Camillo Langone, Manifesto della destra divina, Difendi, conserva, prega! Vallecchi 2009, 13 gennaio 2010
DOMENICA VERSUS WEEK-END
Hai disprezzato i miei santuari, hai profanato i miei sabati. (Ezechiele 22, 8)
Io ho grosse difficoltà con le donne che dicono ”ok”, enormi con quelle che dicono ”week-end”. La donna che dice ”ok” puzza di ufficio e di televisione, di lavoro alienato e vita vissuta sul divano, ma la si può sempre gettare sotto una doccia di italiano, strofinarle via la sciatteria del lessico con una spugna ruvida e farle dire ”va bene”, oppure, ancor meglio, ”sì”. Il problema nel suo caso è solo nella parola, non nella cosa, che anzi annuire, acconsentire, confermare che tutto è a posto, che non ci sono problemi, è sempre un piacere per l’interlocutore. Ma la donna che dice ”week-end” è irrecuperabile, è una donna perduta, no, mi correggo, le donne perdute hanno comunque fascino mentre la weekendomane l’ha perso negli ingorghi sulle autostrade, nel sudore degli imbarchi, nelle file ai musei. Lei è molto peggio, è una malata terminale. Ci vorrebbe qualcuno tipo Madre Teresa di Calcutta per tenerle la mano durante l’agonia mentale, io non ce la faccio, non ci sono portato. Capisco che bisogna capirla, che stiamo parlando di una donna che soffre, spaccata in due: cinque giorni di lavoro che non le piace e due giorni di non lavoro dove prova a spinger dentro tutto quello che chiamano vita. Pretendere di far entrare 168 ore in 48 è come volere infilare in una semplice tracolla un computer, quattro libri, due caricabatteria, un paio di occhiali, una macchina fotografica, un pigiama, una maglia spessa, una maglia sottile, una camicia, calze, mutande e astuccio per la barba. E’ possibile che entri tutto ma è sicuro che tutto arriverà ammaccato e stazzonato. Nel frattempo la tracolla si sarà deformata e le cerniere avranno perso un dente o due. La donna che concentra se stessa fra il venerdì pomeriggio e la domenica notte si riconosce da quanto è stropicciata. Lei non lo sa che figura fa, dicendo ”week-end”, fa la figura di chi separa il lavoro dalla vita e perciò comunica di essere morta per buona parte della settimana, e a me non interessa parlare coi cadaveri, tanto meno uscirci a cena, non sono mica un necrofilo. Specularmente: separando la vita dal lavoro, dall’impegno, consegna il sabato e la domenica all’egoismo più sterile, ozioso o iperattivo non cambia, e le donne egoiste sono più frequentabili delle donne morte ma non molto, un tantinello appena, solo perché hanno un odore migliore e non per altro. Il lunedì per loro è una tragedia, sono incoraggiate a considerarla tale dai programmi radio di riferimento, dove chiunque abbia un microfono davanti alla bocca parla pomposamente di ”sindrome del lunedì”. Io da quando ho venduto l’automobile non ascolto più la radio: è un vantaggio ulteriore, non solo non pago più bollo assicurazione meccanico lavaggio gommista carrozziere benzinaio, mi risparmio anche i timpani e il cervello. Sono riuscito a espellere i deejay dal mio apparato uditivo, la loro musica insignificante, il loro conformismo da macchinetta del caffè, salvo quando mi capita di prendere un taxi. Se è lunedì non è difficile immaginare quale argomento fuoriesce fangoso dalle casse del mezzo. Un altro tema odioso della logorrea radiofonica è il tempo, le previsioni meteo, ovviamente finalizzate a quei due giorni cruciali, e non ho mai capito che cosa debba temere un’impiegata da Giove Pluvio. Le previsioni servono ai vignaioli in fase di vendemmia, a una cittadina che cosa importa se piove o tira vento? Non ce l’hai un tetto? Ti hanno rubato le tegole? Da oltre un paio di secoli chi non vuole bagnarsi usa l’ombrello, io nemmeno quello in verità, con stivali pantaloni di pelle impermeabile berretto anch’esso di pelle inforco la mia bicicletta con qualsiasi tempo e torno a casa perfettamente asciutto. Le weekendomani che odiano la pioggia (del resto così necessaria alla vita degli uomini, degli animali e delle piante) disturbano per la totale mancanza di romanticismo, nel senso originario del termine: i primi romantici, fra Sette e Ottocento, si entusiasmavano per i fenomeni naturali e un barlume di quella vibrante sensibilità rimane nelle persone che amano le mareggiate e le nevicate, magari osservate dietro i vetri di una stanza riscaldata dal fuoco di un camino. Le weekendomani no, non si entusiasmano, anzi maledicono tutto ciò che non è monotono sole. Vorrebbero essere illuminate da un astro senza stagioni e senza le variazioni causate dall’atmosfera, i loro somigliano a basi lunari con piscina, a spiaggie artificiali costruite su Mercurio, torrido pianeta senza vita, senza atmosfera e senza nuvole, l’ideale per un weekend.
