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 2010  gennaio 13 Mercoledì calendario

GONNA VERSUS PANTALONE


La donna non si metterà un indumento da uomo né l’uomo indosserà una veste da donna; perché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore tuo Dio. (Deuteronomio 22, 5)

Naturalmente qui voglio parlare di abbigliamento femminile, il kilt mi piace molto però addosso agli scozzesi. Ho notato che l’orribile parola unisex non si usa praticamente più. Sembrerebbe una buona notizia ma non lo è: semplicemente la cosa che descriveva è ormai talmente scontata che non c’è più bisogno di rimarcarla. Non c’è bisogno di usare l’espressione ”classi miste” quando non esistono più le classi separate. Con l’imminente estinzione dei barbieri non è più necessario specificare che un certo parrucchiere è unisex: lo sono tutti. Se i jeans riempiono gli armadi del novanta per cento delle donne non sono più una frontiera ma una retroguardia dell’indifferentismo sessuale, che non è una moda innocua bensì una folle ribellione contro Dio che ”maschio e femmina li creò”. Il mai sufficientemente compianto cardinale Siri, a messa, non voleva vedere signore e signorine in pantaloni: ”Alterano la psicologia, tendono a viziare i rapporti tra la donna e l’altro sesso”. Il sant’uomo (come mai non l’hanno ancora beatificato?) aveva capito tutto. Si comincia col vestire nello stesso modo e si finisce col comportarsi nello stesso modo: gli uomini si femminilizzano, le femmine si mascolinizzano. Dio creò la donna, Levi Strauss (o Jacob Davis, non ho mai capito bene) ha inventato la uoma. Quando in treno o all’ufficio postale una voce femminile pronuncia ad alta voce ”Cazzo!” non ho bisogno di voltarmi, so già che la fatidica parola proviene da una donna in jeans. ”Uniforme del nulla”, l’ha definita George Will sul Washington Post. Non mi risulta che Siri abbia ottenuto grossi risultati, e figuriamoci Will, ma l’importante è compiere il proprio dovere, contro il mondo intero se è necessario. E purtroppo è proprio necessario, il mondo su poche cose è compatto come nell’impegno a cancellare le prerogative virili: sinistra, centro e destra profana su questo punto sono indistinguibili, un po’ come l’abbigliamento dei loro esponenti, a qualsiasi sesso appartengano. Qualcuno ricorda la foto del giuramento del Berlusconi IV? L’otto maggio 2008 al Quirinale c’erano ben quattro psicologie alterate, quattro plausibili lettrici di Simone de Beauvoir secondo la quale donne non si nasce ma si diventa, ad esempio vestendosi da donne. Quindi smettere la gonna o l’abitino significa smettere di essere femmine. Mara Carfagna, Giorgia Meloni, Mariastella Gelmini, Stefania Prestigiacomo: quattro perfette berlusconian-zapateriane.
La donna divina dei miei sogni, mai dimentica di esser cosa creata, più ancora che gonne indossa abiti, o abitini. Sembra sempre appena uscita dalla primavera del Botticelli e quindi dal negozio di una delle seguenti firme francesi o italo-francesi: Comptoir des Cotonniers, Zadig & Voltaire, Vanessa Bruno... Piacevoli firme italo-italiane ce ne sono poche, essendo la nostra moda tetra e antifemminile come del resto l’intera nazione. Forse Marni, forse forse Pucci se i suoi vestiti non rievocassero stagioni gloriose, ma trapassate. Per un attimo mi piacque Bini Como, solo abitini da cocktail in seta stampata. Fantastico, mi dissi, io amo i tubini la seta il lago il Negroni. Poi su Amica lessi che la titolare si chiama Stefania Bini e cercai la sua foto in rete, caspita, una bella donna, poi vidi che i suoi capi si trovavano in Rinascente, magnifico, io vado pazzo per la Rinascente, ci passo le ore, devo assolutamente promuovere questa griffe, scrivere qualcosa, esaltare l’idea di una mondanità alcolica