Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  gennaio 13 Mercoledì calendario

BICICLETTA VERSUS AEREO


Piedi che corrono rapidi verso il male. (Proverbi 6, 18)

Ci faccio sempre la figura del pauroso o del pazzo. O dello snob professionista che deve a tutti i costi stupire l’uditorio. L’altra sera passeggiavo in via Duomo a Parma con un imprenditore che non poteva credere alle sue orecchie. Mi stava raccontando di una sua nuova iniziativa a Siracusa e io gli ho detto che, poche settimane prima, avevo ricevuto un’offerta guarda il caso da Siracusa, un’occasione meno profittevole della sua, ci mancherebbe, ma comunque invogliante perché io nella città di Archimede non ci sono stato mai se non fantasticando sulle pagine di Comisso e Piovene, e che purtroppo ho dovuto declinare perché Parma-Siracusa in treno sono quindici ore e mezza partendo alle sette del mattino oppure, per un debosciato come me che non riesce a svegliarsi presto, quasi diciassette ore partendo alle cinque e qualcosa del pomeriggio e arrivando alle dieci del giorno dopo (sempre che non ci siano ritardi e che si imbrocchino tutte le coincidenze). Non prendi l’aereo? Mai. Fobia? Malattia? No, timor di Dio. Per un uomo d’affari del 2009 incontrare qualcuno che evochi il settimo dono dello Spirito Santo dev’essere più improbabile che imbattersi in un cervo sardo in via Montenapoleone. Mi guarda strano, molto strano. In questi casi mi tocca spiegare tutto fin dall’inizio, abbiate pazienza, cercherò di sbrigarmi. Mille anni fa le ali meccaniche mi attrassero, per via dannunziana e mishimiana, e feci qualche volo prima come passeggero e poi come pilota o meglio, per la precisione (non voglio millantare), come co-pilota (non ho mai fatto né decolli né atterraggi, prendevo i comandi quando eravamo in quota e solo a quel punto cominciavo a virare sul cielo di Parma). Ma erano aerei piccoli, obietta l’imprenditore, impegnato chissà per quale motivo a cogliermi in fallo. Certo che erano aerei piccoli (mi sto innervosendo), mica mi davano da pilotare dei Boeing e poi che c’entra, perché voler minimizzare a tutti i costi, anzi, con gli aerei piccoli il volo è più primitivo, eroico, emozionante, la cabina non è pressurizzata, vibra tutto. Prima, o forse dopo, non ricordo, mi imbarcai pure su qualche voletto di linea, nulla di transcontinentale, chiaro, comunque volavo e senza particolari terrori (lo preciso spesso e forse non dovrei, più lo preciso e più gli interlocutori appaiono scettici, convinti che mi sia successo qualcosa di tremendo, un ammaraggio in Atlantico o un vuoto d’aria di cinquecento metri, per traumatizzarmi e farmi passare al treno: in Italia i benestanti, specie se residenti in provincia lontano dalle grandi stazioni, non si smuovono dall’idea che i viaggiatori su ferro abbiano gravi problemi o economici o mentali). Ma un certo giorno capii che no, che un uomo religioso non poteva volare. Buttai i libri di Mishima (in seguito me ne pentii leggermente, specie per un’edizione Ciarrapico di ”Sole e acciaio”, copertina blu) e smisi di desiderare una copia del volantino lanciato da D’Annunzio su Vienna. Qualcuno mi obietterà che volano anche i Papi. Avranno un’esenzione, dico io. Motivi di forza maggiore. Chi va ad annunciare il Vangelo è assimilabile a chi guida per portare in ospedale un infortunato o una partoriente, quando la vita è in gioco (e dall’annuncio del Vangelo dipende la vita di interi popoli) non si è tenuti a rispettare le regole, i limiti di velocità, i semafori: il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato. Ma sto parlando di eccezioni, gli aeroporti non sono affollati da missionari bensì da turisti, i soggetti più irreligiosi che si possano immaginare, animati dal più disgregante degli edonismi. Quindi niente da fare: l’uomo religioso, di norma, non vola. Era lampante al pagano Orazio che nella terza ode del primo libro, in cui prega Venere affinché gli renda incolume l’amico Virgilio colpevole di varcare ”acque proibite”, ricorda l’empio Dedalo che aggredì il cielo con ”ali all’uomo non concesse”. Era evidente al cristiano Dante, che nella Divina Commedia al sostantivo ”volo” antepone l’aggettivo ”folle”. Purtroppo risulta oscuro al mio imprenditore, la cui appartenenza alla destra profana mi è nota da quando al ristorante l’ho visto bere Franciacorta. Maliziosamente, vorrei dire diabolicamente, cerca di corrompermi, di incrinare il mio