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 2010  gennaio 13 Mercoledì calendario

Wylie Andrew

• Boston (Stati Uniti) 4 novembre 1947. Agente letterario • «[...] Ha due uffici, uno a New York, l’altro a Londra con oltre seicento clienti – vivi e defunti – tra i quali Roth, Rushdie, Bellow, Sarkozy, Gore, Muños Molina, Murakami, Nafisi e Pamuk. In Italia rappresenta, tra gli altri, Calvino, Calasso, Baricco e Magris. Ma se i rivali lo considerano l’agente più potente e pericoloso degli States, nel suo curriculum vitae Andrew Wylie assomiglia più a un ”businessman gentiluomo” che non a uno squalo (come è soprannominato) della carta stampata. [...] rampollo di una vecchia dinastia Wasp del New England (madre di Boston, padre editor della casa editrice Houghton Mifflin), dopo essersi laureato in Letteratura francese ad Harvard, Wylie si è trasferito a New York negli anni 70, entrando subito nella cerchia degli intimi di Andy Warhol. Dopo dieci anni di vita bohémien, nel 1980 ha fondato l’omonima agenzia letteraria che vanta il più alto numero di premi Nobel e Pulitzer al mondo. Alcuni dei progetti più attesi e ambiziosi nell’editoria mondiale degli ultimi anni sono suoi. [...] dice di considerarsi un ebreo onorario (’sono l’unico Wasp in un business prevalentemente di ebrei”) [...] ”Quando iniziai, l’editoria era una macchina che sfornava mediocri bestseller per i colossi della distribuzione – racconta ”. Chi, allora, rappresentava gli scrittori veri era condannato a vivere in miniuffici sporchi e bui, con piante morte alle finestre e impiegati grassi, depressi e alcolizzati”. La sua crociata è stata subito chiara: ”Coniugare business e qualità. Puntando tutto sugli scrittori di valore, inossidabili col tempo, gli Hemingway, Fitzgerald, Calvino e Borges, a scapito di falene quali Tom Clancy, Michael Crichton, Stephen King, Dan Brown”. Dietro la sua crociata in nome della letteratura con la ”L” maiuscola c’è anche un motivo egoistico: ”Passare il resto della mia vita leggendo buoni libri, senza rischiare di finire da senzatetto su una panchina a Central Park”. Ma l’editoria newyorchese all’inizio gli ha fatto la guerra. ”Mi trattavano con sdegno e disprezzo, considerandomi aggressivo, arrogante, stridente, freddo e calcolatore”. Il suo ”stile” nel procacciarsi gli scrittori famosi, spesso rubandoli ad altri, è leggendario. Come quando negli anni 80 telefonò a Rushdie – che da tempo cercava invano di corteggiare – invitandolo a prendere un drink ”la prossima volta che mi trovo a Londra”. Anche se Rushdie non gli promise nulla, Wylie corse all’aeroporto e prese il primo aereo per Heathrow. Lo scrittore di Versi satanici non si fece trovare e lui tornò all’attacco più tardi, chiamandolo da Karachi. ”Quando gli dissi che sarei venuto a Londra, mi chiese che diavolo stessi facendo in Pakistan. ”Sono qui a rappresentare Benazir Bhutto’, risposi, catturando immediatamente il suo interesse”. Il resto è storia. Se ama un autore, Wylie è disposto a tutto pur di averlo. Nel 1995 ”scippò” Martin Amis alla sua agente Pat Kavanagh, moglie di Julian Barnes, grande amico di Amis. Da quel giorno Amis e Barnes non si parlano. Ma la vera sfida per lui è anche un’altra: ”convincere gli scrittori, spesso misantropi nati, che è meglio pagare un agente piuttosto che rappresentarsi da soli. Ci sono riuscito con Roth – incalza ”. Purtroppo non con Updike e De Lillo”. E Bellow? ”Credevo tanto in lui che comprai il privilegio di rappresentarlo dai suoi due vecchi agenti. Una vera cifra, ma ne è valsa la pena”. I suoi rivali sapevano che la sua ”rivoluzione” avrebbe avuto un impatto sulle quotazioni dell’editoria. ”Trent’anni dopo la mia scommessa si è rivelata azzeccata. Penso di aver contribuito a diffondere il principio secondo cui la letteratura alta, anche se meno commerciale all’inizio, vale infinitamente più dei bestseller destinati a essere seppelliti con i loro autori”. Ciò significa anche lavorare mesi e mesi senza un bestseller. ”Il mio unico criterio di scelta è la qualità. Se Dan Brown mi chiedesse di rappresentarlo gli direi di no. Gli autori commerciali tendono a divorare l’intera casa editrice. Doubleday con Il Codice da Vinci e Bloomsbury