotti denunciano con reiterato, insistente coraggio le soperchierie e, a quanto ormai si sa, anche gli «affari sporchi» del nuovo governo fascista, una «squadra» mette a tacere in senso fisico, non metaforico, la sua voce. Le opposizioni, più che mai divise, inscenano l’impotente spettacolo del’Aventino. A Bologna un oscuro e fallimentare attentato a Mussolini scatena l’isteria dei fascisti che denunciano «l’odio verso la persona di Mussolini» istillato dalle opposizioni 4 novembre 1922 Borgese: «Meglio che Mussolini giacché è arrivato al governo possa trovare la forza di restare adottando una politica saggia» Dopo la caduta del Duce Togliatti accusò «don Benedetto» di aver lanciato solo «freccioline» contro il potere in camicia nera Invece Marchesi fu più generoso tanti professionisti del «revisionismo storico» a buon mercato. Borgese percorse una strada diversa da quella di Croce. Né Croce ebbe mai simpatia per lui e per la sua capacità di cogliere le radici profonde del fascismo nella storia d’Italia. Forse la distanza geografica, l’aver continuato a riflettere – dalla lontana America – sulla nostra storia aveva consentito a Borgese una maggiore lucidità storiografica, di cui è prova il libro suo più importante, Golia: la marcia del Fascismo (1937), approdato in Italia solo nel dopoguerra e disponibile in una ristampa mondadoriana con una bella introduzione di Massimo Salvadori. Oggi’ da pochissimo – disponiamo di un nuovo e importante strumento per conoscere e studiare il cammino di Borgese: il Catalogo del fondo Borgese posseduto dall’Università di Firenze, curato per l’editore Gonnelli da Maria Grazia Macconi, da Massimiliano Lenzi e da Duccio Mannucci. Lo si trova nella collana di Rosario Pintaudi «Carteggi di filologi». Una buona smentita per chi crede che le carte inedite siano fonti «minori» nella ricerca storica. (fine ottobre ”26). Pochi giorni dopo, le leggi eccezionali, avallate dal re, portano alla revoca del mandato parlamentare dei deputati aventinisti ed all’arresto dei deputati comunisti (che aventinisti non erano!). Dal processone contro il Partito comunista, dalla grancassa contro il pericolo «comunista» discendono recta via la soppressione delle libertà politiche ed il regime (novembre ”26). Un passo decisivo era stato il potenziamento dei poteri del presidente del Consiglio (legge del 24 dicembre ”25), fortemente voluto da Mussolini e concesso dal re in barba al dettato dello Statuto albertino. Eppure ancora dopo il delitto Matteotti Croce in Senato voterà la fiducia al governo, e Borgese (uno dei pochissimi professori non giuranti nel 1931) si asterrà dall’aderire al «manifesto Croce». La maturazione verrà poi, per gradi e con molti distinguo. Riconsiderando il percorso accidentato che portò luminari e intellettuali di così gran peso a prendere man mano le distanze dal fascismo, si possono assumere atteggiamenti diversi, simboleggiati per così dire da due vicende, o per meglio dire da due testi. Uno è la polemica aspra di Togliatti verso Croce (essendo entrambi nel secondo governo Badoglio!) innescata dall’accusa del primo al secondo, espressa a chiare lettere nel primo numero di «Rinascita», di aver avuto in sostanza vita facile sotto il fascismo (nonostante le «freccioline» ogni tanto scagliate dal filosofo contro il regime) come contraccambio di un perdurante e incrollabile anticomunismo. L’altro è la poco nota ma impegnativa commemorazione di Croce scritta da Concetto Marchesi – alto esponente del Pci e considerato a torto come l’uomo simbolo dell’ala «stalinista» del partito – per il periodico dell’Udi «Noi Donne» (7 dicembre 1952): «Egli (Croce) – scrisse Marchesi – era l’unico superstite di universale valore a cui il liberalismo avrebbe potuto affidare in eredità quanto restava del suo tesoro ideale e storico». «Quelle ragioni – seguita Marchesi soppesando con equilibrio luci ed ombre – che lo posero in un certo momento contro il fascismo egli rivolse più tardi contro il comunismo: né si accorse che quel ponte che aveva potuto collegare di volta in volta il fascismo con il liberalismo, era definitivamente spezzato tra fascismo e comunismo». Una diagnosi sapiente, e non più polemica, che potrebbe illuminare tanti professionisti del «revisionismo storico» a buon mercato. Borgese percorse una strada diversa da quella di Croce. Né Croce ebbe mai simpatia per lui e per la sua capacità di cogliere le radici profonde del fascismo nella storia d’Italia. forse la distanza geografica, l’aver continuato a riflettere - dalla lontana America - sulla nostra storia aveva consentito a Borgese una maggiore lucidità storiografica, di cui è prova il libro suo più importante, Golia: la marcia del Fascismo(1937). approdato in Italia solo nel dopoguerra e disponibile in una ristampa mondadoriana con una bella introduzione di Massimo Salvadori. Oggi - da pochissimo - disponiamo di un nuovo e importante strumento per conoscere e studiare il cammino di Borgese: Il Catalogo del fondo Borgese posseduto dall’Università di Firenze, curato per l’editore Gonnelli da Maria Grazia Macconi, da Massimiliano Lenzi e da Duccio Mannucci. Lo si trova nella collana di rosario Pintaudi «Carteggi di filologi». Una buona smentita per chi crede che le carte inedite siano fonti «minori» nella ricerca storica.