proposito, mettendone in dubbio la solidità e soprattutto la perpetuità. Se in passato hai volato non puoi escludere di volare in futuro, mai dire mai, eccetera. A un certo punto temo perfino che stia per offrirmi un incarico ben remunerato a Siracusa, giusto per saggiare la mia resistenza, per piegarmi. Casca a fagiuolo Roger Scruton: ”La dissacrazione è un tipo di difesa contro il sacro, un tentativo di distruggere le sue richieste”. L’imprenditore non riesce a frenare il suo fastidio per il mio gesto di consacrazione, piccolo però con forza di simbolo, e si comporta come il dongiovanni che cerca a tutti i costi di conquistare la monaca di clausura, non per il piacere (che è umano) ma per lo sfregio (che è satanico, controdivino). A questo punto ritengo sia fiato sprecato citargli il possente Salmo 18, "Coeli enarrant gloriam Dei", i cieli narrano la gloria di Dio, e purtroppo non posso fargli ascoltare, così su due piedi, la musica entusiasmante composta da Marco Frisina su queste parole.’Per tutta la terra si diffonde la loro voce”. Che cosa può narrare un cielo graffiato dalle rotte low cost, profanazione a portata di ogni tasca? Come si può diffondere una voce nel frastuono dei motori? Per le persone che hanno la disgrazia di abitare a Ciampino mistica e raccoglimento sono proibiti. Il decollo di un Boeing 737 produce 105,5 decibel nella residenziale via Girasole e 97,7 nei giardinetti di via Sauro, dove grazie al turismo di massa diventeranno sordi i bambini e le mamme e anche i cani. A Ciampino si stava bene, con l’aria fresca che scende dai Colli Albani nelle notti d’estate, al tempo in cui la pista era riservata ai radi voli di re e presidenti. Da quando Ryanair l’ha democratizzata ovvero inflazionata, ingolfata di arrivi e partenze, la zona è divenuta un fragoroso inferno per la disperazione dei residenti. Prego che Tony Ryan, il fondatore della compagnia morto nel 2007, si trovi in un girone molto profondo, col contrappasso di due amplificatori fissati alle orecchie per fargli subire ventiquattrore su ventiquattro i Rammstein a tutto volume. L’inventore del basso costo europeo ha consentito a ogni inglese di venire a schiamazzare nelle cattedrali italiane, a ogni italiano di andare a puttane in Slovacchia, a ogni svedese di drogarsi a Barcellona, a ogni tedesco di dar da mangiare ai piccioni in piazza San Marco. Mister Ryan, dissennato maieuta, ha dato all’imbecille che è dentro ognuno di noi la possibilità di disturbare a vasto raggio. Non riposi in pace.
’Velocità è guerra” sintetizza Paul Virilio, il più antimarinettiano dei filosofi. Non si tratta di essere pacifisti, lungi da me, si tratta di puro e semplice istinto di conservazione. La velocità uccide i suoi clienti, solo chi va piano va sano e va lontano e quanto sia valida l’antica saggezza popolare lo dimostra ennesimamente Tutor, il sistema spaventamacchine che rivela la velocità media in autostrada: in Italia nei 2.100 chilometri dove è stato installato ha dimezzato il numero dei morti, nei 460 chilometri dove è attivo da più tempo il tasso di mortalità è crollato dell’86%. Potenza delle multe e della flemma. La velocità perseguita chi abita nei pressi di aeroporti, autostrade, ferrovie. La velocità divora lo spazio dell’uomo, lo priva del contesto, il cemento e l’asfalto gli mangiano la patria che è poi la terra dentro cui affondano le sue radici e senza le quali rimane una pianta scalzata, in balia dei venti, pronta per essere strappata e calpestata. Appartiene alla destra divina chi ubbidisce a uno dei principali comandamenti formulati da Pasolini in ”Saluto e augurio”: ”Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato tra l’ultima casa del paese e la roggia”. Roggia, che bella parola. Naviglio è quasi altrettanto bella. Ho sempre sognato e ancora sogno, incurante degli orrendi, demoniaci amministratori comunali e regionali, che a Milano venga scoperchiata la cerchia dei navigli e si torni a navigare con lenti barconi fra la Statale e il Giardino Guastalla, si costeggi la Biblioteca Sormani e la casa natale di Alessandro Manzoni e il palazzo del Senato per poi sbarcare davanti alla chiesa di San Marco come nelle tele di Inganni o di Premazzi. Ho bevuto troppo? No, l’arcadia logistica esiste, resiste, anzi in alcuni luoghi ritorna, e più bella che pria. A Bolzano ho preso un trenino lento e favoloso, proprietà non di Trenitalia ma della provincia autonoma e quindi