con Harry Potter ne sanno qualcosa. Dopo essere stata la casa di Hemingway, Fitzgerald e Thomas Wolfe, Scribner è finita con Stephen King e Linda Fairstein, sacrificando la qualità in nome dei soldi facili”. [...] Il suo segreto? ”Ognuno dei miei clienti è speciale, importante e unico. Do a tutti la stessa attenzione e non mi è mai successo di non rispondere a una chiamata”. Ciò non significa socializzare con i suoi scrittori. ”Voglio che Roth sia contento del mio lavoro, piuttosto di sentirlo dire che siamo amici. E comunque sono un tipo socialmente inetto: vado a letto presto e ai party non so cosa dire” [...] Le accuse di snobismo non lo sfiorano: ”Non mi preoccupo che McDonald abbia successo, però non ci mangerei mai”. Una delle sue grandi passioni è l’Italia. ”Ci vado almeno sei volte all’anno – spiega ”. un Paese cha adoro da quando, ad Harvard, tradussi Giuseppe Ungaretti, invitandolo negli Usa per leggere la mia traduzione. Mia moglie è di origine italiana e i miei figli tifano per la nazionale”. [...] Tra i suoi romanzi preferiti degli ultimi tempi annovera La scoperta dell’alba, di Walter Veltroni, ”uno scrittore – dice – che mi piacerebbe molto rappresentare”» (Alessandra Farkas, ”Corriere della Sera” 31/10/2008) • «[...] è il più potente, rispettato e temuto agente letterario del mondo. Solo per fare alcuni nomi, tra i suoi clienti ci sono Philip Roth e Orham Pamuk, Salman Rushdie, Oliver Sacks, Dave Eggers e Martin Amis. Sono stati suoi clienti anche Norman Mailer, Saul Bellow e Susan Sontag, dei quali oggi amministra i diritti letterari, oltre a quelli di Jorge Luis Borges, John Cheever, Raymond Carver, Yukio Mishima, Vladimir Nabokov e, tra gli italiani, Italo Calvino e Giorgio Bassani. Il suo ufficio principale è a New York, ma ha una sede non meno importante a Londra, gestita dal suo braccio destro Sarah Chalfant. [...] Quando convinse Martin Amis ad abbandonare la sua storica agente Pat Kavanagh, moglie di Julian Barnes, all’epoca migliore amico dello scrittore, i nemici gli affibbiarono il soprannome ”sciacallo”. Wylie non se la prese molto, e ricorda che il passaggio fruttò ad Amis un anticipo per il nuovo romanzo di 750 mila dollari, cifra all’epoca assolutamente inaudita. Nel gruppo di oltre seicento autori che rappresenta ci sono anche David Rockefeller, Al Gore e Nicolas Sarkozy, e di quest’ultimo sottolinea, con una punta di orgoglio, che fa parte dell’agenzia prima che diventasse presidente. Originario di Boston, si è laureato ad Harvard in letteratura romanza ed è diventato agente letterario relativamente tardi: gli anni Settanta e Ottanta sono stati caratterizzati da una sfrenata vita notturna, nella quale frequentava il giro di Andy Warhol. Oggi ricorda quel periodo con simpatia, gratitudine, e nessun rimpianto per gli eccessi. ”La mia educazione è stata molto convenzionale [...] ho studiato i classici e ciò è stato importantissimo per la mia formazione. Tuttavia Andy Warhol è stato un maestro di vita, che ha avuto un ruolo non meno importante: era un uomo eccitante, divertente e sempre interessante, che mi ha insegnato a vedere il mondo in modo diverso. Sino ad allora il mio mondo era fatto di Milton, Eliot e i classici italiani e francesi: necessari, anzi fondamentali, ma non sufficienti per affrontare la vita [...] Ho lavorato per due anni in una piccola agenzia chiamata JCA, il cui titolare si chiamava John Cushman. Quando mi sono reso conto di aver imparato il mestiere mi sono messo in proprio. Il primo ufficio è stato il mio appartamento, dal quale ho dovuto traslocare quando mia moglie ha scoperto di aspettare il nostro primo figlio [...] Rappresento qualcuno perché sono appassionato al suo lavoro, e si tratta di trasmettere questo sentimento, perché è difficile resistere a una passione sincera. Io vedo il mio ruolo come quello di un giardiniere in una tenuta. So di poter essere licenziato se non svolgo il mio lavoro in maniera soddisfacente. A volte può succedere anche il contrario, anche se in trenta anni di carriera mi è capitato solo due volte di dire a un autore che doveva trovarsi un altro agente. Spiegando ovviamente che era meglio per lui [...]”» (Antonio Monda, ”la Repubblica” 13/1/2010).