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 2010  gennaio 13 Mercoledì calendario

ONOMASTICO VERSUS COMPLEANNO


Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode. (Vangelo secondo Matteo 14, 6)

Sono stato un ragazzo precoce, ho cominciato a odiare i compleanni molto presto, quando ancora ai coetanei ogni candelina in più sulla torta sembrava chissà quale conquista. Io non sono come quelle donne che cominciano ad avere problemi con l’anagrafe quando cominciano ad avere problemi con lo specchio. Non sono come quelle scrittrici che da esordienti vanno fiere della propria giovinezza e la sbandierano nel risvolto ma al terzo romanzo, superata la boa dei trenta, pensano sia prudente, fors’anche dal punto di vista commerciale, eliminare la data di nascita. Ho fatto in tempo a vederne parecchie di queste parabole, una da vicino, una mia amica, e ho sofferto per lei immaginando la difficoltà e la pena di convertirsi da giovane a giovanile, e poi neanche più quello. Io non ho aspettato le prime rughe, il primo capello bianco, non ho aspettato il terzo libro, io la data sul risvolto non l’ho messa mai, chi alimenta la scrittura con la propria biografia fornisce al lettore già abbastanza chiodi per crocifiggerlo, meglio non mettergli in mano quello più aguzzo. Se lo procuri da solo, se è capace. Io lo sapevo molto prima di leggere il Belli che ”la morte sta anniscosta in ne l’orloggi”. Col sentimento che le cose stanno per finire ci sono nato. E nemmeno alla signora con la falce il lavoro voglio facilitare, quindi niente orologi al polso. Fra l’altro da ormai vent’anni gli orologi non servono più a niente, da quando l’ora si può leggere sul telefonino (oltre che sul computer, sul televisore, sulla cucina, sul termostato del riscaldamento, sui campanili, sulle torri civiche, alle fermate degli autobus e delle metropolitane, sui pannelli delle stazioni, in automobile, ovunque). Gli italiani, nostalgici del superfluo e mai dell’essenziale, sono rimasti fermi a quell’ormai remoto Novecento in cui la marca dell’orologio sembrava raccontare molto di una persona. Perciò continuano a comprar lancette per la gioia degli scippatori e degli svizzeri. Si svenano per osservare su costosi quadranti la vita che fugge, quando basterebbe guardarsi bene quando ci si fa la barba. Le donne con l’orologio mi risultano particolarmente patetiche, mi sembra di vederle ai raggi X, niente più vestiti e carne ma soltanto ossa e Rolex. Poverine. Nonno Antonio mi ha lasciato in eredità un orologio d’oro: avrei preferito un cavatappi, non sarebbe rimasto chiuso vita natural durante nell’astuccio. Di nonno Nicola mi è rimasta la cipolla da ferroviere, con inciso sul retro la sigla F.S., Ferrovie dello Stato (lo Stato era incisivo, allora). L’orologio da taschino è già più tollerabile, meno osceno (l’ora non se ne sta sempre nuda ma ben nascosta per la maggior parte del tempo), purtroppo è utile come i modelli da polso, zero. E le sveglie? Sì, ci sono anche quelle, pare mantengano una qualche funzione ma preferisco non parlare di strumenti di tortura. Il tempo mi stringe, mi ha sempre stretto, e appena raggiunta l’età della ragione ho voltato le spalle al biologico e abbracciato il divino, ho scelto di festeggiare solo l’onomastico. Sono passato da un tempo centrato su di me, quindi limitatissimo e già agonizzante, a un tempo esterno ed eterno. Il 14 luglio festeggio San Camillo de’ Lellis, non Camillo Langone. Certo, per festeggiare l’onomastico bisogna avere un nome. Possesso per nulla scontato. Ad esempio ci sono quelli che hanno un nomignolo. Mai capito perché una persona accetti di rimpicciolirsi e storpiarsi facendosi identificare con bisillabi spesso anglofoni, antifonetici e che terminano con una ipsilon. Appellativi più adatti ad animali domestici che a cristiani. Il Catechismo scrive: ”Dio chiama ciascuno per nome. Il nome di ogni uomo è sacro. Il nome è l’icona della persona. Esige il rispetto, come segno della dignità di colui che lo porta.” Io non ho mai chiamato per nomignolo nessuno, nemmeno quando non farlo sembrava respingere la benevola concessione di una familiarità. Non tratto i miei amici come cani. E i miei nemici (non vorrei averli, non credo che il loro numero misuri l’onore, ma li ho) non voglio minimizzarli con soprannomi scherzosi, rischiando di immaginarmeli innocui. E poi ci sono quelli marchiati da un nome adespoto, un nome senza santi in paradiso. Più che ”quelli” avrei dovuto scrivere ”quelle”, l’apostasìa novecentesca si è