Purtroppo, non so il motivo, pochi tassisti sono sintonizzati su Radio Maria, che è la Radio Londra della nostra epoca, la radio della resistenza, la radio clandestina, la radio divina, dove si può ascoltare Padre Livio che dice: ”Invece di augurarci ”Buon fine settimana’ auguriamoci ”Buona Domenica’. Il sabato è già incluso in questo saluto, perchè, come ogni vigilia, porta già la luce della festa”. In effetti esistono perfino donne che dicono ”buon fine settimana”. Realista come sono, fin troppo disponibile al male minore, tendo a giudicarle con indulgenza. Almeno si sforzano di parlare in italiano. Disgraziatamente nella loro formula è ancora più palese la trasformazione della settimana in imbuto, la cui stretta parte terminale espelle i giorni senza farne tesoro. Non è un augurio, è una gufata, riguarda una fine piuttosto che un inizio. Quando invece la domenica è il giorno della Resurrezione, dell’inizio più fulgido che si possa immaginare. Nel Nuovo Testamento (Atti degli Apostoli, Prima lettera ai Corinzi…) viene coerentemente definita ”il primo giorno della settimana”. Come si permettono queste femmine neopagane di ribaltare il calendario? Ma non c’è limite al peggio, quando si tocca il fondo si può sempre cominciare a scavare e un paio di conoscenti che magari si considerano amiche mi hanno mandato, via mail o messaggino, un concentrato di puro orrore: ”Buon we”. Sono donne capaci di ogni abiezione, anche di fare compere domenicali nei centri commerciali, ”che fioriscono ovunque e dove si pretenderebbe di abolire il giorno, la notte, la festa, in modo che nessuno si fermi mai e consumi sempre secondo una compulsiva reazione a ripetere”. Sono parole del grande poeta Andrea Zanzotto, più panteista che cristiano ma comunque uomo religioso, che sa quanto la difesa della domenica sia innanzitutto difesa dell’uomo. Dio per esistere non ha bisogno del nostro rispetto, noi abbiamo bisogno del rispetto della domenica per non essere numeri, per essere persone. ”Quando ero fanciullo / un Dio spesso mi salvò / dall’affanno e dal rumore degli uomini” ha scritto un altro grande, Friedrich Holderlin. La domenica, dominica die, giorno del Signore, è il tempo sacro dove ponendoci sotto la protezione di Dio possiamo trovare rifugio, tregua. A patto di non averla ridotta in macerie con l’apertura festiva dei negozi, esempio impressionante di asservimento a Mammona. Falsi come Giuda sono gli assessori, i sindaci, i confcommerciali che la motivano con imperativi economici. L’apertura sette giorni su sette non aumenta le vendite complessive, i budget personali e famigliari quelli sono e quelli rimangono. Se la concessionaria Bentley rimane aperta senza interruzioni dal primo minuto del primo gennaio all’ultimo istante del trentuno dicembre non venderà un’automobile in più, non è che il precario a mille euri non entra e non compra per problemi di orario. L’occupazione non aumenta di certo, anzi diminuisce perché vengono stroncati i piccoli esercizi a gestione individuale o famigliare, impossibilitati a reggere il ritmo di giornate senza pause. Aumentano solo i consumi di energia elettrica e di riscaldamento e la schiavitù degli operatori. Forse questo libro è caduto nelle mani di un ipocrita lettore, una persona che si crede decente nonostante le sue visite domenicali alle varie ikee disseminate lungo la Penisola. Sappia che si sta preparando per lui una Norimberga celeste. Il male è banale. Decisamente alla sua portata. Un dicembre ho conosciuto donne che lavorano alla cassa di quelle caienne ai margini delle tangenziali e che, per colpa sua, non potevano andare a messa fino a gennaio (è già molto se riescono a fare pipì, in quei giorni di afflusso isterico). Lo Stato italiano garantisce la libertà di culto? Un cazzo. Lo Stato italiano non garantisce un cazzo. Non esiste libertà di culto per chi è costretto a lavorare la domenica. Gli inglesi Verve in una loro canzone cantano ”bright prosaic malls” facendolo scaturire da un magnifico verso di William Blake, ”dark Satanic mills”. I rocker e i poeti percepiscono perfettamente il potere maligno di mills e malls. Veda di percepirlo anche l’ipocrita lettore, stia sicuro che, al dunque, non se la caverà rispondendo ”non sapevo”, ”chi poteva immaginare”, ”eseguivo degli ordini”, ”lo facevano tutti”…