pulito, puntuale, perfetto. Con un normale biglietto di seconda classe (non c’è la prima, non c’è bisogno di essere classisti quando la popolazione è tutta civile) ho viaggiato molto più largo, molto più comodo che sul Frecciarossa, ammirando dal mio divanetto meleti ordinati e linde stazioni non angosciate da scritte spray. Su quei treni delle meraviglie non si fa la fatica di salire un solo gradino, il piano della carrozza è a livello banchina come nelle metropolitane, con la differenza che in quelle si è ammassati come topi nella stiva, senza il beneficio della luce di Cristo, mentre io ho viaggiato da uomo libero, spaziando fino alle alte giogaie delle Alpi Retiche. Un accorgimento tecnico che rappresenta un pensiero gentile per le persone anziane, i malati, i disabili, le mamme col passeggino e ovviamente i ciclisti, per i quali sono previsti spazi appositi. In molti, non atleti né sportivi bensì amanti del silenzio, del vento e della bassa velocità, salgono a Bolzano con la propria bici e scendono al capolinea di Malles Venosta per tornare indietro approfittando della piacevole discesa. Io il paradiso me lo immagino così: una valle verde senza nemmeno una salita. Ecco, volevo arrivare a parlare di biciclette e ce l’ho fatta, spero di avervi messo voglia di una bella pedalata. Che altro aggiungere? Se le avessero inventate qualche secolo prima, il cavallo di San Francesco non sarebbero state le gambe ma le due ruote. Beati i ciclisti, miti che erediteranno la terra. Beati loro quando gli automobilisti li insulteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di loro. I ciclisti non schiacciano, non strombazzano, non inquinano, occupano poco spazio. Elencatemi delle categorie di brutte persone e vi farò notare che sono tutte contrassegnate dall’odio per le biciclette. Gli ayatollah iraniani e i sindaci italiani, per esempio. In Iran la bicicletta è vietata alle donne ufficialmente, in Italia a entrambi i sessi è vietata ufficiosamente: nella maggioranza delle nostre città, prive di ampie e rispettate isole ciclopedonali, chi pedala lo fa a proprio rischio e pericolo. A Parma, che tanto si vanta della sua ciclabilità, anche in centro ho rischiato di essere travolto da un autobus, mi è capitato a Barriera Garibaldi, l’autista mi ha tagliato la strada, forse non mi ha visto. O magari mi ha visto perfettamente. Poco prima ero stato minacciato da tre autoarticolati immani, lunghi un chilometro ciascuno, che a dispetto dell’incompenetrabilità dei corpi sono entrati in un centro storico tutto viuzze e curve strette per scaricare un palco necessario a non so quale ciclopica rappresentazione: forse un’Aida con ottanta elefanti. La sinistra finge di amare la bicicletta, la destra profana nemmeno fa il gesto. Salvo escogitare operazioni senz’anima, poco convinte e ancor meno convincenti, come quelle patrocinate da Stefania Prestigiacomo, epitome della destra in Chanel, conformismo e privilegi. In vista delle scorse elezioni la signora dell’ecologicamente corretto riuscì a irritare l’intero comparto ciclistico, rivenditori produttori pedalatori, con una gestione assai maldestra dei contributi all’acquisto di biciclette. Personalmente non ho capito se l’iniziativa era finalizzata a guadagnare voti oppure a perderli (i finiani al governo speravano in una sconfitta elettorale di Berlusconi per accelerare le pratiche della successione). A parte questo l’idea di usare i soldi del contribuente per incentivare l’acquisto di biciclette è insultante. Come se la gente fosse costretta a usare il suv perché non ha i soldi per comprarsi la mountain bike. La bicicletta si incentiva espellendo il motore a scoppio dalle città ma da quell’orecchio i politici italiani non ci sentono, l’innocuo pedale è inconcepibile per chi ha una mobilità da mafioso russo, grosse macchine dai vetri oscurati, lampeggianti, scorta. Fa lo stesso: io uso la bicicletta a dispetto dei diavoli, giorno e notte, estate e inverno, col sole e con la pioggia, convinto così di salvare il mondo o quantomeno il mio piccolo, diletto mondo composto di decumani e vino rosa, di campanili e trulli, di buoni libri e canto gregoriano, di logge, piazze, terrazze, acquasantiere, di Negroni e di ventagli, di lecci e di cipressi, di lavande e rosmarini, di rampicanti e scalinate, di ”fai piano che ci sentono”, di pinete e di mattoni a vista, di orti, giardini, granite, angurie, fontane, teatri, violoncelli, e campanelli.