Pietro Citati, La Repubblica 13/1/2010, 13 gennaio 2010
Passeggiare in un mondo che ha smesso di camminare. Nella mia vita, ho passeggiato moltissimo, specialmente a Roma
Passeggiare in un mondo che ha smesso di camminare. Nella mia vita, ho passeggiato moltissimo, specialmente a Roma. Per almeno quarant´anni, ogni giorno alle 14 uscivo di casa. Abitavo (e abito) in una piccola strada, ignota persino ai tassinari, nella casa di fronte a quella dove abitarono per molto tempo Giulietta Masina e Federico Fellini. Attraversavo viale Liegi, raggiungevo piazza Verdi, dove ogni giorno contemplavo con orrore ed entusiasmo il palazzo della Zecca, e poi via Paisiello. A questo punto, si apriva davanti a me Villa Borghese, che continuo ad amare con una specie di ebbra passione. Ammiravo piazza di Siena che per me è uno dei grandi luoghi simbolici della terra - luogo di bambini, innamorati, lettori, cavalli, mendicanti. A volte attraversavo in tutti i sensi e in tutte le direzioni Villa Borghese - raggiungendo il laghetto o il piccolo cinema dove un tempo portavo mio figlio ogni domenica a vedere con lui i cartoni animati. A volte, proseguivo fino al Pincio, scendevo a piazza del Popolo, e mi inoltravo - contemplando molte tra le meraviglie di Roma - fino a piazza Navona. Non era lontano. Col mio passo da vecchio piemontese ci mettevo non più di quarantacinque minuti. Poi tornavo a casa. La passeggiata pomeridiana aveva, per me, un´importanza capitale. Mi riposava, mi irrobustiva, mi dava calma e quiete. Soprattutto cancellava tutti i pensieri della mattina: la mia mente diventava vuota: si compiaceva di essere vuota; e cominciavano a nascere altri pensieri, che lentamente si formavano, costruivano un´architettura, nella quale sarei vissuto il pomeriggio e la sera. La giornata diventava nuova, la mente agile, e il sonno si preparava e si annunciava da lontano. Non ero solo. Incontravo moltissimi bambini, che giocavano al pallone o alle biglie o andavano in bicicletta. Insieme a loro, c´erano i nonni, una stirpe a cui allora non appartenevo, ma che mi ha sempre affascinato. Con una vecchissima nonna conversavo sempre mentre i suoi nipoti giocavano allo skate-board. Qualcuno leggeva un libro su una panchina: qualcuno dormiva o dormicchiava; qualche diciottenne faceva la corte a una ragazza. Per tutti, non solo per me, quello era il culmine della giornata: un punto, un fondamento, sui quali reggeva il mondo. Ora, tutto è cambiato. Quasi nessuno passeggia più. Villa Borghese è vuota. Non ci sono più né bambini né nonni né lettori. In parte, la ragione è nota a tutti. Col cosiddetto «tempo pieno» – istituzione che esecro, sebbene ne comprenda la necessità – a quell´ora i bambini sono prigionieri a scuola. Stanno lì, mangiano, studiano, chiacchierano, rispondono ai maestri e ai professori, ma hanno perduto per sempre l´aria, il verde, il sole, le vibrazioni di Villa Borghese. Credo che sia una perdita immensa. Credo che l´umanità si divida tra coloro che posseggono ancora le loro Ville Borghese e coloro che ne hanno smarrito non solo il ricordo ma anche l´esperienza: tra coloro che passeggiano e coloro che non passeggiano più. Qualcosa mi sfugge. E i nonni, i pensionati, gli sfaccendati dove sono andati a finire? Potrebbero benissimo passeggiare tra lecci e magnolie, e invece stanno chiusi da qualche parte. Cosa fanno? Dubito che leggano. Non fanno niente. Vivono prigionieri dei loro tristi pensieri, o delle mura e dei mobili delle loro case. Vorrei che si ricordassero o (se non hanno ricordi) imparassero. Niente è più bello che passeggiare contemplando gli alberi o guardando lievemente, senza preoccupazioni, dentro se stessi.