e fiorata. Quindi cercai il profilo dell’affascinante setaiola comasca su Facebook e purtroppo lo trovai. Il primo gruppo a cui risultava iscritta era ”Si al preservativo che salva la vita. No a Benedetto XVI”. A parte l’ignoranza di chi scrive sì senza accento, a parte la disinformazione di chi definiva sicuro un oggetto che non è ritenuto tale nemmeno dalle aziende produttrici, aggregandosi a ”chi si sente indignato per le parole criminali del Papa” Stefania Bini ha smentito i suoi abiti spensierati. Ai cocktail ci si va per ascoltare Anita O’Day o St. Germain, non dei comizi. Per parlare di artisti, alberghi, spiagge, piscine, scarpe, divani, spider, romanzi, ristoranti, non di malattie. Per colpa dell’incontinenza internettiana gli abitini Bini Como non beneficiarono più del mio entusiasmo. E poi un giorno in Rinascente li soppesai bene: davvero troppo puccioidi, tanto vale servirsi direttamente dal divinamente destro marchese fiorentino (comprando capi vintage disegnati da Emilio Pucci in persona, non da eredi o epigoni o copioni). La donna divina dei miei sogni è una dolce venere di rimmel che cammina leggera nei giardini di marzo, nelle sere di maggio, nelle distese estati stagioni dei densi climi, nelle piazze, belle piazze italiane, fors’anche nei paesi della Francia meridionale che ho visto in certi film di Rohmer sovrabbondanti di grazia, girati tra Provenza e Delfinato dove sembrerebbe che il pantalone donnesco sia estinto o mai sorto (ma temo sia tutto merito del regista, alquanto destro pure lui, e delle sue costumiste). Compito dello Stato è garantire che la bellezza femminile possa manifestarsi sempre e ovunque, senza luoghi e orari sconsigliati. Sarebbe però paradossale che a farlo fossero poliziotte o carabiniere costrette a portare i pantaloni, spesso (se non sempre) contro la propria più intima inclinazione. La donna in divisa non è un’amazzone, non è una diana cacciatrice, non è nulla di mitologico o glorioso, è una donna a cui è stato strappato il sorriso e spesso anche l’utero: com’è possibile sfornare due virgola uno bambini (il minimo affinché un popolo si perpetui) facendo un mestiere così duro, così rischioso, con orari così incompatibili con qualsivoglia impegno famigliare. I politicanti che nel 1981 spalancarono la polizia al sesso ex debole si atteggiavano ad amici delle donne, erano invece subdoli sterilizzatori. Certo, non sadici come il dottor Clauberg, insigne ginecologo che ad Auschwitz iniettava formalina e novocaina nel ventre di ebree, zingare, greche. Erano meno cruenti eppure hanno contribuito a far precipitare il tasso italiano di fertilità ai più bassi livelli del mondo (uno virgola tre), causando quella crisi demografica che ha reso inevitabile (la natura non tollera vuoti) l’immigrazione di milioni di stranieri. Oggi paghiamo (poco) poliziotte che cercano di contrastare il crimine causato da africani, asiatici e balcanici che vivono negli spazi lasciati liberi dai figli non nati delle poliziotte. Nel 1981 sarebbe stato più sensato cominciare a stipendiare le aspiranti poliziotte a patto che stessero a casa a fare le madri, ma non è che da quei presidenti e ministri si potessero pretendere dei gran ragionamenti. Molti erano democristiani, uomini di ispirazione cristiana ma di espirazione mondana, erano sempre in riunione, o al ristorante, o al telefono, o al convegno, non gli rimaneva un’ora per leggere Sant’Agostino, la Città di Dio: ”La pace di tutte le cose è la tranquillità dell’ordine. L’ordine è la disposizione degli esseri uguali e diversi, che assegna a ciascuno il posto che gli compete”. Noi invece siamo agostiniani a tempo pieno e combattiamo per ristabilire il dimorfismo sessuale in cui ogni persona ha il suo posto e ogni donna la sua gonna.