maggiormente accanita sull’onomastica femminile: le Jessiche, le Pamele, le Samanthe, con o senza acca, e poi le Lare e le Larisse, le Monie Demonie, le Milene e le Vanesse… E meno male che le decine di migliaia di Sabrine, un nome a zampa d’elefante (tocca il suo acme nel 1970) dovuto a genitori dalle motivazioni che più profane non si possono immaginare (il cinema americano, Audrey Hepburn…), sono coperte da una Santa Sabrina martire in Gallia e in calendario il 29 gennaio. Nel Terzo Millennio si può fare peggio delle Lorene anni Sessanta, delle Rosselle anni Settanta, delle Luane anni Ottanta, perfino peggio delle Sharon anni Novanta. Si possono scatenare i venti del nulla contro inermi neonati di sesso maschile, fino a ieri protetti da un’onomastica più tradizionale. Qualcuno prova a organizzare la resistenza. Un giudice di Genova (c’è un giudice a Genova!) ha avuto l’umanità e il coraggio di assegnare il santo nome di Gregorio a un bambino che la madre, attardata lettrice di romanzi, voleva chiamare Venerdì. Nella decisione vedo anche un possibile risvolto antiabortista: quel tribunale ha affermato in qualche modo che le donne non hanno un potere incondizionato sulle proprie creature, non ne possono disporre a capriccio. La genitrice ha dichiarato: ”Quel Venerdì è solo un nome che mi piace, un suono”. Santissimo Iddio! Un nome non è solo un suono, è anche un senso. Troppo importante la potestà onomastica perché sia lasciata a madri che hanno perso l’orientamento. Uno scrittore di Bologna (Enrico Brizzi) in un bellissimo libro intitolato ”Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro” fa discutere dell’argomento ai suoi personaggi. I nomi devono essere di famiglia o di moda? Dei nonni o di Hollywood? ”I padri ricchi lasciano un’eredità, gli altri i segreti e le tradizioni. E chi le interrompe ne sente tutto il peso.” Ma quelle del giudice e del romanziere sembrano più che altro bellissime sortite, splendidi gesti ininfluenti, ultime cariche del Savoia Cavalleria, umanistiche Bastogne che forse possono soltanto rallentare la ritirata della ragione (oltre che ovviamente salvare l’onore di chi vi partecipa). Negli ultimi tempi non ho notato esplosioni, né a Genova né a Bologna né altrove, di onomastica patronale. Sotto le Due Torri non si trova un piccolo Petronio neanche a pagarlo. Telefonai allo stato civile bolognese, un’impiegata mi disse che da almeno otto anni, insomma dal suo ingresso nell’ufficio, nessun bambino era stato chiamato col nome del Santo protettore della città, mentre invece non mancavano gli Alex, i Manuel, i Gabriel, i Dennis e ovviamente i Mohamed. (Vorrei qui tralasciare la penosa vicenda dei nomi stranieri imposti a bambini italiani, farò finta che i Kevin siano stati così chiamati per via di San Kevin di Glendalough, monaco irlandese, e che le Ylenie sappiano di chiamarsi Elena e perciò festeggino il 18 agosto). Uomini e donne la cui vita è stata impoverita da un nome adespoto possono in teoria rifarsi con Ognissanti ma è un espediente e un refugium peccatorum e comunque non credo che il primo novembre molte Samanthe festeggino qualcosa di cristiano. Coerentemente col loro prototipo malefico (la strega protagonista di una serie televisiva americana) preferiranno Halloween. ”Non imputare a noi le colpe dei nostri padri, presto ci venga incontro la tua misericordia” dice il salmista. Bisogna essere caritatevoli e consigliare a chi non si ritrova sulle pagine del calendario di Frate Indovino (basilare! procuratevelo! appendetelo in cucina! consultatelo ogni mattina prima di accendere il gas!) di aiutare sé stesso affinché Dio lo aiuti. Come? Portando in primo piano il proprio secondo nome, sperando che un secondo nome esista e sia cristiano. Altrimenti al diavolo l’anagrafe, si consultino i libri di due grandi agiografi, Piero Bargellini (’Mille Santi del giorno”) e Alfredo Cattabiani (’Santi d’Italia”) e si scelga il canonizzato la cui vita maggiormente ispira. Esistono i nomi d’arte, a bizzeffe, e allora esistano anche i nomi di religione, i nomi scelti non per avere successo al cinema o in televisione ma per scampare il compleanno e festeggiare l’onomastico. Ci sono precedenti illustrissimi, mi riferisco a Saulo che diventò Paolo e a Simone al quale Gesù personalmente ”impose il nome di Pietro”. Ma sono casi eccezionali, meglio facilitare la vita di un figlio dandogli subito un nome santo e raccontandogli, man mano che diventa grande, la vita meravigliosa del suo patrono. Non si sentirà mai solo.