Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 12/1/2010 Calo Macrì, Corriere della Sera 13/1/2010, 12 gennaio 2010
2 Articoli BELLOCCO. E il rampollo della ”ndrangheta picchia tutti. Antonio Bellocco, 30 anni, arrestato durante i disordini
2 Articoli BELLOCCO. E il rampollo della ”ndrangheta picchia tutti. Antonio Bellocco, 30 anni, arrestato durante i disordini. Un parente: il paese sarà per sempre nostro REGGIO CALABRIA’ Qualcuno che ha visto le immagini riprese da una telecamera ritiene perfino che la macchina abbia cercato di investire il «nero», il quale appena sfiorato reagisce sferrando una bastonata sul cofano. L’auto sbanda, mentre i carabinieri presenti intervengono per bloccare l’extracomunitario. Anche la macchina si ferma, l’uomo che la guidava scende e si scaglia sul «nero» tenuto dai carabinieri, i quali tentano d’impedirglielo e vengono presi a calci dall’autista inferocito, prima di riuscire a immobilizzarlo. Così è stato arrestato nei giorni della rivolta di Rosarno, con un provvedimento confermato ieri dal giudice che l’ha lasciato in carcere, Antonio Bellocco, trent’anni ancora da compiere, rampollo della «casata» mafiosa che comanda da quelle parti. Anche per via di questo episodio s’infittisce il sospetto che la ”ndrangheta abbia soffiato sul fuoco della protesta violenta contro gli extracomunitari e lo Stato. Perché Bellocco e ”ndrangheta a Rosarno sono sinonimi, e Antonio è considerato l’emergente della famiglia. Pregiudicato per altro, ora è indagato dalla Procura di Reggio Calabria anche per associazione mafiosa, con l’ipotesi di un ruolo stabile e concreto negli affari illeciti della cosca. Il padre di Antonio – Giuseppe Bellocco, 61 anni – è stato arrestato nel luglio 2007, e sconta l’ergastolo; quando lo presero si nascondeva in un bunker sotterraneo con 11.400 euro in contanti, una pistola con la matricola abrasa e 15 colpi nel caricatore; suo fratello Domenico, classe 1977, detto Micu u longu, ora è latitante perché a luglio scorso è stato arrestato, nel periodo feriale il tribunale della libertà l’ha rimesso fuori con una contestata decisione, e quando è divenuta definitiva un’altra condanna lui era già uccel di bosco. Nel periodo in cui Micu era detenuto suo fratello Antonio andava a trovarlo, e le «cimici» della Squadra mobile di Reggio intercettarono una sorta di investitura nella gestione affari di famiglia. «Solo tu ci sei libero», si raccomandava Domenico con Antonio, «basta che non ti arrestano pure a te, io di te ho bisogno adesso». Secondo i rapporti di polizia Antonio Bellocco accettò l’incarico, cominciando a riferire al fratello ciò che accadeva fuori e ricevendo istruzioni sul da farsi. Perché nelle famiglie di mafia funziona così, e ancor più in quelle di ”ndrangheta, dove i legami criminali si sovrappongono a quelli di sangue. Del resto, da uomo libero Domenico Bellocco aveva fatto lo stesso con lo zio Carmelo, quando questi (anche lui inquisito per associazione mafiosa) aveva ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali e lo convocava in Emilia, dove lavorava, per discutere e dirigere i traffici della cosca. Nel giugno scorso Carmelo Bellocco raccontava al nipote Domenico – mentre le microspie registravano’ la visita di un tale «Ciccio» che era andato a chiedere conto di un omicidio; voleva che i Bellocco risarcissero il danno con un altro omicidio, «altrimenti finché non mi prendete e mi ammazzate, ne ammazzo io uno al giorno». Zio Carmelo aveva preso quella minaccia come un affronto, e con lui tutti i Bellocco. Compreso Domenico, che commentò: «Uno che si sogna di venire a parlare a noi in quel modo, o è pazzo o stato pilotato». Carmelo era d’accordo e precisava: «A questo punto, ce la vediamo noi, siamo capaci di intapparne (cioè di fare violenza fino ad uccidere, tradussero gli inquirenti, ndr) cento al giorno». Pianificarono la possibile reazione sul momento: «Lo prendiamo e ce lo carichiamo in macchina». Bisognava mandare un segnale chiaro e parlare con l’altra cosca alleata di Rosarno, quella dei Pesce, ai quali zio Carmelo aveva già presentato il nipote Domenico come «rappresentante del casato» in sua assenza. In questo clima è cresciuto e si muove Antonio Bellocco, inquisito per ”ndrangheta e arrestato nei giorni della rivolta contro «i neri» e lo Stato accusato di proteggerli. In una terra di cui un altro della famiglia’ il giovanissimo Umberto Bellocco, figlio di Carmelo, appena diciottenne e già indagato per associazione mafiosa’ diceva in una conversazione intercettata: «Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro... sennò non è di nessuno». Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 12/1/2010 Il clan Bellocco e i tribunali «Il ricorso? Dal giudice amico» Ieri 17 arresti legati alla famiglia ROSARNO (Reggio Calabria)’ Così potenti da «avvicinare» giudici per «aggiustare» i loro processi. Pensavano di essere così forti i Bellocco di Rosarno non solo sul territorio, ma anche nel condizionare le indagini sulla loro famiglia, grazie alle amicizie dentro i Tribunali. quanto è emerso dall’inchiesta «Vento del Nord», coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e Bologna, che ha portato in carcere 17 persone, tutte affiliate al clan Bellocco. A Carmelo Bellocco, reggente del casato di ”ndrangheta e a sua moglie Maria Teresa D’Agostino, il provvedimento firmato dal gip Adriana Trapani è stato notificato in carcere. Dietro le sbarre è finito anche Antonio Bellocco, arrestato nei giorni scorsi durante la rivolta contro i neri. Antonio è proprietario dell’Essetre, un supermercato sequestrato dalla polizia assieme ad altri beni di proprietà della famiglia sparsi sul territorio di Rosarno. Molti rappresentanti del clan sono da anni rinchiusi dietro le sbarre, con condanne anche a vita. Dai colloqui captati dentro le carceri dalla squadra mobile di Reggio Calabria, è stato possibile verificare come la cosca studiava le strategie per «garantirsi» giudici «compiacenti» e quelli da «evitare» perché «sgraditi». Nel carcere di Palmi, il 28 luglio scorso, Rocco Bellocco indicava addirittura ai suoi familiari in quale ufficio doveva essere presentato il ricorso dopo il suo arresto. «... Chi va dagli avvocati qua... di dire che ci sono due collegi... c’è il collegio della Grasso (presidente di sezione del Tribunale di Reggio Calabria ndr, considerata molto "rigida") e un altro collegio..., ci sono due collegi... e attualmente... anche che lei... si trova in ferie... di non presentarlo in questo collegio qua... di presentarlo nell’altro, che al 99% lo rigettano, di dirlo all’avvocato». Il dialogo che ha però messo in allarme gli inquirenti è quello intercettato lo scorso 5 agosto tra Rocco Gaetano, detenuto nel carcere di Bologna e suo figlio Peppe. «L’avvocato deve parlare con un suo amico per spiegargli la situazione. L’amico in questione è un giudice» dice Peppe a suo padre. Calo Macrì, Corriere della Sera 13/1/2010